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Garcia, Sarri, Mourinho e Allegri, quanto è dura fare l’allenatore

di Fabrizio Ponciroli
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Mi sono sempre chiesto quale sia la motivazione che spinge una persona ad allenare. Indubbiamente, se lo si fa a livelli non professionali, è gratificante e stimolante ma, quando ci si siede su panchine prestigiose, ci sono altri aspetti da tenere in considerazione. Uno su tutti: se le cose vanno male, si diventa il colpevole numero uno. Se c’è qualcuno che deve pagare per la squadra, state certi che toccherà all’allenatore. E’ sempre stato così e sarà sempre così. Anzi, oggi è ancora peggio. Da quando la figura dell’allenatore è diventata ancor più importante, ecco che la pressione sul tecnico è triplicata. Non è mai stato facile come ruolo, ai giorni nostri è quasi impossibile svolgere il mestiere di allenatore… Qualche esempio per capirci…
Partiamo da Garcia. Già accettare di sedersi sulla panchina azzurra dopo il capolavoro di Spalletti significa avere “great balls” come dicono gli inglesi. Decidere poi di imporre le proprie regole, senza tener conto dell’ambiente (particolare), è un’altra scelta coraggiosa, così come non tentennare mai neanche quando l’intero Maradona è pronto a scannarti vivo. Onore a Garcia per la pazienza serafica ma la domanda sorge spontanea: chi te l’ha fatto fare? Difficile pensare che sia stata una questione di soldi (tutti conoscono De Laurentiis, mai incline a strapagare nessuno), più probabile l’ambizione di dimostrare di essere in grado di fare altri miracoli in stile Spalletti. Auguri…
Diverso il discorso che riguarda Sarri. Se il ruolo di allenatore fosse limitato al rettangolo di gioco, Sarri sarebbe uno dei migliori al mondo. Tuttavia, nel calcio moderno, c’è molto altro da fare quando si guida un club. Ecco, Sarri, da questo punto di vista, continua a picchiare la testa contro il muro. Le sue dichiarazioni sono sempre “rischiose”.

Se non si lamenta per i troppi impegni ravvicinati, ecco sperare che Spalletti, CT della Nazionale, convochi meno laziali possibili. Diciamo che le critiche un po’ se le cerca, no? Eppure, nonostante le 64 primavere sulle spalle, non ha nessuna intenzione di mollare. Perché? Sempre una questione di ambizione? Forse…
Ambizioso lo è sempre stato Mourinho, un altro che “combatte” da una vita in panchina. La sua, in quel di Roma, sembra una missione. Vuole stupire ancora, come ha fatto vincendo la Conference League. A chi fa sapere che sarebbe a rischio esonero, risponde sul campo. Contestualmente dichiara che, un giorno, allenerà in Arabia Saudita. Insomma, tutto e di più, in perfetto stile Special One. Tuttavia, anche in questo caso, è normale chiedersi perché, con lo status che ha, debba vivere ancora situazioni del genere? Uno come Mourinho può accettare di essere messo in discussione dopo sette partite di campionato dopo tutto quello che ha vinto? Difficile rispondere…
Chiudo con Allegri, l’allenatore che, più di chiunque altro, è nei pensieri di tanti tifosi (juventini e non). Sia che vinca, sia che perda, si parla di lui. In tanti lo considerano un tecnico sopravvalutato e non più adatto al calcio d’oggi. C’è chi arriva a sperare in una sconfitta della Juventus, pur di non volerlo più sulla squadra per cui fa il tifo (parliamone, si è davvero tifosi comportandosi così?). Eppure, mai una parola fuori posto da parte di Allegri che, al massimo, se la prende per la questione infortuni. Lui va avanti per la sua strada, infischiandosene di chi continua a cavalcare l’hashtag #allegriout. Perché lo fa? Questa volta credo di avere la risposta: perché si diverte…
Il mestiere dell’allenatore è difficile, complicato e, forse, anche un pizzico folle…

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