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Stefano Pioli è ancora l'allenatore giusto per il Milan? Rudi Garcia non lo è mai stato per il Napoli. Così Inter e Juventus possono dar vita a un lunghissimo testa a testa

di Raimondo De Magistris

Stefano Pioli è l'allenatore del Milan da 1483 giorni. Chiamato nell'ottobre 2019 per traghettare la squadra fino al termine della stagione, Pioli è diventato l'allenatore più importante dell'era post Berlusconi. Al posto giusto al momento giusto: ha capito che il Milan era l'ultima grande occasione per affermarsi come tecnico di grande livello e l'ha sfruttata nel migliore dei modi. Prima ha scacciato l'ombra di Rangnick, poi ha vinto lo Scudetto. Ha conquistato una semifinale di Champions League ed è sopravvissuto al terremoto dirigenziale, restando in sella anche quando la nuova proprietà aveva deciso che bisognava voltare pagina e andare oltre Maldini e Massara.
Stefano Pioli ha proposto in questi anni un gioco godibile, riconoscibile. Gli va riconosciuta grande pazienza e ottimi guizzi come quando lo scorso anno passò a tre per risolvere i problemi difensivi e poi tornò a quattro giusto in tempo per spazzare via il Napoli dall'Europa. Il mondo Milan gli è riconoscente, così come lo è il suo gruppo. Ma se le parole hanno un peso, quanto detto e fatto da alcuni protagonisti rossoneri nell'ultima settimana denota una scollatura che non ha precedenti nella sua gestione.
Dopo la netta sconfitta al Parco dei Principi contro il PSG, il capitano Davide Calabria ha provato a richiamare tutti all'ordine: "Chi non ci crede stia a casa". Pioli l'ha ripreso pochi secondi dopo: "Non doveva dire quelle parole. Ha sbagliato".
Passa qualche giorno e arriva la sfida contro il Napoli. Arriva un primo tempo che permetterebbe al Milan di archiviare la pratica già al duplice fischio, ma poi a inizio ripresa si fa agguantare dai guizzi di Politano e Raspadori.
Pioli in questa rimonta subita ci ha messo del suo. Già la decisione di schierare Romero al posto di Pulisic dal 46esimo aveva fatto non poco storcere il naso, figurarsi quella di richiamare in panchina Giroud e Leao nel momento decisivo della partita. Il portoghese dopo il cambio ha fatto tutto il giro del campo e poi è andato a chiedere spiegazioni faccia a faccia. "Perché? Perché?", ha domandato al suo allenatore nonostante tre suoi compagni - strada facendo - abbiano provato a ricondurlo a più miti consigli. Giroud invece è uscito sbuffando e a fine partita s'è interrogato a microfoni accesi sull'atteggiamento palesato dalla squadra nella ripresa: "Dopo il primo gol loro hanno preso e fiducia e noi non sapevamo se dovevamo continuare ad attaccare o a difendere. Sono deluso".
Ecco, se le parole e i gesti hanno un peso, queste situazioni pesano come macigni sulle prospettive rossonere di Stefano Pioli. Che fino a qualche mese fa aveva Paolo Maldini con cui confrontarsi e oggi invece si ritrova senza grosse figure di riferimento. Più protagonista ma anche più esposto, senza la dirigenza che l'ha sempre difeso e senza la fondamentale figura di Zlatan Ibrahimovic. Una esposizione che sta sfociando in confusione.

Rudi Garcia è l'allenatore del Napoli da 138 giorni. Ha preso la guida dei campioni d'Italia dopo il passo indietro di Luciano Spalletti e innumerevoli no. "Va apprezzato il suo coraggio nell'accettare questa sfida", ha sottolineato Aurelio De Laurentiis che in questi giorni - dopo non aver trovato l'accordo con Antonio Conte - sta provando in tutti i modi a sopportarlo e a supportarlo. Anche se è il primo a sapere che la scelta non sta pagando, che non è l'allenatore giusto.
A Garcia va dato il merito di aver indovinato un paio di cambi all'intervallo di Milan-Napoli, ma se i rossoneri non sono usciti coi tre punti da San Siro è solo perché nel primo tempo hanno sciupato tanto e nella ripresa si sono lasciati sorprendere da un paio di giocate individuali.
Il primo tempo di Milan-Napoli è sembrato il secondo tempo di Napoli-Lazio. Più in generale, appena si alza un po' il livello delle avversarie questa squadra mette in mostra tutti i suoi limiti difensivi, la sua disorganizzazione. Ha subito 12 gol in 10 gare di campionato, gli stessi di Lecce, Torino o Hellas Verona. Ha otto punti in meno rispetto alla scorsa stagione, una media che oggi non garantirebbe l'accesso alla prossima Champions League.
Ha perso contro Lazio, Fiorentina e Real Madrid, ha pareggiato in rimonta contro il Milan. Ha dilapidato il vantaggio che il Napoli s'era conquistato nella scorsa stagione, soprattutto non ha mai convinto. Rudi Garcia è costantemente sulla graticola e se oggi è ancora al suo posto è solo perché De Laurentiis non ha (ancora) trovato un'alternativa credibile. Ma può questa essere una motivazione credibile attorno alla quale costruire una stagione?

"L'allenatore bravo è quello che non fa danni", direbbe Malesani. Ma l'allenatore bravo è anche quello che gode di fiducia: della piazza, soprattutto dei suoi dirigenti. E da questo punto di vista né Giuntoli né Marotta negli ultimi mesi hanno mai dato segni di cedimento. Non è un caso quindi se oggi, con le romane già fuori dalla corsa Scudetto, il discorso per il tricolore 'rischia' di tramutarsi presto in un lunghissimo derby d'Italia. Nonostante tutto, nonostante scivoloni e inciampi, attorno a Inzaghi e Allegri s'avverte una serenità diversa. Che fa gruppo, produce risultati. Non proprio ciò che stanno vivendo Milan e Napoli.


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