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Brocchi: “Voglia, umiltà e Capello. Ecco il mio Monza”

di Alessandro Rimi
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Al ‘Var dello Sport’, programma in onda al mattino su RMC Sport Network, è intervenuto Cristian Brocchi, attuale allenatore del Monza targato Berlusconi-Galliani, che ha parlato appunto dell’avventura in corso sulla panchina biancorossa e non solo.

L’ambizione è tanta, l’obiettivo è tornare in B quanto prima, un campionato che ha già sperimentato da tecnico…
«Brescia è stata un’esperienza bella, importante, che mi ha dato tanto. Avevamo a inizio anno l’obiettivo di salvarci. Alla fine del girone d’andata, con una squadra costruita con pochissime risorse, avevamo fatto qualcosa di molto buono, poi al ritorno ci sono stati problemi legati a cessioni e infortuni di calciatori titolari. Quando perdi quattro giocatori chiave poi diventa faticoso, non avendo alle spalle in quel momento una società forte economicamente, in grado di rimpiazzarli con elementi all’altezza. Comunque è stata una bellissima avventura. Ognuna di queste aiuta l’allenatore a migliorare e capire dove lavorare per le esperienze future»

La prossima infatti la porta in Cina, in qualità di assistente di Fabio Capello al Jiangsu Suning: perché questa scelta?
«Ero curioso di conoscere un sistema tanto distante dal nostro come quello cinese. Mi aveva fatto piacere la chiamata di mister Capello. Ricordo che mi disse: ”Ti seguo da diversi anni, mi piaci come allenatore e vorrei che venissi con me”. Parole per me molto importanti. Le esperienze estere ti rendono più forte, ti aiutano ad aprire la mente perché sei di fronte a culture e modalità diverse. Lavorare al suo fianco in quei dieci mesi è stato bello, avevo costantemente il confronto diretto con lui. Le mie proposte e idee venivano sempre condivise. L’ho visto nel rapporto con giocatori, ambiente e società e ho cercato di rubare quanto più possibile. La mia scelta di partire era stata fatta proprio per questo motivo: osservare da vicino un allenatore che nel corso della propria carriera ha vinto tutto».

C’è un episodio, un discorso, una parola che ricorda in maniera particolare?
«Era bello vedere come affrontava i momenti belli e meno belli. Capello sa gestire ogni situazione: alzava i toni se necessario, li smorzava quando lo riteneva opportuno. È stato tutto molto importante. Quando sono arrivato io la squadra era ultima in classifica e poi, a tre giornate dalla fine, ci siamo salvati. C’erano tensioni altissime, gli interessi economici pure, per non parlare della loro cultura che porta ogni calciatore a non voler mai accettare la sconfitta. Penso che il calcio cinese tecnicamente stia crescendo».

Dopo la Cina il ritorno in Italia sponda Monza: ha preso una squadra in affanno e l’ha resa, nell’ultimo periodo, quasi imbattibile. Come?
«La vera era Berlusconi-Galliani è partita a gennaio, perché quando hanno rilevato le quote del club il mercato era già chiuso e non si poteva intervenire su quella che era una squadra già fatta, con forza economica e obiettivi diversi. Ciò nonostante il direttore sportivo Antonelli, confermato con la nuova proprietà, aveva fatto un ottimo lavoro. Erano state scelte persone dalla grande umanità e professionalità. Ho trovato una società sana, fatta di gente seria con tanta voglia di lavorare al massimo. Per questo mi sono subito trovato a mio agio. Chiaro che il gruppo ha sofferto l’impatto mediatico dopo l’arrivo di Berlusconi, la grande pressione di dover vincere tutte le partite in un campionato nel quale nessuno riesce sempre a farlo. Il Pordenone e la Juve Stabia stanno viaggiando con un ritmo straordinario, ma stiamo parlando di un torneo molto difficile che presenta gare complicate da affrontare. Una squadra tecnicamente forte non basta per vincere, servono mentalità e voglia comune di raggiungere l’obiettivo. Aspetti che ho cercato di mettere a fuoco nell’ultimo ritiro a Malta. Da tre settimane si gioca ogni tre giorni e, per questo, si fa fatica a lavorare bene. Praticamente ci alleniamo giocando. Molti dei nuovi arrivi non giocavano da cinque o sei mesi, perciò la condizione non può essere ottimale. Stiamo cercando di migliorarla più in fretta possibile».

È stato un mercato invernale imponente per il Monza: l’obiettivo adesso qual è?
«Sono arrivati giocatori di categoria superiore ma, ribadisco, non basta per vincere. È importante che ognuno di loro metta in campo voglia e carattere. In tanti hanno scelto Monza nonostante avessero possibilità di restare in Serie B. Non abbiamo costretto nessuno attraverso particolari opere di convincimento. Siamo andati a cercare gente felice ed entusiasta di venire qui perché il tempo per lavorare è obiettivamente poco. Chi ha chiesto anche solo un giorno per pensarci, alla fine, non l’abbiamo preso».

Avrebbe accolto volentieri anche Cassano?
«Antonio è stato un grandissimo campione, al di sopra della media. Avrebbe sicuramente potuto fare molto di più nella sua carriera e lo sa anche lui».

Lei parte dal Milan e adesso guida il Monza in C: percorso insolito...
«Quello che conta è fare bene il proprio lavoro. Ogni allenatore ha bisogno di sentire la fiducia della società, trovare l’ambiente giusto per lavorare e capire qual è la soluzione ideale per quelli che sono i suoi valori. Io quando ho scelto di venire a Monza, quando mi ha chiamato Galliani, non ci ho pensato due volte. Avevo un entusiasmo grandissimo perché sapevo quanto una società così avrebbe lavorato su un progetto importante, con lo scopo di riportare il club in categorie diverse. Le scelte vanno fatte con un po’ di pancia, ascoltando le proprie sensazioni. A me sono sempre piaciute le sfide: da calciatore ho cominciato a giocare in C per arrivare ad avere la fortuna di vincere la Champions League. Mi sono sempre guadagnato tutto sul campo con impegno, umiltà e grande voglia di lavorare. La stessa cosa che sto facendo a Monza dove, da mattina a sera, proviamo a capire come far rendere al massimo questo gruppo ogni giorno. Speriamo di fare qualcosa di importante».

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