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Luis Suarez debutta nel Nacional. Un ritorno alle radici per costruire un sogno, riportare l'Uruguay a vincere un Mondiale.

di Carlo Pizzigoni
Giornalista, scrittore, autore. Quattro libri, tanti viaggi. Tutti di Calcio. Su Twitter è @pizzigo. Su Twitch con @lafieradelcalcio
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Quando alla fine del Settecento si sposava un piemontese più che altro erano felicitazioni.
Quella volta però andò meglio del solito, perché quello non era un matrimonio, era un casamiento, dal momento che lei, la sposa, era una spagnola e, con tanto di mantilla, si sposava in Spagna.
Il piemontese, Giovan Battista Crosa, aveva acquistato dei terreni ad oriente del grande Rio de La Plata, un fiume che anche unendo il Po e il Manzanarre non se ne faceva la metà per ampiezza, e il giorno dopo ci si imbarcava per andarci a vivere.
Come sempre gli europei quando arrivavano da quelli parti (ri) battezzavano le terre degli indios con i toponimi dei luoghi da dove provenivano e siccome i Crosa venivan da Pinerolo, quel gran latifondo a 15 km da dove il grande rio ed il mare si confondono, venne chiamato così, Pinerolo.
Giusto il ritocco per adattare la pronuncia piemontese del Settecento al castigliano del luogo che li avrebbe ospitati per sempre. Per le popolazioni che occupavano la Banda Oriental, l’Uruguay sarebbe nato più tardi con la fattiva collaborazione di un nizzardo piuttosto noto anche da noi, suonava più o meno così: Peñarol.

Il Club Nacional
Su quelle terra, molti anni più tardi le ferrovie inglesi specialiste nell’incidere i territori el subcontinente, avrebbero creato una squadra di calcio per il dopolavoro degli operai, colori, quelli imposti dall’ordine britannico per le railway, giallo e nero. Inizialmente imbattibili nei primi tornei di calcio. Poi però lo spirito charrua monta anche nel nuovo gioco, il football diventa futbol, e un gruppo di studenti decide che non è più tempo di prendere sculacciate, e che Questo giocatore doveva diventare completamente roba loro. Niente più inglesi o lavoratori stranieri delle ferrovie, la nuova squadra, nata da una serie di fusioni di piccoli club, avrebbe visto in campo solo giocatori nati in Uruguay, e avrebbe assunto il nome di Club Nacional. Era nata la più grande rivalità del Paese in cui la magia del calcio è più pura. Ma come vi spiegate che da quei tre milioni scarsi di abitanti escono sempre giocatori competitivi?
Se il Penarol mette in bacheca i primi titoli continentali, presto vengono raggiunti dal Nacional che negli Anni Ottanta dello scorso secolo è sempre più competitivo. I due mondiali della Celeste se li dividono, maggior predominio dei giocatori del Nacional nel ‘30, mentre il Penarol vede più protagonisti nel Maracanazo del ‘50, con Schiaffino e Ghiggia una spanna sopra.
Qualcuno si è recentemente messo in testa di aggiungere un terzo Mondiale alla collezione, anche se tutti gli uruguagi parlerebbero di quinta stella dato che per loro le vittorie alle Olimpiadi del 1924 e del 1928 rappresentano già Coppe del Mondo vinte, visto che Jules Rimet non aveva ancora messo mano alla competizione che cambierà per sempre i destini del nostro sport, rendendolo davvero planetario.

La generazione Suarez
Per vincere il terzo (o il quinto, fate voi) Mondiale, c’è bisogno la generazione degli 86-87 sposi alla perfezione quella nata tra il ’97 e il 2000. Roba forte. Fa parte della prima il maggior cannoniere della storia della Celeste, Luis Suarez.
Reduce da un matrimonio decisamente più rumoroso di quello dei Crosa di Pinerolo: è tornato a Montevideo per sposare il Nacional, il club dove è cresciuto e che ha abbandonato presto per andare a giocare in Europa, alla ricerca della donna della sua vita, la Sofi, come la chiama lui. E non a caso c’era lei accanto al “Pistolero, domenica, quando il popolo del Nacional ha celebrato l’ingresso a casa, nel ristrutturato Parque Central, con “de la mano de Luis Suarez, todos la vuelta vamos a dar” come sottofondo musicale, cantato da tutti, ma proprio da tutti. Anche dai suoi nuovi compagni che hanno atteso al campo Suarez (Gigliotti gli ha consegnato la sua maglia numero 9), arrivato a Montevideo con l’aereo personale di Leo Messi, protagonista anche di un video sparato sul monitor durante la festa: “noi tifosi del Newell’s non abbiamo un gran ricordo del Nacional (finale di Libertadores persa, nel 1988, ndr), ma stai tranquillo, ti seguo lo stesso fratello”, ha sottolineato ridendo il 10 argentino.

Solo per Papa Wojtyla c'è stata più gente
Solo quando Papa Wojtyla planò a sul Rio de La Plata si è vista così tanta gente in strada, dove hanno fatto capolino, magari non indossando il giallonero anche i tifosi del Penarol, perché Lucho ha dato lustro anche alla loro anima charrua: tutti hanno visto, e ammirato, con quale determinazione Suarez gioca, quando indossa la maglia di tutti, quella Celeste
Stanotte Suarez si siederà in panchina nel quarto di finale di Copa Sudamericana contro i brasiliani dell’Atletico Goianiense, tutti credono che il tecnico Pablo Repetto gli concederà qualche minuto.
Inizia quindi qui la rincorsa al Mondiale del Qatar. Non lo confesseranno forse mai, ma tutti in Uruguay non smettono di sognare. L’invito a tutte le altre rappresentanti mondialiste e a non sottovalutare l’anima di questa gente unica. La parola Miracolo, nel calcio, l’hanno inventata loro. Può risuonare il prossimo dicembre.

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