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Agli Europei tutto il bello e tutto il brutto, del calcio e della vita. Non è solo un gioco

di Ivan Cardia
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© foto di Imago/Image Sport

Abbiamo vissuto, era solo sabato ma sembra una vita fa, uno dei giorni più brutti e allo stesso tempo più belli nella storia degli Europei di calcio. Eriksen che si accascia a terra, senza un motivo che i cardiologi ancora cercano, ci ha fatti tremare tutti. Ci ha ricordato che puoi essere giovane, forte, bello e poi all’improvviso puoi non essere più. Chi legge ha rivissuto gli attimi sconcertanti nei quali ci ha lasciati Piermario Morosini; a seconda dell’età, ciascuno di noi ha fatto i conti coi propri, di ricordi. Poi il danese è rinato, e con lui siamo tornati alla vita un po’ tutti. Nel frattempo, il suo amico Kjaer che guida i compagni, che prende la moglie di Eriksen e prova a tranquillizzarla, che riesce a tenere la bussola mentre sarebbe normale perdere ogni riferimento, ci ha restituito tutta la bellezza di questo sport, che non è soltanto un gioco. È vita, con tutta la sua bellezza e tutta la sua bruttezza. Lo scudo dei giocatori della Danimarca al corpo esanime di Eriksen è l’immagine che ci porteremo dietro come un simbolo di questi Europei, a prescindere da come andranno a finire. Per fortuna.

Di bruttezza, ne abbiamo vista tanta. Ne vediamo tuttora, circola purtroppo anche a partire da tanto di quel che sta attorno alla vicenda di un calciatore che stava per morire. Le troppe immagini circolate e le reazioni spesso scomposte che le hanno seguite, per esempio: sui social l’indignazione monta in un secondo, in fin dei conti è il motore economico che li guida. Non erano scelte facili, però, e non si può capirlo se non si è stati chiamati a prenderle. Al malore di Eriksen hanno inoltre fatto da contorno le fake news, altro gigantesco prodotto della cui dimensione commerciale chi se ne nutre forse non si rende conto: prima su tutte, quella che fosse stato vaccinato e quindi in qualche modo si potesse collegare il dramma al siero che ci sta riportando un po’ di normalità. L’hanno dovuta smentire tutti, dall’Inter alla federazione danese, ma c’è da scommettere che qualcuno ne sia ancora convinto. Ora che la grande paura è passata, ecco il tempo delle polemiche sulla responsabilità di riprendere subito la partita, addossata ai calciatori. Si poteva dare più tempo? In un mondo ideale sì, nella complicatissima macchina organizzativa di un bislacco europeo itinerante probabilmente no. Senza contare che nessuno può sapere quanto tempo serva, a riprendersi da un sabato così. È sempre una visione di insieme a mancare.

Gli stadi pieni e un'arbitra. Ma anche politica, insulti, fischi. Negli Europei dei quali la vicenda Eriksen riassume il brutto e per fortuna anche il bello, c’è soprattutto il ritorno dei tifosi negli stadi. Questo è calcio, non quel surrogato che abbiamo dovuto sopportare per un anno e mezzo. Per colpa di chi? Ma spesso la colpa non è di nessuno: sono gli eventi, da un anno a questa parte non troppo favorevoli. Colori, suoni, ancora un po’ di distanza ma fino a un certo punto. Coi tifosi e con la loro bellezza torna, come sempre, anche tanto di cui faremmo a meno. Per dirla una, il crescente movimento che fischia i calciatori che s’inginocchiano perché black lives matter. Fischi di tifosi bianchi, intendiamoci: se quel gesto è probabilmente stato ormai svuotato di senso, non sta a noi maschi bianchi etero decidere. Alle volte simboli e retorica hanno comunque una loro importanza. Tra le cose belle, c'è Stephanie Frappart, un'arbitra per la prima volta agli europei, per ora solo quarta ufficiale ma ce la prendiamo volentieri. Nel bestiario vario ed eventuale che accompagna l’Euro, al quale manca solo un po' di cara vecchia omofobia ma soltanto perché l'omosessualità è tuttora un anacronistico e incomprensibile tabù del pallone, ci sono poi insulti e minacce. Per esempio quelli che Arnautovic avrebbe rivolto ad Alioski: si tirano in ballo le madri, si tirano in ballo le razze, ci si scorda che siamo sempre figli di qualcuno e terroni di qualcun altro. L'austriaco è sotto inchiesta, per la cronaca. Szczesny fa autogol? Giù di violenza verbale: specie dietro una tastiera, è all'ordine del giorno. Pare acqua fresca, non lo è: può fare male, non tiene conto della fragilità che tutti noi ci portiamo dietro e dentro. C’è politica, tanta politica. L’Ucraina che mette sulle maglie il motto che oggi ne accompagna la lotta per l’autodeterminazione e ieri suonava per i collaborazionisti nazisti; dall’altra parte la Russia che ha invaso un territorio, è stata sanzionata a livello internazionale e riceve l’appoggio della solita UEFA, brava nel tenere i piedi in più scarpe possibili. C'è il logo della federcalcio della Macedonia del Nord che non va bene alla Grecia, forse con un pizzico di rancore perché quella piccola nazione lì su, che s’è presa il nome della regione in cui nacque Alessandro Magno, è nell’Europa che conta del pallone e gli ellenici no. È vita, che non è mai tutta bella e non è mai tutta brutta, ma sempre un misto delle due. È calcio. Non raccontateci che è soltanto un gioco.

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