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Alberto Marchetti: "Questo Cagliari non mi convince, zoppica in attacco"

di Redazione TMW
Fonte: Matteo bordiga per tuttocagliari.net
Alberto Marchetti (Montevarchi, 16 dicembre 1954) è un allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo centrocampista.
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© foto di Calcio2000 n. 244

Le prime tre giornate di campionato non lasciano tranquillo Alberto Marchetti, grande ex rossoblù che, fino a oggi, ha visto un Cagliari zoppicante e, soprattutto, scarsamente qualitativo. Per Marchetti urge a gennaio intervenire sul mercato, per puntellare soprattutto centrocampo e attacco.

Alberto, che impressione le ha fatto il Cagliari in questo avvio di stagione?

“Ad essere sincero non l’ho visto molto bene. Tra l’altro adesso affronteremo il Napoli, una squadra contro la quale non è facile fare punti e che è sospinta dall’entusiasmo per aver vinto l’ultima partita ben oltre il novantesimo. Domenica anche un pareggio andrebbe benissimo a Luperto e compagni. Se poi il trend non dovesse invertirsi, credo che Giulini a gennaio dovrà intervenire sul mercato. Io posso dire che fino a questo momento ho visto una squadra un po’ troppo fragile e vulnerabile.”

Quali sono, a suo giudizio, i difetti che devono preoccupare maggiormente i tifosi rossoblù?

“Intanto ho visto un centrocampo che praticamente non esiste; l’attacco è piuttosto leggerino, mentre la difesa può reggere fino a un certo punto. Ci sono in organico dei buoni difensori, però ripeto: il centrocampo latita. In particolare vedo fuori posizione Deiola: un giocatore che non ho ancora capito se sia un mediano o una mezzala. In teoria lui dovrebbe giocare davanti alla difesa, ma uno che giostra in quella posizione deve anche saper impostare l’azione. Deiola invece ogni tanto esce dai ranghi e si sgancia in avanti a cercare gloria, ma così la squadra va tatticamente in difficoltà. Insomma, secondo me il centrocampo è carente innanzitutto dal punto di vista qualitativo.
Per quanto riguarda il reparto avanzato, Nicola lascia in panchina Pavoletti ma poi, di fatto, ogni volta ci ritroviamo a sperare in un’invenzione estemporanea di Luvumbo. L’angolano farà anche confusione, ma è l’unico che prova la giocata e crea scompiglio nella retroguardia avversaria. In ogni caso, aldilà dei singoli io finora non ho visto una squadra nel vero senso della parola: un collettivo in cui i reparti si muovano armoniosamente e coi tempi giusti.”

Quindi lei, se a gennaio dovesse operare sul mercato per migliorare l’organico, interverrebbe prioritariamente sul centrocampo e sull’attacco.

“Esattamente. Ecco, tornando al centrocampo mi viene in mente Razvan Marin: l’unico che si salva. O, per meglio dire, l’unico a meritare la sufficienza. Prati deve crescere, è un prospetto futuribile: i giovani devi inserirli in un contesto già rodato e collaudato, altrimenti rischi di mandarli allo sbaraglio.”

Breve Storia di ALBERTO MARCHETTI:
Era il rincalzo ideale che tutte le società avrebbero voluto avere: mai un muso lungo, una polemica o un mugugno, ma sempre la certezza di poter contare su un giocatore pronto per ogni evenienza. Non un giocatore qualsiasi, ma uno lineare, ordinato tatticamente, ottimo cursore dotato di buone doti tecniche, di un’eccellente visione di gioco e di un tiro particolarmente potente.
«Sono nato a Montevarchi il 6 dicembre ‘54 – racconta a Gianni Giacone su “Hurrà Juventus” del dicembre 1974 –. Ho giocato con gli “allievi” nella squadra del mio paese sin dal ‘68. È stato proprio un dirigente di quella società a portarmi a provare per la Juve, nel ‘70. Mi hanno preso subito. Da allora, ho giocato per due anni in “Primavera”, agli ordini del signor Bizzotto, vincendo tra l’altro un titolo italiano, nel ‘71-‘72, superando in finale la Roma. L’anno scorso, sono andato in prestito a giocare dalle parti di casa, ad Arezzo. È stata una esperienza utilissima: un campionato di B non da titolare ma... quasi. Ho giocato infatti 10 partite intere e altre 7 come “tredicesimo”. Ho persino segnato un gol, a Brindisi. L’ esordio, lo ricordo bene, è stato a Como: ero anche un po’ emozionato, perdemmo uno a zero Un anno, comunque, positivo sotto ogni punto di vista, in un ambiente di amici, con due allenatori, Bassi prima e poi Rossi, che mi hanno aiutato entrambi parecchio. E adesso rieccomi qui, a fare la spola tra caserma e Juve: quest’anno, certo non sarà facile combinare qualcosa di buono, ma ci proverò con il massimo impegno. La mia esperienza in serie B è stata molto interessante. Mi ha, credo, insegnato parecchie cose che mi torneranno utilissime. Per esempio, ho imparato a marcare stretto, a non concedere tregua all’avversario diretto. Ho sempre giocato da mediano-mezz’ala; per la verità, l’anno scorso, per ragioni tattiche particolari, venivo anche impiegato come finta ala, ma la sostanza era sempre la stessa. Adesso che mi ricordo, mi hanno anche fatto giocare terzino. Insomma, non fa molta differenza: purché mi si diano compiti di marcatore. Devo moltissimo al signor Bizzotto: ho imparato da lui tutte le nozioni fondamentali per diventare un calciatore».
Quell’anno “Marco” mette insieme 4 presenze (una in Coppa Uefa contro gli scozzesi dell’Hibernian e 3 in Coppa Italia) e poi viene dato in prestito al Novara. Dopo due ottimi campionati in azzurro, entra a far parte della rosa di quella meravigliosa squadra che, nel 1976-77, conquista lo scudetto con 51 punti e vince la Coppa Uefa.
Quella Juventus è una compagine fortissima e completa in ogni reparto; è evidente che per Marchetti, non è facile emergere fra tutti quei campioni. Così, dopo le 16 presenze messe insieme in quella stagione, Alberto comincia una lunga carriera che lo vede sempre titolare inamovibile in qualsiasi squadra giochi.
Marchetti, ha avuto la sfortuna di trovarsi alla Juventus nel momento sbagliato; si capiva che era un ottimo calciatore, ma in quella Juventus non avrebbe mai potuto giocare, perché Furino, Benetti e Tardelli erano fuori portata per il 99% dei centrocampisti del tempo (nel mondo, non solo in Italia).
A Cagliari disputò diverse eccellenti stagioni, al punto che Riva, allora dirigente della squadra isolana, lo definì il nuovo Benetti; probabilmente un’esagerazione, ma sicuramente, nel suo ruolo, era uno dei primi cinque italiani.
Centrocampista centrale, buon incontrista, senso tattico sviluppato, discreta visione di gioco, dinamico; tutte qualità che lo portarono, in ben 17 anni di onorata carriera, a disputare oltre 500 presenze da professionista.

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