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Al Milan dei miracoli serve tempo: vincere così a Liverpool sarebbe stato troppo presto

di Ivan Cardia
Fonte: Inviato a Liverpool
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© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport

Sette anni sono lunghi, alimentano la voglia ma sedimentano l’ansia da prestazione. Sette anni sono lunghi, troppo lunghi per essere cancellati in novanta minuti. Sette anni, e qualche mese, sono il tempo che separa le ultime due partite del Milan in Champions League. Due sconfitte, per la cronaca. Ma il 4-1 con cui l’Atletico Madrid buttò fuori dall’Europa che conta la sgangherata truppa di Seedorf non ha nulla in comune con il 3-2 che ieri sera ha segnato l’esordio della giovanissima banda di Stefano Pioli in questa nuova vita calcistica. Al Wanda perse una squadra alla fine di un ciclo, che avrebbe chiuso il campionato all’ottavo posto e per le successive sette stagioni si sarebbe dovuta accontentare, bene che andasse, della porticina secondaria. Ad Anfield è stata sottomessa una squadra giovane in maniera estrema, che se tutto va bene può essere all’inizio di un ciclo e guarda al prossimo scudetto come se possa essere suo.

Il Milan dei miracoli ha bisogno di tempo. Il ciclo di Stefano Pioli è di suo già qualcosa di straordinario. È un miracolo per quanto velocemente abbia bruciato le tappe dal poter perdere con chiunque a correre per lo scudetto. Solo per questo sembrava possibile, ma in realtà era fuori luogo pensare che potesse cancellare con un colpo di spugna tutto questo tempo. Quello che lo separa dal 2014 e quello che lo separa dal Liverpool. Non è soltanto un fatto di età, per quanto quella media dei rossoneri in campo ieri superasse di poco i 24 anni mentre i Reds sfioravano i 27. Tre anni sono tanti. Giocando in Champions in maniera continuativa, sono tantissimi, perché si diventa forti soltanto giocando con i più forti. Si cresce, a livello di singoli e di squadra. È tutto giovane questo Milan, compresa la sua dirigenza. Oltre l’età, è un percorso a cui servono le sue tappe, per potersi completare. Deve darsi e dobbiamo dargli del tempo per diventare quello che può essere. Senza rinunciare mai a se stesso.

Si può vincere così a Liverpool? Avrebbero firmato tutti, pochi dubbi. Nessuno vuole sostenere che una vittoria abbastanza estemporanea sarebbe stata giudicata fuori luogo, figurarsi poi che esiste anche il pareggio e un punto ad Anfield, in quel girone e di questi tempi, sarebbe stato d’oro. Aver perso, però, manda un altro segnale. Ieri non si è visto il Milan che siamo abituati ad ammirare in Serie A. Era largamente atteso e prevedibile, ma è come se per buona parte della gara abbia rinunciato alle basi dei suoi recenti risultati. Incapace di reggere il ritmo del Liverpool, ha sistematicamente ceduto il pallino del gioco a Salah e compagni. Ha cercato di saltare il centrocampo, s’è affidato al lancio lungo senza avere arieti lì davanti, come se fosse una cosa naturale quando invece è abituato ad arrivare al traguardo attraverso una strada diversa. Non è stato il solito Milan. Ha pesato, ancora una volta, l’inesperienza. L’intensità, certo. In generale, è stata una partita a senso unico nascosta dietro un risultato bugiardo nella sua ridotta distanza tra chi ha vinto e chi ha perso. Questo giovane Diavolo deve crescere, deve mettere su muscoli. Correre più veloce, dare spallate più forti, picchiare in maniera più rude, far viaggiare più veloce la palla. Deve alzare il livello. Ma non può dimenticarsi da dove viene. E come è arrivato a giocare ad Anfield in una notte di Champions League.

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Lunedì 6 Maggio 2024
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