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ESCLUSIVA TMW - Albertosi: "I miei 80 anni. Io il più forte con Zoff e Buffon"

di Lorenzo Marucci
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© foto di Federico De Luca

Chiacchierata a tutto tondo con Ricky Albertosi, autentico monumento del nostro calcio che ha da poco compiuto 80 anni. Da calciatore ha conosciuto la vera e propria evoluzione del mondo del pallone, esordendo nel 1957 nello Spezia e chiudendo la carriera nel 1984 in C2 con l'Elpidiense. Portiere modernissimo, innovatore, è stato un simbolo della Nazionale e ha vinto lo scudetto col Cagliari e col Milan. La sua è una vita tutta da raccontare e da ascoltare, sempre in movimento, anche adesso. "Ho raggiunto un traguardo importante - racconta a TMW - non capita a tutti di arrivarci. Sono in buona salute e i miei nipoti mi tengono giovane".

Albertosi, adesso, nipoti a parte, quali sono le sue passioni?
"Guardo le partite in tv, il calcio è sempre dentro di me. Ma non ho più quel fuoco o quell'attenzione che avevo prima: è chiaro che mi fa piacere se vincono le mie squadre, la Fiorentina, il Cagliari e il Milan, ma se perdono non faccio drammi".

Lei è stato anche un grande appassionato di cavalli, era pure un ottimo driver di trotto. E adesso?
"No no, è finito tutto da quel punto di vista. Da quando ebbi l'infarto nel 2004 ho mollato tutto. E non mi ricordo nulla di quel che successe. C'era una corsa a Montecatini, arrivai secondo e dopo aver portato il cavallo in scuderia andai a rivedermela in tv. A quel punto mi hanno raccontato che crollai a terra, mi fecero il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca in attesa dell'ambulanza con il medico a bordo".

Lei da tempo ha deciso da tempo di stabilirsi a Forte dei Marmi. Perché?
"A mia moglie è sempre piaciuto abitare al mare e visto che tra vivere qui e stare a Firenze non faceva differenza per il suo lavoro (ha una serie di agenzie) ci siamo spostati qui".

Com'è il mare d'inverno?
"Bello, si sta meglio che in estate. Tutto quel che devi fare, lo fai velocemente e senza la confusione che c'è a luglio e ad agosto quando arrivano duecentomila persone".

Anche il suo vecchio compagno di squadra Gigi Riva vive al mare. Lui a Cagliari...
"Sì, l'ho sentito e gli ho fatto gli auguri per i suoi 75 anni. Sta discretamente, è voluto restare a Cagliari, si trova benissimo e ha due figli vicino a lui".

Riavvolgiamo il nastro della sua carriera: quali sono state le più grandi emozioni?
"La prima lo scudetto col Cagliari, la seconda la semifinale contro la Germania in Messico ai Mondiali, la terza lo scudetto vinto col Milan"

A proposito del Cagliari, che pensa della squadra di Maran?
"Mi fa molto piacere vederlo adesso così in alto. Deve pensare che l'obiettivo iniziale era la salvezza. Ora è terzo in classifica ma inevitabilmente potranno arrivare anche i tempi duri e dovrà reagire. Adesso tutti aspetteranno il Cagliari e cercheranno di fermarlo. In ogni caso sta giocando molto bene e credo che insieme all'Atalanta esprima il miglior calcio. Finché è lì è giusto cullare grandi sogni. Se anche arrivasse quinto o sesto sarebbe un risultato eccezionale".

Torniamo a lei: è stato un innovatore per il ruolo del portiere...
"Sì, già 50 anni fa giocavo fuori dall'area di rigore, proprio come accade oggi. Sono stato il primo, non c'era nessuno che lo faceva. Lo decisi di mia iniziativa perché ero convinto che quando la squadra attaccava dovesse essere accompagnata. Stavo sette- otto metri fuori dall'area. Capitava che potessi prendere qualche gol, ma in questo modo sono stati più i gol che ho salvato che quelli che ho preso".

Quali sono stati i migliori portieri italiani?
"Albertosi, insieme a Zoff e Buffon. Mi rivedevo un po' in Perin, spericolato come me. Oggi i portieri che si buttano sui piedi degli avversari non ci sono più. E tanti non escono bene".

Quali sono state le sue più grandi delusioni a livello di squadra e personali?
"Come squadra, nessuna. Dal punto di vista personale sì, ebbi una grande delusione legata al calcioscommesse ma so di non essere stato colpevole".

Il calcio di oggi in cosa è veramente diverso?
"Comandano i procuratori, i giocatori fanno quel che vogliono i loro agenti. Magari firmano un contratto di cinque anni e poi dopo due se ne vanno. E i presidenti li accontentano perché altrimenti rischiano che il valore del giocatore scenda. Quanto al campo, noi eravamo più lenti ma molto più tecnici".

In chiusura, Albertosi, c'è qualcosa di cui si è pentito in carriera?
"Rifarei tutto. Non ho rimorsi nè rimpianti".

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