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Agnelli ci ripensa: ecco da cosa dipende la permanenza di Pirlo. L’unica certezza dell’Inter si chiama Antonio Conte, lo capiranno gli interisti? Il Milan è Maldini, e occhio all’acquisto per il prossimo anno

di Tancredi Palmeri
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Non sembrava possibile, ma adesso comincia a montare la paura nel camp Juventus. Il che è francamente assurdo e irreale, ma anche sintomatico di come dal post Cristiano Ronaldo la Juve, toccato l’apice manageriale con l’operazione del secolo, abbia poi imboccato una china di improvvisazione tecnica che non ha niente a che vedere con quanto realizzato fino al 2018, tra allontanamenti nell’organigramma, campagna acquisti per accumulo con i conti fuori dalla finestra, e zero programmazione tattica in base alle proprie esigenze.

Eppure c’è tantissimo di buono alla Juventus. Il problema però è la concezione generale, o forse quello in cui si vuole credere e di cui ci si vuole illudere.

Innanzitutto comincia a circolare la leggenda che la rosa della Juventus sia non solo inferiore all’Inter ma che in generale non sia un granché: un rilievo assurdo se si pensa a tutto il ben di Dio che la Juve ha a disposizione in ogni reparto, al punto che persino nella domenica in cui è falcidiata dalle assenze in difesa, può comunque permettersi di schierare una linea Chiellini-Bonucci-Danilo, che al meglio se la giocherebbe per essere la più forte. Per non parlare dei giocatori capaci di deciderla da soli: nessuno può disporne di così tanti.

La seconda leggenda poi, quella sulla rosa troppo vecchia: davvero? Negli ultimi due anni si sono aggiunti de Ligt, Demiral, Arthur, McKennie, Chiesa, Kulusevski, a cui aggiungere Bentancur e Rabiot che vecchi sicuramente non sono. Vuol dire 8/11 dei titolari, completati qui e là dai pronti o maturi Cristiano Ronaldo, Dybala e Morata. Quindi quale squadra vecchia, se nessuno ha aggiunto così tanti titolari giovani nell’ultimo biennio?

I problemi principali invece sono due, non legati direttamente, ma uno richiama l’altro.

Rimanendo al discorso societario, il punto è che si è proprio proceduto per accumulo, non per esigenze reali: per cui c’è tanta roba a disposizione, come nessun altro può apparecchiarne, però non è detto che sia quello che ti serve. Finché gli avversari hanno problemi, procedere per accumulo può bastarti: giochi male, ma una soluzione dalla panchina prima o poi la trovi. Ma quando gli avversari cominciano a salire di grado come gioco espresso, allora la situazione si complica: ecco dunque l’anno scorso dove la Juve ha rischiato di lasciarci la pelle, ed ecco quest’anno dove due squadre vere come Milan e Inter, con tutti i problemi che possono avere per carità, ma che hanno una idea chiara di gioco, un progetto tattico alla base, e sanno disporsi al sacrificio, ecco allora che ti mettono in scacco.

E che porta però al problema principale: ovvero, da mesi a questa parte, a che gioca Pirlo?
4-4-2 e contropiede, né più né meno. Se di fronte hai un Crotone o un Benevento limitati ma che ci mettono tanta intensità, vai in sofferenza. Se trovi una grande che ti concede spazi, stringi i denti e la colpisci in contropiede. Come con il Milan o con il Barcellona. Sempre che non sia al suo meglio, come contro l’Inter, e allora in quel caso affondi.
Ma nemmeno si può chiedere a Pirlo di essere quello che non è, o quantomeno non è ancora, ovvero un allenatore pronto ed esperto. Fa tutto parte del processo di crescita.

Ma sorgono adesso nuovi problemi.
Primo: possibile che nello scegliere Pirlo, si sia andato così tanto a fari spenti, senza capire cosa gli servisse, come volesse giocare, nonché se fosse stato davvero l’uomo adatto? Verrebbe da dire: impossibile, è la Juventus. Eppure guardando all’improvvisazione con cui è stata condotta la trattativa per Suarez, affidandosi a Transfermarkt per capire se avesse o meno la nazionalità italiana, e prendendo precedentemente McKennie senza curarsi che riempisse l’ultima necessaria casella da extracomunitario, viene il sospetto che davvero una scelta così fondamentale sia stata fatta solo sull’onda dell’emozione per amore dell’ex leggenda.

Secondo, e più recente in ordine temporaneo, ma che adesso diventa più importante: pare che Andrea Agnelli non sia più così sicuro della scelta su Pirlo.

Intendiamoci: il presidente stesso sapeva bene che non poteva pretendere tutto e subito da Pirlo, e che può fare parte dell’ordine delle cose eventualmente perdere il primo scudetto dopo 9 anni, tanto più con una rosa in metamorfosi. Nessun dramma dunque nemmeno in caso di Triplete al contrario, fa parte del rischio d’impresa messo a bilancio da Agnelli in sede di scelta.

Il problema però è che ci si aspettava a questo punto, metà stagione, maggiori progressi. O meglio, ci si aspettava ci fosse una idea di base su cui lavorare e da sgrezzare, insomma un inizio di percorso che non facesse già intravedere l’arrivo, ma che quantomeno facesse sentire il senso del percorso.

E invece, sorgono i dubbi perché tutto sembra appeso. Tranne l’esplosione di Chiesa, che sembra dovuta più alle sue caratteristiche, non c’è un’idea di solidità, ci sono dubbi su come sono gestiti talenti preziosi come Kulusevski e Arthur, e lascia molto interdetti il fatto che i centrocampisti non solo giochino male, ma non si capisce quale sia il loro compito quando scendono in campo.

La vittoria in Supercoppa potrebbe ridare fiducia, ma in verità sul piano del carattere e dello spirito di squadra la preoccupazione è relativa, come visto contro Barcellona e Milan. Il problema è capire se c’è un progetto tattico di base.

In fondo la sconfitta contro l’Inter è stato un normale 2-0. Ma a ben vedere, con le 9-palle gol-9 sprecate dai nerazzurri, il rischio di sveglia storica per la Juve è stato concretissimo, robe tipo lo 0-6 che diede il Milan all’Inter di Tardelli, o l’1-6 che diede la Juve al Milan di Sacchi-2, o lo 0-4 che diede l’Inter al Milan di Leonardo.

E la domanda è: siamo sicuri che se ci fosse stata una sveglia storica simile (dopo averne presa comunque una niente male dalla Fiorentina) il futuro di Pirlo non avrebbe avuto conseguenze se non immediate quantomeno ineluttabili?

Perché se credi in un progetto, nemmeno una notte terribile può metterti il dubbio. Ammesso che tu ci creda a quel progetto…
La Juve non avrebbe nemmeno alternative a disposizione: Simone Inzaghi e Pochettino, cercati in estate, sono ormai andati; per ora Zidane non si muove; e ci sarebbe Allegri libero, che Agnelli avrebbe ripreso, ma il suo ritorno significherebbe addio a Paratici e Nedved, e quella sarebbe un’ulteriore rivoluzione senza aver un nuovo piano pronto.

Insomma Pirlo c’è perché non c’è un piano B. Il problema è che per ora Pirlo non sembra avere il piano A.
E la Juventus aspetta, ma adesso si comincia a pensare che se si fallissero gli Ottavi contro il Porto, o se non si rientrasse tra i primi 4 in campionato, allora forse il Maestro non sarebbe ancora pronto per esercitare la professione.

Di dubbi invece su Conte se ne sono distribuiti centinaia, migliaia. Da fuori e dall’interno del mondo della tifoseria Inter. Alcuni legittimi, come sull’integralismo su Eriksen, o sulle incertezze sui cambi. Altri francamente piuttosto pretestuosi, al punto che fosse difficile non farli risalire all’antipatia personale nei confronti dell’uomo, da parte degli juventini traditi o da parte degli interisti integralisti.
L’Inter ha sbagliato e aveva lacune, ma era dipinta come una squadra in crisi senza manico. Eppure al di là del disastro in Champions, era pur sempre una squadra costantemente seconda per tutto il campionato, e che aveva messo in fila 8 vittorie consecutive come non riusciva a fare da 12 anni. E Conte era pur sempre un tizio che da un anno e mezzo la teneva nei piani altissimi della classifica, quando nei 9 anni precedenti l’Inter non aveva mai chiuso a meno di un -20 dalla Juventus.
Nessuno dei dettagli è un dettaglio, eppure sembrava che quanto Conte sbagliasse fosse molto di più, o che addirittura avesse perso lo spogliatoio.

Poi arriva una partita come Inter-Juventus, e allora delle due l’una: o è un miracolo irripetibile, oppure non c’è serenità di giudizio su Antonio Conte. Perché per carità l’Inter è maestra di grandi imprese e capitomboli conseguenti e inspiegabili, ma una prestazione con un tale sacrificio da parte dei tuoi uomini non la ottieni se non hai in mano lo spogliatoio, e soprattutto un tale capolavoro tattico non lo svolgi se non hai una base dietro su cui hai edificato.
Non ha vinto nulla Conte, e permangono i problemi di concentrazione che una grande squadra non soffre. Ma un conto è avere un aspetto su cui lavorare per migliorarsi, altro è essere dipinto come un pasticcione senza il quale l’Inter volerebbe verso un futuro radioso.
La verità è che in questo momento Antonio Conte è la vera certezza dell’Inter: la proprietà che sembrava dogma granitico invece lascia dubbi e sgomento per il futuro, i giocatori fanno ben sperare ma molti di loro lo stanno raggiungendo adesso il loro picco di rendimento in carriera - chissà come mai proprio adesso - e allora vuol dire che la certezza a cui gli interisti si devono appendere se vogliono il bene dell’Inter è Antonio Conte, uno che in una situazione societaria di tale provvisorietò per ora sta riuscendo addirittura a fare rendere la squadra ancora meglio del normale.

E anche il Milan ha una bella certezza. Non solo Pioli, catalizzatore del progetto tattico. Ma soprattutto Paolo Maldini, deus ex machina del progetto tecnico. Ha fatto un primo anno di apprendistato in cui ha sbagliato molto e forse si è anche fidato delle persone sbagliate, ha imparato, ha avuto una visione e un progetto (parola chiave di questo discorso su tre squadre, su chi ce l’ha e chi no): i giovani, il tipo di calcio, la guida tecnica, gli acquisti mirati di gente esperta senza sfiduciare i giovani. Quello che voleva Elliot senza però averne il know how, quello che Maldini ha impiegato un po’ a registrare finché non ha scelto il percorso giusto.
Andrà come andrà, tanto nei risultati quanto nella proprietà, ma Maldini è la vera pietra miliare di questa società che garantisce non necessariamente la vittoria, ma quantomeno il senso di un progetto.
E siccome a Milan se sta mai coi man in man, comincia anche la programmazione del 2021-22.
Perché il Milan ha raggiunto un accordo di massima con il brasiliano Otavio, trequartista 25enne del Porto, brevilineo e talentuoso, con pochi gol ma re degli assist in Portogallo, con moltissimi colpi e con poca costanza - un problema che in parecchi hanno risolto al Milan di Pioli. E’ in scadenza dunque fa in tempo a sentire controfferte, ma il Milan sembra determinato e il brasiliano pare abbia già preso la sua decisione.

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Martedì 30 Aprile 2024
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