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ESCLUSIVA TMW - Vermes (Kansas City): “Negli USA mai così tanti talenti. E siamo solo all’inizio”

di Ivan Cardia
Le nuove proprietà americane, l’avvento dei big data e l’arrivo dei nuovi talenti. L’America scopre il calcio, il calcio scopre l’America: TMW racconta il soccer e la MLS.
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La MLS è pronta a tornare in campo. Complice l’exploit dei tanti talenti a stelle e strisce, da Pulisic allo juventino McKennie, i fari sono puntati sul massimo campionato statunitense che ripartirà con la regular season il 17 aprile. Ne abbiamo parlato con Peter Vermes, allenatore dello Sporting Kansas City: “Il mio mantra è che vogliamo puntare qualsiasi trofeo a disposizione. È importante per noi rimanere competitivi, anno dopo anno – dice a TMW il tecnico, ex calciatore visto anche in Europa con gli ungheresi del Gyor e gli olandesi del Volendam - per noi, vorrebbe qualificarci ai playoff, il che ci metterebbe nella posizione di competere per la MLS Cup, oltre che correre per il Supporters’ Shield (il trofeo destinato a chi conquista più punti nella regular season, ndr). Per la prima volta partecipiamo inoltre alla Leagues Cup (che coinvolge squadre statunitensi e messicane; nel caso della MLS, si qualificano le migliori quattro classificate di ciascuna conference che non partecipino già alla CONCACAF Champions League, ndr): è un torneo che ci entusiasma per la possibilità di metterci alla prova contro club messicani di indubbio valore”.

Qual è stato l’impatto della pandemia sul calcio americano?
“È stato duro. Non soltanto per noi, ma per tutto il mondo. Siamo tornati in corsa, prima con MLS is Back (torneo disputato in Florida da luglio ad agosto 2020, ndr) e poi con la possibilità di completare la stagione. Per quanto ci riguarda, siamo stati abbastanza fortunati da essere in uno Stato che consente di avere i tifosi allo stadio, ma giocare altrove in stadi vuoti è stato difficile. Il calcio non è lo stesso, così. Spero che entro il termine della stagione potremo tutti giocare in stadi pieni”.

Pulisic, Dest, Reyna, McKennie: i talenti statunitensi, oggi, brillano anche in Europa. Cosa è cambiato rispetto al passato?
“Credo sia soltanto la dimostrazione di quanto le accademie negli Stati Uniti siano cresciute negli ultimi anni. Rispetto ad altri Paesi, siamo arrivati molto tardi nel costruire un sistema di infrastrutture per sviluppare i talenti. Nei primi anni abbiamo dovuto imparare a camminare, ma siamo stati in grado di fare il passo successivo e iniziare a far crescere professionisti di qualità. Il percorso di ognuno poi è diverso: alcuni calciatori vanno in Europa da molto giovani, altri firmano in MLS e crescono qui. Dico sempre che lo sviluppo è deciso al 90 per cento dalle scelte del calciatore, e i calciatori che ha citato hanno fatto un gran lavoro per arrivare dove sono adesso”.

È una new wave del soccer?
“Con ottime probabilità, in questo momento il bacino di calciatori a disposizione è il più profondo mai avuto negli Stati Uniti. E penso sia solo l’inizio di quel che saremo in grado di fare da qui in avanti. Come detto, stiamo iniziamo a vedere i frutti del lavoro fatto dalle academy della MLS. E penso che in futuro arriveranno sempre più calciatori di alto livello”.

La MLS punta a diventare competitiva rispetto ai Big Five entro il 2026, l’anno del Mondiale nordamericano?
“È un obiettivo al quale guardiamo, nel lungo periodo. La lega è diventa molto competitiva, e le società oggi investono molto di più nei propri settori giovanili di quanto non facessero dieci anni fa. Il Mondiale del 2026 sarà un momento fantastico per il nostro Paese: l’augurio è che sapremo sfruttarlo fino in fondo”.

Una delle regole cardine della MLS è il salary cap. Pensa che sia più di aiuto per rendere sostenibile il sistema, o che impedisca a chi vuole investire di prendere i migliori giocatori?
“Il salary cap dà equità: è una principio su cui la lega è stata costruita sin dalla sua nascita. La MLS è imprevedibile: tutti possono battere tutti. Un anno puoi vincere la MLS Cup e l’anno dopo magari non entrare nei playoff. Il nostro obiettivo, come club, è sempre stato quello di tenere alta la competitività e di essere sempre in grado di correre per un trofeo. Il cap è lì per una ragione e io penso che noi, per esempio, abbiamo fatto un ottimo lavoro, con una squadra che ha possibilità inferiori sul mercato, continuando a migliorare anche contro alcune delle squadre che spendono di più”.

Lei ha giocato in Europa. Anche da noi si inizia a parlare di salary cap: è troppo lontano dalla nostra mentalità?
“Le tradizioni sono importanti nel calcio. Alcuni campionati europei hanno oltre cento anni di storia, per questo credo che sarebbe difficile introdurre cambiamenti radicali. Sarebbe molto interessante, però, vedere come cambierebbero col salary cap i campionati che spendono più soldi al mondo”.

Torniamo al suo club. Come è strutturato il vostro sistema di scouting? A cosa e in quali zone del mondo guardate nel momento in cui cercate un nuovo calciatore?
“Nel nostro roster c’è posto per qualsiasi tipo di calciatore. C’è poco spazio a disposizione per gli stranieri, perciò serve avere un buon equilibrio. Io dico da tempo che il settore giovanile è la linfa vitale del nostro club: adesso abbiamo in prima squadra dieci calciatori che sono cresciuti nella nostra academy. È una dimostrazione del lavoro fatto negli anni. Poi cerchiamo in tutto il mondo: nel nostro territorio nazionale, nelle gare di college, ma anche in varie parti del mondo: abbiamo Talent Identification Directors in varie nazioni che giocano un ruolo fondamentale nel farci individuare e acquisire calciatori di alto livello dall’estero”.

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