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TMW RADIO - E. Mantovani: “Credevo più allenatore Montella di Mancini. Ranieri come Eriksson”

di Dimitri Conti
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Archivio Stadio Aperto 2020-2021
TMW Radio
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Enrico Mantovani intervistato da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini
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L'imprenditore Enrico Mantovani, ex presidente della Sampdoria, ha parlato a TMW Radio, nel corso della trasmissione Stadio Aperto: “Sono nato a Genova, la Samp la tifavo già quando ero piccolo, mentre papà al tempo simpatizzava Lazio. Poi è diventato presidente, e abbiamo vissuto una favola che è diventata realtà, arrivando alla Serie A, alla Coppa Italia, lo Scudetto... Per le altre squadre sono cose normali, per un sampdoriano un'emozione fantastica, unica, che ho condiviso con le mie sorelle e mio fratello. C'è un amore e un affetto tale che sono fazioso, è la maglia e la squadra più bella del mondo. Già tra quello di mio padre e quello del mio tempo, il calcio è cambiato: nei '70-'80 c'erano presidenti ben diversi da quelli attuali. La ciliegina sarebbe stata la vittoria a Wembley, ma abbiamo perso contro una delle squadre più forti del mondo. Oggi si è tutto ingrandito, ed anche migliorato, anche se noi siamo sempre restii alle novità. Tutto questo per arrivare al fatto che sono cambiati investimenti e soldi che girano, c'è un contesto che sembra persino immorale. Se ci sono certe cifre, però, una ragione c'è. Parliamo di centinaia di milioni spesi per i giocatori, e figure come mio padre o Berlusconi non hanno rovinato il gioco, hanno solo anticipato i tempi per prendere i giocatori migliori”.

Da cosa dipendono le tante proprietà straniere in Serie A?
“Se torniamo indietro sarà facile trovare qualcosa in comune, negli anni Settanta per esempio chi entrava nel calcio era tendenzialmente un costruttore. Un tempo avere una squadra permetteva una presenza politica tale che favoriva anche l'attività imprenditoriale, mentre oggi non è così. Oggi invece ci sono in mezzo le multinazionali, grandi colossi della comunicazione, ed intervengono attori che possono apparire come estranei: è la globalizzazione. L'investitore straniero sa che in pochissimi altri settori c'è una visibilità comunicativa come nel calcio. Lo stesso Berlusconi entrò nel calcio perché gli interessava Canal Plus, e poi sappiamo come è andata: in quanto a grandi presidenti davanti a lui metto Paolo Mantovani, e sono fazioso. Ha messo su una macchina da guerra, nessuno era all'altezza. Poi purtroppo abbiamo perso un sacco di punti, e siamo passati da essere la meta più appetita dei grandi campioni a oggi. L'Inghilterra, ma anche Germania e Spagna, che erano anni luce indietro ora ci hanno scavalcati. Sono veramente afflitto dal fatto che non si riesca a sfruttare l'incredibile potenziale che abbiamo, la grande passione per questo sport: mancano le persone giuste ai posti giusti per farci ritrovare un'importanza che è storica. Nel rugby è comprensibile che ci stiano davanti in molti, nel calcio no, dobbiamo primeggiare e tornare ad avere i grandi giocatori in Italia”.

Che ricordo le viene in mente ripensando alla retrocessione del '99?
“Per me è stata una ferita che non è rimarginabile perché oltre alla delusione, al danno economico e quant'altro, personalmente è come se mi avessero rovinato la creatura stupenda di papà. Come se una volta arrivato in cima all'Everest, quasi, si passasse il testimone. Andare ancora avanti per noi non era possibile, semmai la domanda era quanto potessimo andare indietro. L'annata del '99 è nata per errori miei, della dirigenza, ed anche un po' di sfortuna”.

Per la Liguria del calcio oggi sembra un momento d'oro.
“Questa regione non ha spazi, ricordo che all'inizio la Sampdoria si allenava su terra battuta. Ricordo che andammo nel parmense, e c'erano dei campi da allenamento veramente da sogno, mentre qui ci sono le pietre sotto. Questa può essere la scusa di base per i vivai, ma è altrettanto vero che quest'anno la Liguria sta andando fortissimo, ed essendo una cosa così anomala è giusto anche godersela. Non succederà spesso”.

Ci vede similitudini tra Enrico e Federico Chiesa? Credeva a Montella allenatore?
“So benissimo che uno è figlio dell'altro, altrimenti potresti non rendertene conto. Non giocano nello stesso modo, ma alcune caratteristiche mi fanno sorridere d'affetto. Enrico è uno dei nostri, è ligure, era uno con la rabbia agonistica dentro. Quella di Vincenzo invece è un'altra storia, ma per me altrettanto bella. Lì feci qualcosa di non troppo carino nei confronti dei cugini, perché c'era la comproprietà tra il Genoa e l'Empoli ma avevo ottimi rapporti, come tuttora, con Corsi. Di presidenti che capiscono così di calcio ce ne sono pochi, ho solo da imparare. Dicevo di Montella, successe che stavamo cercando Protti ma il suo procuratore fece un giochino non troppo carino, e l'alternativa non poteva che essere Vincenzo. Non ci voleva un genio per capire che di giocatori che tramutassero in gol ogni pallone come lui, ce n'erano pochissimi. Mi viene in mente Inzaghi. Rispondo però alla domanda: se mi avessero detto che sarebbe stato allenatore, avrei detto nessun problema. La verità è che se mi avessero chiesto invece di Mancini, avrei detto no. Roberto capiva tantissimo di calcio, è un vero artista, però con quel carattere esuberante che aveva... Ho sempre pensato che per allenare servissero altre caratteristiche, ma mi ha smentito del tutto. Felicissimo che sia successo, è passato da genio ribelle a uno dei migliori allenatori al mondo”.

Ranieri ha raccolto il testimone di quel calcio?
“Sottoscrivo. Non voglio ritrovarmi attaccato dall'Assoallenatori, ma è una categoria in cui spesso ci si prende troppo sul serio. Si ritiene che, con quel ruolo, si debba sapere tutto: Ranieri non ha proprio queste caratteristiche, è com'era Sven Goran Eriksson. O come Boskov, anche se quest'ultimo era un po' diverso”.

Dove si aspetta il primo intervento del nuovo presidente federale?
“La situazione politica è difficilissima da gestire, il mio auspicio è che ci si concentri non nella ricerca di posizioni per ambizioni di potere. I presidenti dovrebbero riunirsi e mettere sul tavolo la competenza. Ci vuole il migliore di tutti, costi quel che costi, ed un programma condiviso perché è inconcepibile che l'Italia abbia certi risultati a livello di club e di Nazionale. Bisogna ripartire dalle basi come hanno fatto altri paesi, non è sbagliato copiare in certi ambiti”.

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