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A. De Rossi: "Avrei potuto allenare la Roma, ho rifiutato perché c'era mio figlio Daniele"

di Dimitri Conti
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

Alberto De Rossi, padre dell'ex centrocampista Daniele fresco d'addio alla panchina della Roma Primavera dopo quasi vent'anni per diventare responsabile sviluppo e formazione per gli allenatori delle squadre nazionali, ha rilasciato un'intervista ai media del club: “Trigoria per me è come una seconda casa, non l’ho mai considerata un posto di lavoro. Ho un rapporto benissimo con tutti. Il primo giorno mi ricordo perfettamente tutte le emozioni, quando mi dissero che l’interessamento era diventato realtà. Essere fedele per 29 anni per me è stato semplice. Oltre alla passione, il lavoro: è l'attaccamento al club che fa la differenza. Ho dimostrato questo attaccamento perché il legame è molto forte, questo fa passare tutto in secondo ordine, anche gli interessamenti di altri club. Questo mi ha portato a rimanere tutti questi anni qui”.

Quali obiettivi ha perseguito?
“L'obiettivo principale non è il piazzamento o vincere un trofeo, ma quello di portare giocatori in prima squadra. C’è chi utilizza il settore giovanile per crescere come allenatore, invece quello che noi facciamo qui è quello di far crescere i ragazzi. Non esiste trofeo che possa portarci fuori da questo obiettivo. Noi lo facciamo esclusivamente per la Roma”.

Che sensazioni ogni esordio...
“Ogni volta che un ragazzo debutta in prima squadra c’è l’emozione, poi la preoccupazione che lui faccia qualche errore e per finire la gioia di sentirsi utili al club”.

Che ruolo ha l'allenatore di ragazzi così giovani?
"Non mi voglio sostituire ai genitori, ma una guida si. La figura dell’educatore non mi piace molto, ma quando dobbiamo farlo interveniamo. Non mi piace imporre le cose, anche gli allenamenti condivido insieme ai ragazzi. Ho avuto tante dimostrazioni di affetto e condivisioni insieme ai ragazzi. Non mi piace entrare troppo nella loro privacy".

Lei e suo figlio, due bandiere della Roma.
“Lui bandiera, si. Io mi sento un lavoratore onesto. Ognuno ha fatto il suo lavoro, abbiamo rispettato gli spazi dell’altro e nessuno dei due ha parlato dell’altro. Poteva dare adito a chiacchiere. In passato ho avuto la possibilità di allenare la prima squadra e ho rifiutato proprio perché Daniele faceva parte di quel gruppo. Credo che avrei creato problemi. Tra i due lui è più romanista. Chiamarla fede mi sembra forte, ma non gli riuscivamo mai a togliergli la maglietta della Roma da piccolo”.

Come vive il nuovo ciclo?
"Con la nuova direzione di Vincenzo Vergine si è instaurata una sintonia. Abbiamo vissuto le stesse esperienze".

E il nuovo ruolo?
“Cambio spazi e competenze. Una cosa è allenare una squadra e l’altra una squadra di allenatori e staff. Sono curioso e metterò tutto il mio impegno”.

Cosa sente di aver dato da quando è alla Roma?
"Alla Roma ho dato professionalità, senso di appartenenza e ho cercato di dare uno stile. Dicono che noi romani siamo poco seri, questo non è vero. Se io penso alla Roma penso a un punto di riferimento. Mi sono fatto molti amici è stato un rapporto a 360°, farei fatica a farne a meno”.

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