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Tarantino: "Modelli condivisi per i giovani. E dal Barça ho imparato che..."

di La Giovane Italia
La Giovane Italia vi porta alla scoperta dei nuovi talenti del calcio italiano, raccontandovi ogni giorno, alle 8:45, le storie dei giovani di casa nostra e dei club che scommettono su di loro
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© foto di Federico De Luca

Dopo sei anni da direttore del settore giovanile della Roma, Massimo Tarantino è da un anno"sul mercato" in cerca di una nuova sfida professionale. L’ex difensore di Inter e Bologna, tra le altre, è in attesa di un offerta legata ad un progetto di suo interesse. “Al momento non ho niente all’orizzonte di concreto” spiega il dirigente di Palermo, “sono in attesa di poter valutare un progetto serio e che mi stimoli. Ho avuto qualche possibilità e qualche avvicinamento, ma non erano il tipo di progetto che mi faceva sognare".

Stai cercando solo a livello di settore giovanile?
“Il settore giovanile rappresenta una parte importante della mia vita professionale, ho imparato molto in questi anni a proposito di formazione, per cui mi piacerebbe continuare a lavorare con e per i giovani, ma solo per un club che crede davvero in un progetto su di loro. Lavorare con i ragazzi rappresenta una grossa responsabilità, per cui servono condizioni particolari e investimenti adeguati e non tutti i club possono permettersi di farlo. In realtà potrei valutare anche altre sfide o altri incarichi, ma vediamo cosa arriva e non mi dispiacerebbe iniziare un percorso diverso con una prima squadra”.

Cosa caratterizza secondo te un buon settore giovanile?
“Un buon settore giovanile lo devono volere il club e la proprietà, devono credere in questo ramo d’azienda. Se la società non fa passare il messaggio che il settore giovanile è importante si corre il rischio di disperdere tempo, energie e risorse economiche senza creare patrimonio tecnico. Servono investimenti economici importanti, ma anche persone competenti che abbiano una cultura del settore giovanile, che abbiano valori e che possano essere modelli per i ragazzi. La componente umana è fondamentale. A questo bisogna affiancare un progetto didattico all’avanguardia e condiviso per tutto il settore giovanile: in Italia siamo spesso abituati a vedere club dove non c’è un collegamento didattico tra le squadre, creando così disomogeneità all’interno del settore giovanile stesso, con contrasti sui principi di gioco, mentre invece sono del parere che serva un modello uniformato in tutto il settore giovanile. Alla Roma eravamo riusciti ad uniformarlo e ad avere e uno stile unico, dall’Under 10 fino alla Primavera. La filosofia per tutte le squadre era simile. Un buon esempio di questo modello secondo me è il gruppo Red Bull, perché coinvolge tutti i club del gruppo. Personalmente l’ho trovato difficile da realizzare per una sola società, immagino le difficoltà per diverse squadre”.

Come si riesce ad impostare un lavoro che vada dall’Under 10 alla Primavera?
“Si coinvolgono tutti i collaboratori del settore giovanile, si spiega l’esigenza del club di avere un nuovo modello di settore giovanile e si lavora insieme a loro per trovare le nuove linee guida. Dopo di che si uniformano sia il modello didattico/formativo sia lo stile di gioco, così che tutti lavorino in modo coerente alle nuove linee definite dall’esigenza club e dal loro confronto. Bisogna condividere, in ogni categoria degli obiettivi: l’allenatore avrà un ruolo importante in questo progetto, dovrà trasferire le sue conoscenze ed esperienze pur restando all’interno del modello didattico stabilito. Alla Roma abbiamo abbattuto queste barriere, identificando il nostro percorso didattico e facendo capire quale fosse la nostra idea di settore giovanile”.

Dev’essere difficile però trovare un intero gruppo di allenatori che si uniformi ad un’unica filosofia.
“Ognuno deve essere libero di fare la propria esperienza: non c’è una strada unica e se una persona ha idee diverse è giusto cerchi di fare la sua strada a modo suo. Una delle cose che ho imparato, in un’esperienza all’interno del Barcellona, me l’ha insegnata Joan Vilà, capo della metodologia del Barcellona, che mi disse: ‘Non siamo sicuri che il nostro modello sia migliore o peggiore di altri, ma sicuramente è quello che ci piace’. Quindi non esiste un modo giusto o uno sbagliato: gli allenatori che faranno parte del settore giovanile devono sviluppare un’identità ed è importante che tutti loro si ritrovino in questa filosofia".

E cosa dici del gruppo di allenatori che hai avuto a Roma? Qualcuno ha già iniziato a fare percorsi importanti?
“È ancora un presto per dirlo, perché abbiamo coinvolto allenatori giovani che stanno maturando esperienze, anche se alcuni di loro cominciano a confermarsi tra i professionisti come Francesco Baldini (lo scorso anno a Trapani serie B), con cui ho condiviso sia un’esperienza al Bologna sia alla Roma, vincendo anche uno scudetto con l'Under 17. Anzi, approfitto per fargli i miei più grandi complimenti per il Master appena ottenuto a Coverciano. Poi non vanno dimenticati tutti quegli allenatori che rimangono devoti al settore: un esempio su tutti è Alberto De Rossi, che ha deciso di lavorare con i ragazzi fin dalla sua prima esperienza professionale, o tutti quegli allenatori come Fabrizio Piccareta, attualmente alla Under 17 della Roma, che pur avendo fatto grandi esperienze all’estero con le prime squadre ha deciso di mettere le sue esperienze a disposizione dei ragazzi”.

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