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#SarriOut e #ConteOut: quando le prime due sono le panchine che scottano di più

di Ivan Cardia
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Tra le venti panchine della prossima Serie A, ve ne sono due che magari non ballano ma di sicuro bruciano più di tutte. Ma non parliamo di quelle dalle quali, reduci da una stagione mediocre, sarebbe lecito attenderselo. Viceversa, si tratta delle due posizioni che, classifica alla mano, ci si aspetterebbe come le più salde di tutte. Juventus e Inter. Il primo e il secondo allenatore della classe. Anzi, per usare un frasario più vicino a uno dei due protagonisti, il vincente e il primo dei perdenti del campionato. Un paradosso tutto italiano? Forse non è questo il punto: in Francia, per esempio, Tuchel è spesso in discussione. E in Spagna c'è Setien, secondo in Liga ma sulla graticola anche per uno spogliatoio in subbuglio.

#SarriOut e #ConteOut. Nelle ultime ore ha spopolato più il secondo dei due hashtag, ma nel corso della stagione Twitter ha visto spesso e volentieri in tendenza il primo. "Merito" dei due popoli calcistici più numerosi d'Italia: i quasi 9 milioni di tifosi della Juventus da un lato, i quasi 4 milioni di sostenitori dell'Inter dall'altro. In totale, 13 milioni di appassionati che discutono della possibilità di silurare, almeno per i punti fatti, il miglior allenatore della Serie A e quello che gli è finito dietro di una sola lunghezza.

Presupposti complicati. In entrambi i casi, non sono stati affatto due innesti semplici. Maurizio Sarri è arrivato a Torino dopo la parentesi al Chelsea, ma gli anni da pasionario alla guida del Napoli erano e sono ancora vivi e vividi nella memoria dei supporter bianconeri. Discorso ancora più complesso se guardiamo al passato di Antonio Conte: di veleni, col mondo Inter, ne sono scorsi a fiume lungo i suoi anni da calciatore, capitano, allenatore della Juventus. Chi guardava e c'era a Perugia, per citare ancora una frase storica del salentino, se l'è ritrovato all'improvviso in panchina.

Il primo vero passo falso. È quello che rischia di essere pagato a caro prezzo. Sarri ne ha abbozzato qualcuno lungo il campionato, ma ha poi sempre avuto la bravura di metterne in fila un paio giusti. Ora è atteso al momento clou vero e proprio: nessuno alla Continassa ammetterà mai che il suo futuro passa dalla sfida col Lione, ma sarebbe impossibile far finta che non sarà uno snodo centrale. Conte ha camminato su un territorio impervio dopo la vittoria sull'Atalanta: non tutti hanno gradito bordate molto pesanti, arrivate dopo il successo sulla miglior squadra del post lockdown. E la promessa di "mai più pazza Inter", fatta via social a maggio di un anno fa, è finita nel dimenticatoio troppo presto.

Crisi di rigetto. Il guaio è che può essere bilaterale. E qui forse sta la vera differenza tra due situazioni da maneggiare con cura. Nel caso di Sarri, è davvero difficile ipotizzare che stia rimpiangendo di aver accettato l'offerta della Vecchia Signora: lo scudetto ha rappresentato il coronamento di una carriera, ora si gioca la Champions da potenziale protagonista. E in fin dei conti, pur con qualche difficoltà, è riuscito a far convivere le sue idee con la flessibilità necessaria per vivere tranquilli sulla panchina della Torino bianconero. La stessa Juve, in ultima analisi non avrebbe troppo interesse a tornare sui suoi passi: l'investimento, anche mediatico, su Andrea Pirlo come allenatore del futuro è di quelli da non sottovalutare. Un paio di stagioni con Sarri ad alti livelli sarebbero il miglior modo di preparare il terreno al Maestro. La musica è molto diversa, sponda Inter: la reazione della società a delle vere e proprie bastonate è tutta da verificare. Anche sul lungo pericolo, ché il colloquio di ieri pomeriggio ha avuto toni pacificatori perché, con il Getafe alle porte, non poteva essere altrimenti. Lo stesso Conte, per quel secondo posto così lontano dalla sua natura, è di sicuro arrabbiato con se stesso. Ma non soltanto. Raggiungere il modello Juve in una sola stagione era realisticamente impossibile in appena dodici mesi. Le differenze tra la sua impronta e la storia recente dell'Inter, nonché le distanze emotive tra due piazze molto lontane a dispetto della vicinanza geografica, si fanno sentire eccome. L'hashtag, in questo caso, se l'è scritto da solo. Il rischio? Compromettere il proprio futuro, se per progettarlo si guarda sempre a un passato non più percorribile.

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