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Albertini: "Euro 2032 a Italia e Turchia? Giusto così, perché ci abbiamo provato per molti anni"

di Tommaso Bonan
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"L'Europeo 2032 a Italia e Turchia? È giusto così, perché ci abbiamo provato per molti anni e non ci siamo riusciti per diversi motivi. L’ultima volta che abbiamo vissuto un evento casalingo è stato in occasione del mondiale nel 1990. Con la Turchia ci saranno tutte le sinergie necessarie per fare una bellissima competizione". Parla così l'ex centrocampista Demetrio Albertini, ai microfoni di Radio TV Serie A.

Euro 2032 è tra 9 anni e mancano stadi all’altezza, il calcio come dovrà evolversi nei prossimi anni per arrivare preparato a questo evento?
"Come prima cosa dobbiamo fare un’analisi su quello che siamo e dobbiamo essere predisposti ad accettare le criticità che ad oggi ci distinguono. Va ricordato come negli anni ’90 avevamo il campionato più seguito ed evoluto di tutti: ad oggi non è così, anche se rimaniamo tanto appetibili e lo dimostrano i fondi stranieri che stanno investendo sul nostro paese. La prima criticità sono le infrastrutture: oggi gli stadi non sono all’altezza e la burocrazia blocca
qualsiasi tipo di investimento ed ammodernamento. Ci vogliono tanti anni per programmare quello che è il futuro dei nostri stadi e questa penso che sia la criticità più grossa. La seconda è la riforma del calcio e dei campionati soprattutto, non si deve solo discutere di numeri ma si deve fare un progetto sistemico che anche io nella mia candidatura del 2014 auspicavo.

Tornando ad Euro 2032, secondo te si giocherà a San Siro o per allora San Siro non esisterà più?
"Non lo so, perché su questo tema c’è tanta burocrazia. Da quanto si legge, si capisce e so, San Siro difficilmente verrà abbattuto, bisogna capire come poterlo riconvertire in un edificio idoneo alla città. Bisognerà capire se rientrerà nel palinsesto della candidatura per lo svolgimento degli Europei o se i piani verranno cambiati. Fino ad oggi abbiamo visto diversi progetti così come si è parlato di diverse zone che poi sono cambiate. Io penso che questa sia una necessità per Inter e Milan di trovare una casa importene per due società che stanno investendo tanto".

Approfondiamo la tua doppia esperienza in spagna. Con l’Atletico Madrid hai giocato un anno, con il Barcellona hai fatto 5 partite, ma ogni volta che torni vieni accolto come uno di casa? Com’è possibile?
"Io credo che la cosa più bella sia quella di essere riuscito in poco tempo a trasferire quello che ero, il giocatore lo conoscevano già, il Demetrio uomo no. La cosa anomala è che sono riuscito a trasferire la mia persona non solo a calciatori e dirigenti, ma anche ai tifosi ed è strano perché il tifoso di solito di affeziona a gente che ha fatto la storia del club. Quando ci si incontra è come se stessimo giocando ancora insieme, nonostante le poche gare fatte da compagni. Il rapporto che mi lega va aldilà delle gare giocate".

Chi è stato Messi per te?
"Io sono arrivato alla prima giornata e sono stato presentato in conferenza stampa. Il giorno dopo sono andato ad allenarmi, ma non c’era la squadra perché i ragazzi avevano due giorni liberi. Ad un certo punto arriva il presidente Gian Laporta e mi dice di essere in compagnia di un grande giocatore e io, mi vergogno a dirlo adesso, vedo arrivare questo ragazzino a cui viene chiesto “Leo tu sai chi è lui?” “Si, Albertini” poi chiede a me “Demetrio tu sai chi è lui?” e io risposi “no”. Lui aveva 17 anni e aveva appena vinto il mondiale U21. In allenamento c’erano due squadre per giocate a “torello” e in uno di questi c’erano quelli “normali”: Xavi, Iniesta, Puyol,… quelli della cantera, e poi c’erano i fenomeni: Roaldinho, Eto’o, tutti i brasiliani e Messi era con loro. Allora io gli dissi “devi giocare con quelli della Cantera”, dopo due allenamenti gli dissi di tornare di là perché era troppo forte per stare con noi. È un giocatore straordinario e per la prima volta penso di aver visto l’erede di Maradona. Io intravedo emozione nel suo gioco".

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