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A scuola da papà Lillian: a Marcus Thuram basta inginocchiarsi per rendere il calcio migliore

di Ivan Cardia
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

Lillian sapeva difendere come pochi nella storia del calcio. Marcus attacca e sogna un futuro in una big. In comune hanno il cognome, Thuram, non certo il ruolo. Ma di padre in figlio un passaggio c’è stato: non gli avrà insegnato a difendere, ma l’ex difensore di Parma e Juventus ha di sicuro impartito al suo pargolo la lezione più importante. Quella sulle battaglie giuste da combattere.

Marcus Thuram come Colin Kaepernick. Era il 2016 quando il quarterback dei San Francisco 49ers rimase inginocchiato durante l’inno americano. Il suo modo di aderire al movimento Black Lives Matter per i diritti degli afroamericani. Tre anni prima aveva trascinato i suoi al Superbowl (perso), da allora non ha più un contratto in NFL. Nella vittoria del suo Borussia Mönchengladbach contro l’Union Berlino, finita 4-1 anche grazie alla sua doppietta, Marcus ha deciso di imitarlo. Ginocchio per terra e testa bassa. Un omaggio esplicito a George Floyd, afroamericano di Minneapolis morto pochi giorni fa, dopo essere stato schiacciato a terra per oltre 8 minuti da un agente di polizia. Un evento che ha fatto divampare le proteste negli USA, e non ha lasciato indifferente la Bundesliga: oltre alla dedica di Thuram, anche Jadon Sancho, stella del Borussia Dortmund, ne ha offerta una a suo modo. In questo caso, una scritta sulla maglia: Giustizia per George Floyd.

Marcus come Lillian. Una battaglia, quella per i diritti dei neri, che dicevamo il figlio ha imparato dal padre. Sempre attivo, anche a costo di finire sopra le righe e (ce lo consentirà) sfociare negli estremi opposto. Ma essere duri, a volte, è l’unico modo per farsi sentire. E Lillian, che ancora in attività rispondeva per le rime a Le Pen o Sarkozy, lo sa benissimo. L’ha evidentemente insegnato al figlio. Insieme ad altri valori. Perché il “piccolo” Thuram, che tanto piccolo non è più se mezza Europa lo segue sul mercato, non ha solo ricordato il dramma di Floyd. Ha anche fatto qualcosa per un suo compagno di squadra: lo sfortunatissimo Mamadou Doucouré, che è arrivato a Gladbach 4 anni fa ed è riuscito a esordire solo ora per una lunghissima serie di stop. Thuram, che spesso per esultare impugna la bandierina, questa volta ha messo la maglietta del compagno sull’asta del corner. Come per dire: “Questo gol l’hai fatto anche tu”. Un gesto bello. Certo meno simbolico dell’altro. Che ha dimostrato, ancora una volta, quanto il calcio possa fare, e troppo spesso non fa, per mostrarsi un po’ più bello.

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