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In Arabia Saudita le "piccole" si ribellano: troppa distanza con le squadre sostenute dal PIF

di Michele Pavese

Fuori dal PIF nessuno è contento. In Arabia Saudita si fanno "figli e figliastri": Al Nassr, Al Hilal, Al Ahli e Al Itthad, insieme all'Al Ettifaq (che non fa parte del fondo ma è supportato grazie ad alcuni legami familiari), spendono e spandono e acquistano campioni affermati e giovani promesse, mentre il resto delle squadre non riesce ad attirare le grandi stelle. Nonostante abbiano sostegni esterni (ad esempio l'Al Qadsiah è finanziato dalla compagnia petrolifera Aramco) alcuni club stanno affrontando una grave crisi sportiva e si interrogano sul futuro del campionato.

Così, mentre l'Al Ittihad ha ingaggiato Moussa Diaby dall'Aston Villa per 60 milioni di euro, l'Al Wehda ha a malapena una rosa di 14 giocatori per iniziare il campionato (domani il via). A questo punto sembra abbastanza chiaro che il sogno di rendere la Saudi Pro League uno dei campionati migliori del mondo stia naufragando: mentre alcuni vivono nell'abbondanza, altri inizieranno il campionato con seri problemi.

L’estate scorsa, l’Arabia Saudita ha scosso il calciomercato mondiale stanziando 1,5 miliardi di euro per acquistare alcune stelle internazionali: il primo è stato Cristiano Ronaldo, poi sono arrivati Laporte, Mané, Neymar, Malcom, Milinkovic-Savic, Rubén Neves, Bounou, Benzema, Kanté, Fabinho, Mahrez, Firmino, Gabri Veiga e Kessie. Tutti giocatori che sarebbero titolari indiscutibili in quasi tutte le squadre del Vecchio Continente. In questa sessione sono invece approdati Aubameyang e Nacho ma adesso le "piccole" alzano la voce e reclamano maggiore equità, per rendere lo spettacolo ancora più gradevole. Altrimenti la maggior parte delle partite saranno a senso unico.


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