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La generazione Gnonto non esiste. Non è (solo) colpa dei grandi club e delle richieste folli: all'estero i baby non hanno paura di fare le valigie. In Italia i giovani non hanno questo coraggio

di Marco Conterio
Nato a Firenze il 5 maggio del 1985, è caporedattore di Tuttomercatoweb.com. In Rai a 90° Minuto, Notte Azzurra e Calcio Totale, è stato firma del Messaggero e speaker di Radio Sportiva.
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Quella di Wilfried Gnonto è una generazione che non esiste. E' una storia unica, bella, di coraggio, di sorprese, è un percorso che può essere un nuovo inizio per il calcio italiano, ma per adesso è una mosca bianca. Perché ci lamentiamo del fatto che in Serie A non giochino gli italiani, che i ragazzi non trovino spazio, che alle società manchi l'intraprendenza per lanciarli e pure che i club di fascia medio-piccola chiedano cifre troppo esose per farli partire. Tutto vero ma non consideriamo una cosa, un fattore a cui nessuno pensa e che invece è determinante nella mancata nascita e crescita dei giovani talenti italiani. Ai nostri ragazzi manca il coraggio di far le valigie giovanissimi e andare all'estero in cerca di nuove fortune e, forti di questa assodata certezza, le società straniere oramai cercano altrove.

Pochi e poco famosi
Gnonto è andato in Svizzera a sedici anni ma quanti come lui? Gaetano Oristanio è andato al Volendam e prima di lui Samuele Mulattieri. Parliamo però di piccole squadre, col rispetto per le dimensioni, per le scelte, per il coraggio e pure per il talento di questi ragazzi. Tuttomercatoweb.com ve lo ha raccontato in uno speciale di ieri: i calciatori italiani all'estero non ci vanno. Lo ha fatto Franco Tongya all'Olympique Marsiglia in un'operazione tra il tecnico e il bilancio. Lo ha fatto Sebastiano Esposito, sì, ma in Svizzera. E poi? Tra chi gravita in Nazionale, ad attingere conoscenze e a giocare nelle grandi squadre, c'è qualche nome, ma tutti hanno scelto di giocare all'estero una volta maturata esperienza in Italia. Il caso di Gianluigi Donnarumma è sui generis, Marco Verratti rientra nella categoria delle eccezioni e pure Jorginho, che ha comunque sangue brasiliano.

L'impietoso confronto con l'Under 21 francese
Nell'Under 21 dell'Italia di ieri avevamo, in orde sparso: un portiere e un difensore reduci dalla promozione dalla B. Un giovane tra Primavera e prima squadra del Napoli. Una punta in panchina nel Torino. Un ragazzo che gioca tra C e A con la Juventus. Un giovane mediano del Genoa, il terzino dell'Empoli, un centrale dell'Atalanta, un baby del Milan reduce dal prestito alla SPAL e via discorrendo. Quanto all'estero? Nessuno. Tutti a giocarsi il posto in Serie B, solo Giacomo Quagliata arriva dall'estero ma è all'Heracles, tra le piccole d'Olanda. Giusto per paragonare: nell'Under 21 della Francia che ha giocato il 2 giugno contro la Serbia c'erano, tra gli altri. Meslier, titolare tra i pali del Leeds. Kalulu, centrale del Milan. Fofana, titolare del Leicester in coppia con Badiashile del Monaco. Caqueret, perno del Lione, Camavinga con la 10 che gioca al Real Madrid, Gouiri e Thuram, titolari del Nizza.

Il coraggio di Bellingham
E non ci si nasconda dietro il fatto che 'le società italiane chiedono troppo a quelle straniere', perché il Borussia Dortmund ha speso 35 milioni di euro per portar via Jude Bellingham al Birmingham City. Aveva anche proposte dalle grandi d'Inghilterra ma ha preferito andar via perché pensava che il progetto tecnico del BVB fosse giusto per lui. E' solo un esempio delle scelte dei ragazzi inglesi, spagnoli, francesi, portoghesi e via discorrendo. E' una questione di mentalità, l'attaccamento alle radici è una tematica profondamente italiana che trascende pure il football ma staccarsi dalle gonne del pallone nostrano dovrebbe essere il primo passo per rilanciare il movimento. Perché nelle nazioni di cui sopra, nessuno lamenta la fuga dei cervelli, a patto ovviamente che questo circumnavigare di giovani calciatori sia accompagnato anche dalla gestione virtuosa dei ragazzi da parte delle società. C'è il coraggio di lanciare i prodotti della cantera in Spagna, c'è la tendenza a prendere i migliori al mondo in Inghilterra, c'è la forza di una nazione con minori pressioni e maggiori possibilità in Germania e così via. In Italia c'è tutto e il contrario di tutto, invece. C'è pressione, c'è la voglia del tutto e subito, non ci sono investimenti sui settori giovanili. Ma credete che all'estero non piaccia vincere e che far emergere un Gavi, un Moukouko, un Ekitike, un Jones, un Foden, basti a soddisfare i fondi, gli emiri, le miliardarie proprietà internazionali?

Meno Kokorin e più Scamacca
Alle società manca il coraggio di puntare sui giovani, l'auspicio è che le limitazioni sui prestiti snelliscano le rose da tanti calciatori arrivati dall'estero come investimenti sbagliati o come gregari mancati e che diano spazio a questi ragazzi. Una strada non escludere l'altra: si preferiscano i giovani della cantera ai vari Kokorin, ai Jovane Cabral, ai Ballo-Touré, ai Supryaga, ai Warming, ai Nastasic, ai Mikael e via discorrendo. Negli ultimi tempi alcuni giovani, giovanissimi, hanno scelto di provare l'esperienza nei settori giovanili all'estro: Pisano al Bayern, Ndour al Benfica, Franchi al PSG. Ben vengano queste storie, perché se oggi Scamacca e Bellanova giocano in Nazionale, è forse anche perché nel loro percorso di uomini e calciatori hanno vissuto lontano dall'Italia, in Olanda e Francia. Mettersi alla prova, con coraggio. Lo fanno sempre in meno e dal nostro paese sono solo mosche bianche che non fan notizia se non per lo "scippo alla Serie A". Ecco. Quando cambieremo mentalità e capiremo che non son furti ma solo modi per far diventare uomini degli eterni ragazzi incompiuti, forse riusciremo a far sì che uno Gnonto faccia primavera.

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