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I 52 anni di Rui Costa, il 10 rimasto nel cuore di Fiorentina e Milan

di Redazione TMW
Fonte: Benedetto Ferrara - intoscana.it
Rui Manuel César Costa (Lisbona, 29 marzo 1972) è un dirigente sportivo ed ex calciatore portoghese, di ruolo centrocampista, presidente del Benfica.
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© foto di Federico De Luca

Il ragazzo riassunto in un numero e in tre lettere, che Firenze non potrà mai dimenticare. Gol, assist, lacrime, ore piccole ad aspettare una coppa: buon compleanno campione

Se uno dei segreti del successo risiede nel cogliere l’attimo, il nostro lo utilizza per mandare in goal i compagni. Il dribbling ad aggirare (più che saltare) l’avversario gli permette di aprirsi spazi verso l’orizzonte ove si muovono gli attaccanti. Non solo libera i compagni davanti alla porta ma li serve con il giro giusto, sempre all’unisono con il movimento del tiro.

Batistuta e Shevcenko scaraventano in rete i palloni che è solito servire senza necessità per loro di sistemarsi la sfera. Per tali pennellate d’autore non poteva che scegliere Firenze.
E’ un trequartista a tutto campo dall’intelligenza sopraffina. Nel momento in cui si allontanerà dall’Arno in direzione Milano, batterà ogni record di assist. Sarà lui il trequarti nel trionfo di Manchester e, quando il talento di Kakà travolgerà il calcio italiano, anziché lasciargli il posto si vedrà ritagliato un ruolo a fianco nell’iconico albero di Natale destinato alla conquista del tricolore. Chi non l’ha visto giocare non sa cosa si è perso.

Firenze non potrà mai dimenticare quel ragazzo riassunto in un numero, il dieci, e in tre lettere: erre, u, i: Rui. Manuel Rui Costa, fantasista dal lancio perfetto, dall’assist poetico, maestro di quel tiro che girava sul palo lungo lasciando tutti senza parole, non solo ha segnato gli anni novanta dipinti di viola come il grunge ha segnato il rock in quel decennio, ma soprattutto quelli di una Fiorentina ambiziosa dove il ragazzo portoghese, in coppia con Batistuta, trascinava in Italia e in Europa i sogni di una città.

Lui ha vissuto momenti che pochi altri calciatori possono raccontare a figli e nipoti, attimi di commozione surreale, riti collettivi mai visti altrove. Firenze teatro onirico di calcio e passione. Oltre ogni limite, anche fuori orario: tra il cuore della notte e un’alba non poi così lontana. Così accadde, nell’aria gioiosa e leggera di un aftehour di Primavera. La squadra che torna da Bergamo alle tre del mattino ed entra in uno stadio che non ha nessuna intenzione di andare a letto. Rui alza la Coppa Italia, la gente impazzita, Claudio Ranieri che sorride alla notte insieme ai suoi ragazzi, a quella squadra che lui stesso aveva ripreso in B, prima che Vittorio Cecchi Gori ci buttasse sopra altri soldi e altri sogni.

E’ Firenze la città a cui Rui Costa ha dato di più: 215 presenze, 38 reti e una valanga di assist

Oggi quel portoghese maestro del pallone, del misurare le parole, del gestire se stesso e ciò che gli gira intorno, compie 50 anni, e ci sta che stia ripensando ai lampi più folgoranti di una carriera mai interrotta: Benfica, Fiorentina, Milan e poi di nuovo a Lisbona, la sua città, quella che lo ha visto prima dirigente e poi Presidente della sua società del cuore. Ma è Firenze la città a cui Rui Costa ha dato di più: 215 presenze, 38 reti e una valanga di assist. Due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana presa a San Siro contro la squadra che un giorno sarebbe diventata il suo ultimo passaggio in Italia prima del ritorno a casa.

Ed è proprio tra il mesto declino di quella Fiorentina e la maglia rossonera che uno dei dieci più amati, scoperto all’Europeo Under 21 da un altro dieci, il più grande per ogni tifosi viola, Giancarlo Antognoni, che si consumò un altro rito, un altro momento “perfetto” per una canzone malinconica di terra portoghese. Piovono garofani, scendono lacrime. La maratona è la platea, il campo è il palcoscenico. Una maglietta grigia e un microfono in mano. Manuel Rui Costa, il capitano del dopo Batistuta, dice addio alla sua gente. Dalle casse salta fuori “Baila la Portuguesa”, donne, uomini, anziani e bambini salutano quel dieci che se ne va.

Eroe di Wembley, Rui Costa aveva riportato a Firenze l’orgoglio di possedere un grande numero dieci

Uno degli eroi di Wembley, di quella vittoria sull’Arsenal che resta nella storia del calcio fiorentino. Rui Costa era davvero un fantasista stiloso dal passo elegante. Pupillo del grande Eusebio, Rui aveva riportato a Firenze l’orgoglio di possedere un grande numero dieci, numero magico sbiadito dall’addio di Roberto Baggio. Non un dettaglio, tra le strade di una città dove l’arte e la bellezza sono scenografia del vivere quotidiano. Rui Costa aveva la fortuna di avere qualche metro più avanti Batistuta. L’argentino poteva dire di avere l’uomo giusto dietro le spalle. I due, amici inseparabili in quegli anni di vita in viola, trasformarono la Fiorentina in qualcosa di difficile da replicare a stretto giro.
Il primo se ne andò, dopo nove anni, a vincere uno scudetto a Roma. L’altro preparò le valige, insieme a Toldo, per permettere a Cecchi Gori di incassare 85 miliardi, quelli che dovevano servire a rimettere a posto i conti. Quello era un saluto, ma era soprattutto un grazie gigantesco e reciproco. Lui ringraziava Firenze per l’amore ricevuto, i tifosi ringraziavano lui per i suoi lampi di classe e per quei soldi che però, lo si capì poco dopo, non servirono a salvare la Fiorentina dal fallimento. Anche per questa ragione quel ragazzo riassunto in un numero e in tre lettere non potrà mai slegarsi dalla sua storia fiorentina. Un racconto pieno di cose: di gol, di assist, di lanci, di vita, di sogni, di ore piccole ad aspettare una coppa e infine di lacrime, con quei garofani che scendono sull’erba mentre un fado accompagna un ragazzo verso l’addio. Auguri di cuore Rui, ragazzo della nostra storia.

(di Benedetto Ferrara per INTOSCANA.IT)

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