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Inter e Milan non avranno uno stadio a testa. Perché chissà quanto tempo servirà

di Andrea Losapio

"Due stadi separati sono una follia: meglio investire in giocatori". Le parole dell'amministratore delegato di WeBuild, Pietro Salini, rispecchiano esattamente il pensiero degli ultimi venticinque anni di calcio. Da una parte è vero, perché i calciatori sono un asset fondamentale di un club, sicuramente il principale per il valore attuale in un calcio senza impianti di proprietà. Ma come può una città come Milano non avere due stadi separati, uno per squadra? È ancora un mistero, soprattutto se è considerato come il centro economico del paese. Di fatto le parole di Salini sono smentite da quello che succede a Torino, pur con numeri diversi: c'è l'Olimpico e c'è lo Stadium, il primo certamente non all'altezza del secondo, come faciltiies e servizi.

Gli stadi a Milano dovrebbero essere due. Però attualmente costruire due stadi ha un costo talmente elevato che non può essere minimamente paragonato ai calciatori. Servirebbe un magnate "medievale" che metta soldi quasi sull'unghia per cambiare il corso delle cose. Nel frattempo, fra WeBuild e altro, le cose continuano a rimanere sempre le stesse, pur con incontri, scontri e scambi di opinioni fra le parti. San Siro ammodernato non c'è, le prelazioni sui terreni sì ma neanche una "prima pietra" posata. Si tratta di rilanciare sempre più in là il pallone, fino a quando verrà riconsiderata l'opinione originale.

D'altronde è lo stesso Salini a dirlo. "Su San Siro aspetto. Abbiamo fatto una proposta che risponde alle esigenze delle squadre, ora i proprietari americani stanno riflettendo su un nuovo stadio. Quando realizzeranno quanto tempo ci vuole in Italia per realizzare un nuovo impianto si analizzerà di nuovo il nostro progetto". Tradotto: un nuovo stadio non sarebbe pronto per quando le proprietà americane cederanno tutto. Quindi meglio investire sui giocatori. Sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere.


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