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ESCLUSIVA TMW - Oshadogan: "Kean stia tranquillo. Chiellini e Allegri perfetti"

di Andrea Losapio
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

"Dobbiamo lasciare tranquillo Kean". Sono le parole di Joseph Dayo Oshadogan, primo calciatore di colore nell'Under21 italiana, nel lontano 1996. "Le parole di Bonucci? Preferisco parlare di Chiellini, mi identifico totalmente in quello che ha detto, è stato un capitano vero. Kean è un patrimonio della Juve e del nostro calcio, perché ci devono essere certi episodi? Non c'è niente da fare, l'italiano non si riconosce in un ragazzo diverso dall'aspetto caucasico, se vai in Francia, Inghilterra, Olanda... Tutti possono essere olandesi, in Italia capita che ti chiedano i documenti, è normale".

Dal suo esordio sono passati 23 anni...
"Il momento storico non è dei più favorevoli per trattare l'argomento, c'è esasperazione. Non lo dico io, è sotto gli occhi di tutti, quindi va bene così. A fine anni ottanta, inizio novanta, è successo più di una volta, nei campi di periferia. Ho sempre riscontrato questi eccessi. Anche a Ferreira Pinto, ex Atalanta, in Serie D, qualche settimana fa, in Pontisola-Como. L'ho saputo perché ha sposato una ragazza di Lanciano, suo suocero mi affittava la casa".

Ripeto, sono 23 anni.
"La questione è che la storia si ripete sempre. Andando indietro con gli episodi, Smith ha alzato il pugno nel 1968, Carlos lo ha imitato. Norman, uno dei più grandi atleti bianchi della storia, è stato denigrato per il suo condividere questi diritti civili".

E lì ne sono passati 51.
"L'uomo è così, inteso come genere. Kean ha esultato stando fermo, nient'altro. Poteva fare qualsiasi cosa dopo quello che ha sentito, c'è stato qualcuno che ha detto che era anche colpa sua, che ha sfidato, ma di che stiamo parlando?".

E quindi cosa si può fare?
"Ci sono dei regolamenti, cerchiamo di farli rispettare, richiamiamo l'educazione. Stemperiamo quest'atmosfera. Se stare allo stadio dev'essere sfottò, che lo sia, senza insulti. Gioire per la propria squadra è normale. Il calcio non è la cosa più importante, ma ha delle responsabilità. Alle volte meglio una parola in meno che troppe spiegazioni. Riportiamo tranquillità, se lo sport è solo sfogo, gli stadi terreno franco diventa dura per tutti. Poi volgere al peggio il passo è breve, anche nel sociale".

A Cagliari non è la prima volta.
"No, mi ricordo Balotelli dopo un rigore con il Milan. Eto'o nel 2010 rispose agli ululati razzisti imitando una scimmia. Muntari con il Pescara... Il presidente Giulini ha detto che sarebbe capitato a qualunque calciatore che si fosse permesso di esultare in quella maniera. Non lo so".

Allegri sta tentando di gestire Kean.
"Nutro profonda stima per lui, ha sempre fatto i passi giusti, ha soppesato i momenti. Tutto quello che gli è arrivato non è successo per caso. Faccio un passo indietro, lo juventino mi sembra una persona educata, al posto suo, non sopra le righe. Gli vogliono bene tutti, è stato in Nazionale, è seguito da due fra i coach migliori d'Italia. Può dare tanto, avrà anche bassi. Faccio il più grande degli in bocca al lupo, che rimanga così, serio e posato".

Parlando di lei, primo azzurro di colore in Under21.
"C'era un grande allenatore, la buonanima di Cesare Maldini, una persona di calcio, tutta di un pezzo, d'altri tempi. Mi convocò facendo il suo lavoro, seguendo le sue valutazioni, senza fattori esterni. È partito tutto nella normalità, l'ho vissuta come un qualsiasi ragazzo che mi ha preceduto o succeduto. Come un diciannovenne, contentissimo di rappresentare l'Italia. Mi sento italiano, non sono mai stato in Nigeria nonostante il doppio passaporto. Ho madre italiana, nonno italiano...".

E poi?
"Si è scatenato questo bailamme perché ero il primo che vestiva l'azzurro. Fu una cosa grande, io l'ho scoperto mentre ero già lì, è stato forte. Mediaticamente il 1996 non era il 2019, con Internet e i social".

E nemmeno tutti gli insulti di oggi.
"C'è tanta Italia, nei social. È un po' nel nostro costume, ci esponiamo sempre poco per il pensiero personale, nascondersi è più semplice. Poi il momento storico è difficile, si sono esasperate tante cose. Ripeto che il calcio non è la cosa più importante, ma da qualche tempo su questi argomenti... la risonanza data da uno stadio fa il resto".

Nel 1997, a Foggia, le capitò di essere vittima di razzismo da parte di un compagno.
"La cosa spiacevole avvenne, era però una cosa di spogliatoio. Durante il litigio scappò la solita parola, all'epoca ero un ventenne dai bollenti spiriti, bastava poco per farmi saltare la pazienza. Il mister cercò di stemperare".

Però se la prese con Burgnich, il tecnico.
"Ho capito la sua posizione con il tempo, all'epoca l'ho vissuta sul personale. Il ruolo costringe a tenere le dinamiche nello spogliatoio, a mediare, prendere decisioni nell'interesse di tutti, il singolo deve avere pazienza. L'ho capito con la maturità, da Burgnich ho imparato molto, non gli ho portato rancore. Lì per lì mi diede molto fastidio, certi limiti non vanno oltrepassati".

Qual è il giudizio sulla sua carriera?
"Mi ritengo un fortunato, ho potuto raggiungere obiettivi sognati e immaginati. Poi ci vuole un pizzico di buona sorte, ci ho messo nel mio nell'esordire tra i professionisti, in Under21, in Serie A, le esperienze all'estero".

A proposito, ha militato nel Monaco, arrivando in finale di Champions.
"Avrei voluto vivere meglio quell'esperienza, ero al massimo della maturità fisica e tecnica. Dopo due mesi, due e mezzo, ho avuto un brutto infortunio al ginocchio, crociato anteriore, posteriore, menisco, fascia alata e collaterale. È capitato, ma nella sfortuna mi hanno fatto operare da uno dei migliori d'Europa. Mi fosse successo in B, in Italia, avrei smesso di giocare. Invece così ho giocato a buoni livelli, non quelli, per altri sette anni".

Com'è arrivato a Monaco?
"L'anno prima ero a Cosenza, in una stagione paradossale, insieme a Stefano Casale, mio compagno anche a Reggio Calabria. Lui è stato per un periodo alla Sampdoria e in quella stagione abbiamo fatto due trasferte a Genova. A Monaco come vice c'era Pezzotti - che poi lo è stato anche di Lippi - e chiese a Casale informazioni su di me. Quando mi svincolai mi domandò se ero disposto a provare: telefonata alle 18, ero a Montecarlo alle 23. La mattina dopo ho cominciato i test, due settimane dopo ho firmato. Ringrazio Casale, che sento tutti i giorni, Pezzotti per l'opportunità e Deschamps che mi valutò".

Beh, alla fine ha esordito in Champions.
"Un preliminare, per l'onor di cronaca. Però sono andato in tribuna contro il Real Madrid, in panchina contro il Chelsea. Sono esperienze belle, purtroppo ho fatto poco perché mi feci male un'altra volta al ginocchio, seconda e terza operazione".

In Polonia i tifosi sono famosi per qualche episodio di razzismo.
"Mi chiamò Boniek per andare al Widzew Lodz, c'erano tanti ragazzi che poi andarono a giocare in Nazionale. Rzeźniczak, Wawrzyniak, Broz, tutti giovani. Dovevo dare una mano come giocatore di esperienza, non c'era impostazione a livello tattico. Con i tifosi si creò un'empatia fortissima, ho sempre dato molto per qualsiasi maglia, non mi sono risparmiato nemmeno quando avevo infortuni. Tutt'oggi, quando sono a Lodz, mi vogliono bene. E non ho mai avuto episodi come in Italia".

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