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Ecco perché il campionato è vicino allo stop. La Figc: ci saranno comunque promozioni in A e retrocessioni in B. Il protocollo e le cause bloccano tutto. Oggi vertice decisivo. Dybala, il tampone è un giallo

di Enzo Bucchioni
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© foto di Federico De Luca

La ripresa del campionato è legata a un filo sempre più sottile e per capire che il calcio sta davvero per fermarsi per Coronavirus, non serve essere maghi o indovini. Ce lo dicono le parole del ministro Spadafora, ce lo raccontano tanti segnali che arrivano da più parti, ce lo confermano le delibere prese ieri sera dalla Federcalcio che avrebbe deciso di procedere comunque con promozioni e retrocessioni.

E questa, se volete, è la notizia che taglia molte teste e molti tori. Dunque, anche se si dovesse chiudere tutto, i campionati non saranno congelati, ma varranno in pieno le classifiche di marzo con promozioni e retrocessioni. In sostanza come ha fatto la Ligue 1 che ha già fermato la sua stagione e deciso lo scudetto al Psg, piazzamenti europei e retrocessioni. In pratica in Italia scudetto non assegnato (la Juve non lo vuole a tavolino), Lazio, Inter e Atalanta con i bianconeri in Champions. Roma e Napoli in Europa League con il Verona settimo classificato. Retrocesse Brescia e Spal con il Lecce che ha differenza reti peggiore del Genoa.

Che fretta aveva la Federcalcio di prendere questa iniziativa nel pieno del dibattito e con una decisione ufficiale sul futuro dei campionati ancora da adottare?

I casi sono due, o sono arrivate indiscrezioni sull’imminente stop imposto dal Governo, oppure si tratta di un segnale preciso per alcuni club che pensavano di far finire la stagione senza retrocessioni. Comunque una presa di posizione importante che fa seguito alle parole altrettanto importanti di Gravina dell’altra sera: “Non fermerò mai il calcio, lo faccia il Governo”.

Ma che sta succedendo?

Tutto ruota attorno al famoso Protocollo Sanitario e alle responsabilità in caso di un eventuale nuovo contagio qualora si dovessero riprendere gli allenamenti e poi il campionato.

Infatti ieri Spadafora cosa ha detto?

“Se non si troverà un accordo sul protocollo, ci assumiamo le responsabilità e il campionato lo chiudiamo noi”.

Il presidente della Lega calcio Dal Pino dopo questa dichiarazione ha usato toni più morbidi, oggi farà l’estremo tentativo di trovare questo benedetto accordo, s’è insomma decisa una tregua con un Governo che comunque si assume tutte le responsabilità decisionali in questa vicenda.

L’accordo con il Comitato scientifico è difficilissimo. Il Protocollo richiede interventi, controlli e comportamenti sanitari che non tutte le società di serie A sono in grado di poter rispettare per ragioni pratiche, ma anche economiche. Due mesi e mezzo di ritiro con controlli ed esami per circa settanta persone da ripetersi ad intervalli ravvicinati, spaventano e non poco. Ma c’è di più: se dovesse infettarsi un giocatore le responsabilità civili e penali sarebbero dello staff medico delle società e per molti anche questo è inaccettabile. In alcuni casi poi non ci sono neppure le strutture per fare allenamenti rispettando le distanze previste. Per non parlare della sicurezza sanitaria in caso di eventuale disputa delle partite. Per una giornata di campionato (dieci partite) è stato calcolato che anche a porte chiuse, come minimo, entreranno negli stadi e dovranno essere controllate circa duemila e cinquecento persone, in media 250 per ogni gara, fra dirigenti, tecnici, giocatori, staff e logistica, arbitri e var, antidoping, sicurezza, assistenza sanitaria d’urgenza e comunicazione. Possono garantire i controlli e le tutele necessarie le società di serie A in un Paese che non è ancora fuori dall’emergenza?

Su tutti questi interrogativi discuteranno oggi, nonostante il Primo Maggio, in videoconferenza, le 20 società di A cercando di trovare una posizione unitaria.

Comunque la decisione del Governo di mettere il suo ombrello sulla decisione finale, al di là del riprendere o meno la stagione, ha tranquillizzato di molto tutti i dirigenti del pallone. Se il Governo decide sua sponte in nome e per conto di una straordinaria emergenza sanitaria del Paese e si assume tutte le responsabilità, i dirigenti calcistici della Federcalcio o della Lega, vengono immediatamente sollevati e tutte le cause possibili-probabili disinnescate. E su queste basi anche il confronto economico con le Pay Tv potrebbe avere un esito meno traumatico.

Insomma, si sta cercando una strada per fermarsi perché lo chiedono la scienza medica e la situazione, ma limitando i danni al calcio che sono già enormi e potrebbero diventare incontrollati con gli strascichi legali.

In questa trattativa il Governo sta infatti cercando anche delle soluzioni fiscali e agevolazioni per impedire il tracollo del pallone, anche se non dovrebbero essere quelle legate al ritorno della pubblicità sulle scommesse.

Tanti temi, molto complessi, attorno a un’idea che a molti sembra banale: tornare a giocare. Non è così, ci sono interessi enormi che coinvolgono tanti soggetti giuridici e tante persone a fronte di un evento pandemico epocale e a un obiettivo che non va mai dimenticato: la salute pubblica. Tutti noi amiamo il pallone e vorremmo ricominciasse a rimbalzare già domani, ma non dobbiamo pretendere risposte semplicistiche e banali che potrebbero far danni enormi a tutti e non solo al calcio.

Anche gli altri Paesi si interrogano. La Francia, l’Olanda e il Belgio hanno già detto stop. Ieri la Germania doveva dare il via libera e invece la Merkel ha preferito rinviare la decisione di almeno una settimana. In Inghilterra il Daily Mail ha scritto che sta montando il partito di chi vuol fermare il calcio e non è più certa la ripresa della Premier League.

Vediamo comunque se, prima di decidere lo stop definitivo della serie A, ci sarà spazio per tentare la ripresa degli allenamenti e valutare la situazione dopo le mini riaperture del quattro maggio e oltre.

Sarebbe già importante che la Lega uscisse con una risoluzione unitaria dalla riunione di oggi.

A conferma che qualsiasi decisione ha risvolti inaspettati e che questo virus abbia comportamenti indecifrabili, c’è infine la vicenda Dybala. A quaranta giorni dal primo tampone positivo, asintomatico, comunque Dybala non è ancora negativo. I calciatori vogliono tornare in campo, vogliono giocare, ma anche loro intendono farlo in condizioni di tutela sanitaria. Che poi dovrebbe essere l’obiettivo primario di tutti.

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