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Gigante por natureza, il Brasile è sempre il paese con la maggior produzione di talento del globo. Ma Endrick e gli altri devono saper gestire le nuove pressioni

di Carlo Pizzigoni
Giornalista, scrittore, autore. Quattro libri, tanti viaggi. Tutti di Calcio. Su Twitter è @pizzigo. Su Twitch con @lafieradelcalcio
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“In Brasile. Dobbiamo cercare in Brasile i nuovi talenti. Ma ve lo ricordate Mircea Lucescu allo Shakhtar? Prese Douglas Costa, Fernandinho, Willian… tutti presi a pochissimi euro poi diventati grandi giocatori che hanno portato successi e poi tanto denaro dalle loro cessioni!”
In un luogo e anno sconosciuto, durante una delle tante riunioni in cui si parla di mercato, in una società che rimane misteriosa sul tavolo apparve questa considerazione.
Era probabilmente una considerazione giusta, il visionario tecnico rumeno aveva investito in ragazzi che si stavano affermando e avrebbero di lì a poco fatto la storia del club ucraino.
Era una considerazione giusta, sì, ma era tardi. Una squadra della caratura internazionale e della potenza economica dello Shakhtar non può più permettersi quei giocatori su quel mercato.
Il Brasile è sempre il Paese che produce il maggior numero di giocatori di talento, ma è cambiato radicalmente il mercato.
La squadra più importante del Mondo, il Real Madrid, negli ultimi anni, per giocatori del livello apparentabile alle intuizioni di Lucescu, ha preso, nell’ordine: Vinicius Junior, Rodrygo, Reinier e pochi giorni fa ha ufficializzato l’acquisto del sedicenne Endrick dal Palmeiras per una cifra minima di 60 milioni di euro, pronta a scollinare sopra i settanta tra tasse e bonus. Di più. Se i vari Vinicius e Rodrygo, entrambi firmati per una quarantina di milioni, non avevano visto crearsi un’asta, per l’imberbe talento del Verdao si era registrato anche un tentativo del Paris Saint Germain, che ha permesso al club di San Paolo di spuntare qualche euro in più dai Blancos.

La più grande fucina al mondo di talenti
Oggi i grandi club vanno alla fonte, e la fonte più rigogliosa del mondo rimane il Brasile.
E’ notizia di queste ore, l’acquisto da parte del Chelsea di Andrey Santos, centrocampista di super qualità classe 2004 del Vasco, protagonista di una grande stagione nella squadra carioca appena tornata in Serie A. Così come Matheus França del Flamengo sembra sia vicinissimo al Newcastle, club che ha grandi possibilità economica, controllato dal fondo sovrano direttamente gestito al principe ereditario del regime saudita. Tre giocatori che faranno parte di una sottospecie di Dream Team in potenza, che disputerà il sudamericano under 20 nel finale del mese di gennaio. Nel recente passato il Manchester City ha investito sul giovane Yan Couto (2002), prelevato dal Coritiba, ora in prestito al Girona e Kayky (2003) acquistato dal Fluminense e ora parcheggiato in Portogallo al Paços Ferreira.
Due talenti veri che, soprattutto il secondo, si attendevano già pronti per un livelli più importanti e il cui processo di maturazione pare essere in qualche modo rallentato.

Da Vinicius a Reinier
In Brasile si chiedono ormai da tempo se l’approdo in Europa, per ragioni economiche ma non solo, assolutamente ormai naturale possa fare male allo sviluppo del giocatore. Non sarebbe più corretto fare il passo oltre oceano una volta già compiuto il processo di maturazione, almeno quello embrionale? Domanda legittima ma che non può avere una risposta unidirezionale: se c’è un Vini che quasi subito ha impatto nel Real Madrid c’è un Reinier che fa fatica a trovare minuti, vuoi per infortuni vuoi per scelte sbagliate.
Per ognuno c’è un percorso e, non solo per i brasiliani, non è mai facile trovare quello ideale (pensiamo a tanti giovani italiani che hanno perso tempo in campionati primavera poco formativi). Certo è che rispetto al passato, parliamo di 10/15 anni fa, manager con pochissimi scrupoli piazzavano talenti in formazione in squadre dell’est Europa per intascare alte commissioni e poi sparire, rovinando intere carriere (mi viene in mente il povero Celso, talento della Portuguesa, esploso al Mondiale under 17 del 2005, piazzato in Russia e poi abbandonato, ma l’elenco sarebbe infinito e potrebbe comprendere anche il giovane Thiago Silva, lasciato in un ospedale sempre russo con la polmonite dopo un prestito alla Dinamo Mosca: poi l’ex Milan è un fenomeno anche di testa e ne è venuto fuori da un abisso del genere, ritornando in Brasile e recuperando il terreno perduto).

Gigante por natureza
Insomma, oggi la situazione è migliorata. Ma rimane dura per un ragazzo giovanissimo dover diventare professionista anche solo a 14 anni, in più aggiungete social, con hater pronti a giudicarti non solo al primo errore in campo ma anche alla prima scivolata nella vita, e possibilità economiche clamorose.
Ci vuole una famiglia, un gruppo di lavoro professionale al tuo, una società seria e attenta a ogni tuo passo ma consapevole di doverti lasciare le giuste libertà. Ci vuole tanto talento per emergere, e non parliamo solo di campo, anche se lì dentro nasce tutto.
E poi ci vuole, sempre, il Brasile: o Pais de futebol, duecento milioni di persone e una magia unica. C’è una frase dell’inno brasiliano che parla del Paese come Gigante por la naturaleza, Gigante per sua stessa natura. Parla di quel territorio magnifico e unico, ma possiamo declinarlo anche nel calcio. E infatti Neymar se lo è giustamente tatuato sul petto…

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