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Cucinotta, italiano e capocannoniere di Coppa Campioni. L'unico con una straniera

di Gaetano Mocciaro
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Nella storia della Coppa dei Campioni/Champions League ben cinque italiani hanno vinto la classifica dei marcatori, ma solo uno lo ha fatto con una squadra straniera e per di più nemmeno di prima fascia. E mentre il naturalizzato Altafini dominava col Milan, Mazzola con l'Inter, Paolo Rossi e Alessandro Del Piero segnavano nel Vecchio Continente con la maglia della Juve, Franco Cucinotta trascinava il piccolo Zurigo fino alle semifinali della Coppa dei Campioni, stagione 1976-77. Solo il Liverpool, poi campione nella finalissima a Roma, sbarrò la strada agli elvetici e al suo attaccanta, nativo di Novara di Sicilia e che ha mantenuto solo la cittadinanza italiana, anche quando avrebbe potuto difendere i colori della Svizzera. Ai microfoni di Tuttomercatoweb Franco Cucinotta ci racconta la sua storia:

Franco Cucinotta: nato in Italia ma cresciuto in Svizzera
"Ho lasciato la Sicilia a 8 anni. Mio padre come tutti gli italiani nel 1960 aveva bisogno di lavorare. Ha preso la decisione di venire in Svizzera, ha trovato un lavoro come meccanico. Siamo arrivati a Montreux, e ricordo che vidi per la prima volta la neve".

Il cognome ci riporta subito all'attrice Maria Grazia Cucinotta
"Siamo parenti alla lontana. Il padre di Maria Grazia era un cugino di mio nonno. Non ci siamo mai conosciuti".

Lei in Svizzera ha fatto molto bene ma non solo. È stato il primo e finora unico italiano a vincere la classifica dei marcatori della Coppa dei Campioni/Champions League
"Ero in stato di grazia, con lo Zurigo segnai in campionato 28 reti in 20 partite. In Coppa dei Campioni all'epoca c'era l'eliminazione diretta e segnai due reti ai Rangers, due alla Dinamo Dresda e ho segnato al Turku. Arrivammo fino alle semifinali, dove incrociammo il Liverpool di Kevin Keegan, con cui ho scambiato la maglia. A ricordarmi quella stagione il trofeo della UEFA di capocannoniere, che conservo con grande orgoglio".

L'hanno mai cercata dall'Italia?
"Avevo la possibilità di andare alla Fiorentina, ma venendo da una federazione straniera c'era all'epoca non potevo trasferirmi in un campionato professionistico italiano, dato che era vietato l'arrivo di giocatori di altri campionati. C'era un escamotage, ossia essere tesserato per un club dilettantistico per poi passare l'anno dopo a fare il professionista. Ma io ero a Zurigo, avevo un contratto triennale e non avevo voglia di fare un passo indietro nei dilettanti. Ne parlai con Artemio Franchi, mi disse di andare a giocare alla Rondinella e poi dopo potevo fare un altro contratto con una squadra italiana, in quel caso la Fiorentina. In quel momento non ho voluto prendere il rischio. Poi è arrivata con lo Zurigo la cavalcata fino alle semifinali di Coppa dei Campioni e sono stato premiato con un importante contratto. Dopo tre anni a Zurigo sono passato al Chiasso, dove ho giocato con José Altafini".

Lei aveva la possibilità di giocare per la nazionale svizzera
"Siamo a metà degli anni '70, avevo fatto molto bene a Sion e mi hanno chiamato dalla nazionale svizzera. Eravamo tre italiani: Ponte, Barberis e io. Mentre gli altri due hanno accettato di giocare per la Svizzera, io volevo essere convocato solo dall'Italia. Nonostante ciò il ct Roger Vonlanthen, ex giocatore dell'Inter, mi convoca. Io però gli dico: 'Mi spiace, ma sono italiano'".

Pentito?
"No. Ho 4 figli, tutti svizzeri. Ma io ho voluto restare italiano. E poi la nazionale svizzera all'epoca non era tanto interessante, non faceva molti risultati".

Nel 1980 l'Italia riapre le frontiere
"Per me è troppo tardi. Dall'Italia non arrivano più offerte, niente. Continuo in Svizzera, segno tanto, oltre 150 gol in carriera".

Avrebbe voluto un'altra esperienza, a parte l'Italia?
"Guardi, quando avevo 21 anni c'era il Nantes su di me. Lo Zurigo però chiedeva troppi soldi".

Che giocatore era?
"Centravanti potente, alla Chinaglia. Ma giocavo col numero 8. Il 9 era occupato".

Interessante il suo post carriera
"Sono andato in Africa ad allenare. Costa d'Avorio, Senegal, Algeria, Nigeria. Poi a 48 anni sono ritornato in Svizzera. Africa bellissima, ma pericolosa: mi è capitato di finire in mezzo a due colpi di stato. E poi l'organizzazione faceva a dir poco desiderare".

Di cosa si occupa adesso?
"Ho iniziato a occuparmi diciamo di relazioni pubbliche, offro lavoro interinale. In passato ho fatto anche l'assicuratore e avevo una società con la mia ex moglie, un'azienda di modelle. Curavamo il casting e l'organizzazione di Miss e Mister Svizzera".

A Minsk le hanno dedicato un'ala di un'ospedale
"Nel 1992 ho organizzato una partita di beneficienza per una raccolta fondi per i bambini malati di leucemia: Svizzera-Resto del Mondo. I bambini bielorussi sono stati un mese in Svizzera e poi sono tornati a Minsk. Vicino all'ospedale c'è un punto di riposo per i bambini, con una quarantina di letti, le sale gioco e dove i parenti possono andare a trovarli. Hanno messo una targa col mio nome, per riconoscenza all'aiuto che ho dato a loro. È una cosa che mi riempie d'orgoglio".

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