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Mancini lascia l’Italia nel dramma. Azzurri ancora fuori dal mondiale: è il fallimento del pallone. Gravina se ne deve andare: serve un profondo rinnovamento. Intervengano Coni e Governo

di Enzo Bucchioni
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© foto di Federico De Luca

Adesso siamo oltre il dramma sportivo, oltre quello che è successo cinque anni fa, oltre la Svezia: saltare il Mondiale per la seconda volta consecutiva, i Campioni d’Europa eliminati dalla Macedonia è qualcosa che va oltre l’incredibile. Temevamo la finale con il Portogallo e siamo stati eliminati prima, dalla Macedonia…

Questo è il tracollo del calcio italiano, va oltre una prestazione inguardabile dell’Italia, oltre i demeriti dei giocatori o gli errori dell’allenatore fatti ieri sera. È il nostro calcio che non ha struttura, non ha spina dorsale, non è connesso con la realtà, fra lotte di potere, guerra fra Federcalcio e Lega, debiti dappertutto. Il dramma è da qualunque parte lo si guardi, per non parlare delle inchieste giudiziarie che lo stanno assediando un’altra volta.
Il grande mese di luglio dell’anno scorso, il lavoro straordinario fatto da Mancini su quel gruppo sbandato lasciato a Ventura, e la conquista dell’Europeo avevano illuso tutti che quell’Italia fosse vera e forte, che il movimento avesse comunque solidità. A ripensarci oggi la vittoria dell’Europeo che ci ha fatto godere, esultare, essere felici, in realtà si sta rivelando un danno perché quel trionfo ha mascherato un movimento di carta velina. Senza progetti e senza futuro. Pensate che appena pochi giorni fa sono state riesumate ai vertici federali figure di un calcio che non dovrebbe più esistere, fallito e rifallito, come Abete nuovo presidente dei Dilettanti e Ghirelli ex direttore generale Figc ai tempi di Calciopoli, nuovo vice presidente federale. Nomine che hanno dell’assurdo, per puntellare la gestione Gravina, miope e fragile, che non è riuscito a fare le riforme promesse.

Qualcuno penserà cosa c’entrano questi dirigenti con la Nazionale fuori dal Mondiale e invece c’entrano eccome perché danno l’idea di un calcio autoreferenziale dove le poltrone vengono rigirate fra gli stessi personaggi, fuori dal tempo, solo per una questione di potere e autoconservazione di una classe dirigente che andrebbe invece spazzata via. Ma non da oggi. Gravina ha già detto che non si dimetterà, nemmeno la dignità di prendersi le responsabilità del tracollo. Almeno il suo predecessore Tavecchio ha avuto la dignità di andarsene nel 2017. Quando la nave affonda e la nave Italia è affondata, il comandante se ne deve andare. Senza se e senza ma. Anche se è stato democraticamente eletto. E se non se ne andrà lui auspico un intervento del Coni e del Governo perché si battano strade nuove e si favorisca quel ricambio generazionale che avviene dappertutto ma non nel calcio. Andate a vedere da quanto tempo Gravina è dirigente della Federazione, quante poltrone ha rigirato e che tracce ha lasciato della sua gestione: il niente.
Più o meno sono tutti così e mentre il calcio negli altri Paese evolve , si aggiorna, fa business, ha struttura, è dinamico, attuale, da noi è fatto di dinosauri preoccupati soltanto del potere personale.

Questi poi sono i risultati sul campo, ognuno pensa a sé e le guerre intestine sono all’ordine del giorno. Gravina non ha avuto neppure la forza di imporre alla Lega di rinviare una giornata della serie A per dare a Mancini almeno una settimana di tempo in più per preparare questo spareggio decisivo. Di cosa parliamo? Dove è la coesione del calcio? Quali sono gli interessi? Cosa hanno fatto questi signori negli ultimi anni, dove sono le riforme promesse, a cominciare da quelle dei campionati, dove sono le idee, i programmi? Il bagno di sangue lo pagherà tutto il movimento, dai settori giovanili in su, per i soldi persi per la mancata partecipazione al mondale, per il mancato sviluppo, per l’ennesima botta a un calcio che naviga nei debiti e vede le nostre squadre maggiori tutte fuori dalla Champions, costretti a prendere mezzi giocatori o scarti degli altri campionati. E Gravina, in mezzo a situazioni sempre discutibili, l’unica cosa che fa con decisione è contrastare la Superlega perché lo vuole il suo amico Ceferin presidente dell’Uefa.

Si occupasse del calcio italiano, di tutto quello che manca da anni, dai centri federali ai settori giovanili, Coverciano invece di formare è ormai diventato un poltronificio che non fa altro che creare disoccupati a tutti livelli, dagli allenatori ai direttori sportivi. Quello che era un laboratorio calcistico è adesso solo un altro centro di potere. Il calcio con Gravina s’è messo pure a fare politica, ha cercato l’appoggio della politica per mantenersi, quando le strade da battere erano altre. Mi viene in mente il libro delle riforme preparato da Roberto Baggio qualche anno fa, libro finito in un cestino di Coverciano. Ecco, siamo sempre lì. I grandi giocatori con la testa fine e intelligenza di prima fascia vengono tenuti lontani dal potere e dalla gestione, si imbarcano solo quelli, come Albertini, alla fine funzionali a questo sistema. Che volevano cambiarlo e si sono fatti cambiare. Tutti temi che speravo riuscisse ad affrontare almeno Malagò, ma anche il Coni sembra impotente di fronte a un centro di potere d’acciaio come la torre del pallone. E a rimetterci saranno ancora una volta i tifosi, frustrati nelle loro passioni, nel loro senso di appartenenza. Dovranno guardare, forse non guarderanno neppure, un altro mondiale senza l’Italia, ma almeno devono sapere chi ringraziare.

Così la Nazionale ha perso anche la faccia, il ricordo dell’Europeo ora verrà offuscato da questa data storica negativa che rimarrà negli annali per sempre. Dopo la Corea ci sarà la Macedonia, ma almeno nel 1966 ai mondiali ci siamo andati, questa volta no. Mancini ha un contratto, ma sicuramente si dimetterà. Non l’ha fatto a caldo, ma ha già deciso. Si tratterà di parlare, trovare un’intesa e i tempi giusti. Forse poche ore, forse qualche giorno. I prossimi impegni della nazionale saranno a giugno. Mancini aveva già in testa di tornare ad allenare un club e senza la sfida Mondiale sicuramente se ne andrà.
È stato il suo lavoro a portare questa Nazionale oltre i suoi limiti, ieri sera c’è stato un clamoroso ritorno al passato con segnali che s’erano già visti nelle partite in autunno. Colpa anche del Ct, questa volta di sicuro, non mi sono piaciute le scelte di ieri sera, soprattutto sono stati tardivi i cambi, almeno tre andavano fatti nell’intervallo (Barella, Insigne e Mancini), quando s’era visto che questa squadra era in preda al panico, non riusciva a trovare spazio e velocità, era lenta e poco lucida, un po’ di energia andava messa. Mancini non l’ha fatto, non ha trovato lucidità neppure lui, come se fosse rimasto prigioniero della favola dell’Europeo e della straordinaria notte di Wembley. Come se la sua straordinaria energia, il coraggio e le idee che lo avevano portato a cambiare la Nazionale si fossero esaurite.

Si chiude qui l’era di un Ct innovativo, che ha riportato un trofeo europeo dopo sessant’anni, ma poi non ha conquistato il Mondiale. Una sorta di dottor Jekill e mister Hyde. Il calcio è anche questo, sul campo sono situazioni che possono succedere, ma succedono più di frequente come sta succedendo all’Italia, quando dietro non c’è un movimento calcistico coeso, con idee, con grandi dirigenti e capacità imprenditoriale. Basta.
Se non lo farà il Coni è il momento che il Governo prenda in mano la situazione prima di concedere fondi o aiuti, pretenda le riforme essenziali, anche dei regolamenti, per favorire il cambiamento degli uomini o poi delle strutture. È il Paese che lo chiede, questi signori hanno rubato agli italiani anche la cosa più bella che avevano, quella più attesa: tifare la Nazionale ai mondiali. E in un momento storico come questo, dopo pandemia e guerra, sappiamo quale potere avrebbe potuto avere il calcio per ridare energia e ottimismo al Paese. Neppure questo. E Gravina non trova neppure un briciolo di dignità per dimettersi: cosa deve succedere di più di questo per dichiarare fallimento?

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Sabato 18 Maggio 2024
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