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ESCLUSIVA TMW - Cagliari, Gigi Riva, le banane di Verona, il Perù e Lapa-gol: parla Julio Cesar Uribe

di Giacomo Iacobellis
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"Uribe è un giocatore di un altro pianeta", parola di Gigi Riva. È il 1982 e Rombo di Tuono vola infatti fino in Perù per convincere il più fulgido talento dello Sporting Cristal, nonché uno dei migliori calciatori di tutto il Sudamerica, a trasferirsi in Serie A. Sul Diamante Nero c'è da tempo anche la Roma, ma alla fine a spuntarla è proprio il Cagliari di Riva e del presidente Amarugi. Una storia d'amore appassionante, molto più di una semplice cotta estiva, che come tante ha avuto però sia alti che bassi, spegnendosi amaramente dopo soli tre anni. Sarà anche per questo che Julio César Uribe, oggi allenatore ed ex ct tra le altre della stessa Blanquirroja (2000-2002), porta sempre l'Italia nel cuore e non vede l'ora di tornarci, magari stavolta come tecnico. All'indomani dell'esordio con la Bicolor dell'italo-peruviano Gianluca Lapadula, TuttoMercatoWeb.com lo ha raggiunto così in esclusiva per ripercorrere la sua carriera e, in particolare, la sua avventura in Sardegna, commentando ovviamente anche la nuova sfida di "Lapa-gol".

Uribe, partiamo proprio dall'esordio di "Lapa-gol" col Perù: che impressione le ha fatto?
"Gianluca è un goleador, ha il gol nel sangue e spero ovviamente che possa portare tanta allegria e gioia ai tifosi peruviani. Ci ha colpiti molto il suo amore per il nostro Paese, è stato bello vederlo esordire con la Blanquirroja".

Ancora prima del debutto, Lapadula era d'altronde già diventato una star in Perù...
"Sì, media e tifosi lo hanno accolto con grandissimo entusiasmo fin dal suo arrivo qui. Per questo dico che forse si sono create delle aspettative un po' smisurate nei suoi confronti, che non sarà facile poi andare a confermare sul campo. Chiaramente ci auguriamo tutti però che Lapadula possa mostrare anche col Perù le qualità in area rivale che ha fatto già vedere in un campionato super competitivo come la Serie A".

Veniamo a lei: come sta vivendo questa pandemia, privatamente e professionalmente?
"Sto aspettando di tornare in panchina e, nel frattempo, porto avanti la mia scuola calcio di alto livello, oltre a fare qualche consulenza. Per il resto vivo questa pandemia con grande responsabilità, noi professionisti dobbiamo mandare un buon esempio alla gente. Grazie a Dio, io e la mia famiglia stiamo bene".

Esiste nel calcio di oggi un nuovo Diamante Nero?
"Purtroppo no. Non voglio essere superbo, ma io in campo mi prendevo il rischio e la responsabilità di dribblare, giocavo in modo molto più verticale dei calciatori di oggi. Il calcio è cambiato, se devo essere sincero non mi rivedo in nessuno per adesso".

Se le dico Italia, invece, cosa le viene in mente?
"Tristezza, tanta tristezza. Nella mia prima stagione avremmo potuto fare molto di più, ma ci furono alcuni 'inconvenienti'. Chiamiamoli così. Diciamo che mancò un po' di comunicazione tra calciatori e staff, poi sapete tutti come sono proseguite le cose...".

Eppure, Gigi Riva e il presidente Alvaro Amarugi l'avevano voluta a tutti i costi nel 1982.
"È vero, Riva venne fino in Perù per convincermi a firmare col Cagliari insieme al presidente Alvaro Amarugi, che riposi in pace. Fu una bella iniezione di fiducia per me, riuscimmo a trovare un accordo e iniziare questa nuova avventura insieme. Mi dispiace che quei tre anni non siano andati alla fine come tutti speravamo".

Nonostante gli alti e bassi, in Italia si è tolto però anche qualche soddisfazione....
"Prima di tutto sono maturato tantissimo come uomo e come calciatore. In Serie A ho imparato a marcare e a giocare senza palla, visto che quando sono arrivato pensavo solamente al pallone. Vi ricorderete poi che fui subito premiato come miglior straniero della Serie A, nello stesso momento in cui nel campionato italiano c'erano un certo Diego Maradona al Napoli e un certo Zico all'Udinese. La strada insomma era quella giusta, almeno fino al conflitto con mister Giagnoni".

Durante la sua avventura al Cagliari fu vittima anche di un grave episodio di razzismo. Come possiamo combatterlo oggigiorno?
"La gente inizia il proprio processo di educazione direttamente tra le mura di casa, siamo molto influenzati dall'ambiente in cui cresciamo e viviamo tutti i giorni. Servono quindi educazione, rispetto e responsabilità, a tutte le età e a tutti i livelli. Episodi come il triste lancio delle banane di Verona non possono e non devono più ripetersi. Il mio messaggio? La qualità delle persone non si misura in base al colore della loro pelle, ricordatevelo sempre".

Sulle sue tracce si erano mosse Roma, Inter e Juve: le sarebbe piaciuto restare in Italia qualche anno in più?
"Assolutamente sì. Per questo dico che un giorno mi piacerebbe tornarci. Sarebbe davvero bello lavorare nuovamente in Italia e portare tutto ciò che la vita e il calcio mi hanno insegnato in questi anni da commissario tecnico del Perù e allenatore di club. Noi mister siamo il vincolo per aiutare i giocatori a essere felici, insegnando loro a esprimersi al meglio in campo. Nella vita mai dire mai... Io in Serie A tornerei subito".

Intanto, segue ancora il Cagliari in tv?
"Certo, lo seguo sempre: il Cagliari, così come il calcio italiano più in generale. La squadra di Di Francesco è partita bene, ha ottimi giocatori e io dal mio Perù faccio il tifo per i rossoblù. Il Cagliari e la Sardegna resteranno per sempre nel mio cuore”.

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