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Continuare a paragonare ancora Lionel Messi a Diego Armando Maradona e a Cristiano Ronaldo è inutile

di Marco Conterio
Inviato di Tuttomercatoweb e opinionista di TMW Radio, è in RAI con 90° Minuto, Calcio Totale e Notte Azzurra. Ha lavorato con Radio RAI, Radio Sportiva e Il Messaggero
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L'umana incapacità di alcuni di godere della bellezza ha portato l'attenzione al dibattito anziché alla silente osservazione di qualcosa che capita solo una volta ogni era, e forse ben oltre. La manifestazione contemporanea di Lionel Messi e Cristiano Ronaldo, ovvero la benedizione e la dedizione, il genio puro, cristallino, specchio dell'anima, e della consegna del proprio corpo a una missione, del perfezionismo, dell'essenza vera dell'uomo devoto al proprio monoteismo. Belli così, insieme, come se Vincent van Gogh e Leonardo Da Vinci si fossero messi di fianco a dipingere lo stesso orizzonte, l'uno le stelle e l'altro il sorriso accennato della sua Madonna Lisa Gherardini, eppure il dibattito se l'uno sia stato migliore dell'altro non s'è mai fermato e non lo fa neanche ora, quando non dovremmo far altro che vedere, godere, applaudire. Abbiamo avuto la fortuna di sentire sullo stesso palco John Lennon e Fyderyk Chopin, di veder lavorare sugli stessi cantieri dei nostri sogni Michelangelo Buonarroti e Antoni Gaudi, di aver visto sfrecciare insieme, nella stessa curva, Juan Manuel Fangio e Ayrton Senna e il meglio che sappiamo fare è scegliere, schierarci, sventolare bandiere. Il Mondiale di oggi consegna ai posteri un Cristiano Ronaldo al crepuscolo di una carriera miliardaria e Lionel Messi nell'Olimpo degli eletti ma per quel che hanno fatto finora, per ciò che hanno dimostrato fino ad oggi, sono stati così diversi da essere stati una benedizione per il movimento globale. Così differenti ma così complementari: l'uno, il portoghese, come l'impossibile ambizione dell'uomo in missione, perfetto e quasi disumano. L'altro, l'argentino, il più divino dei profani, vestito di solo puro talento poi perfezionato, affinato e levigato dall'opera dei migliori maestri, spagnoli e non.

Messi e Maradona, l'uovo e la gallina
La finale di domenica consegna ai posteri un'altra domanda, con cui troppi contemporanei hanno loro malgrado dovuto convivere. Lionel Messi sarà mai Diego Armando Maradona? Lo è mai stato? Lo è? Lo diventerà? Qui la storia è diversa, perché non c'è la fortuna di avere Coppi e Bartali che si pedalano contro, Federer e Nadal che si sfidano uno smash dopo una voleé, Muhammad Ali contro Joe Frazier e tutta la storia di genere, razza e gloria che c'era dentro quei pugni e quei guantoni. Non parliamo di contemporanei ma di anni e anni di differenza, che nel calcio sono ere geologiche per come è cambiato e sta cambiando. Chi azzarda paragoni, ai quali trovare risposte scientifiche non è solo sbagliato ma pure nocivo, mette spesso sul piatto la grandezza di Diego in un Napoli non certo galattico, in un'Argentina Mondiale non certo straripante. Messi però è stato grande tra i grandissimi, senza invadere la personalità e l'ego d'ognuno, ma sapendo essere leader silenzioso sul rettangolo e demandando le responsabilità nello spogliatoio ad altri. La chiave di volta del maradonismo della personalità di Messi, passa dall'ultima Copa America. Andate a ricercare il filmato del discorso che fa ai suoi prima della finale contro il Brasile e preparatevi a scaricare numerose endorfine al termine della visione. Maradona è stato faro che ha illuminato e ha dato il suo meglio quando era cosciente che tutti si stavano abbeverando della sua grandezza. Messi ha messo quel carisma tutto nelle scarpette e per chi decanta le gesta dell'86, resta sempre il dubbio se quel Mondiale l'Argentina l'avrebbe vinto, se per la Mano de Dios ci fosse stato il VAR.

Il Maradonismo di Messi
E' semmai Lionel Messi a esser cambiato e cresciuto, a esser diventato grande. Uomo. Come detto la Copa America sembra esser stata la chiave di volta e anche la personalità del Diez sembra ora tracimante, in un momento di serenità e fiducia estrema. Sente quest'Argentina come un gruppo di scudieri alle sue spalle, pronto a difenderlo fuori e dentro al campo ma capaci di sapersi motivare. Prima della gara contro l'Olanda, l'ingresso in campo, nel tunnel, racconta tutto: Messi ha la fascia da capitano, guarda l'orizzonte, pensa a far mirabilie. Dietro di lui Emiliano Martinez, portiere, arranca la squadra con un discorso motivazionale. In campo Messi andrà a dimostrare quel che 'Dibu' aveva detto poco prima: l'Argentina non parla prima, parla sul campo. Orecchie in faccia a Van Gaal, per mostrare orgoglio, garra, maradonismo giustappunto. E lo si è visto anche in altre due immagini: dopo i rigori, contro gli Orange, tutti i compagni si vendicano degli arancioni e delle provocazioni di Denzel Dumfries, lui corre a festeggiare proprio Martinez, ebbro di gioia e steso al suolo. Poi, dopo il fantastico slalom a portare in giro Josko Gvardiol, un'invenzione che aveva già studiato e pianificato, lui piccolo e apparentemente docile killer calcistico di Rosario. Serve palla a Julian Alvarez e il giovane campione la mette in rete. Quando varca la linea, non guarda il compagno ma fissa il pubblico. Allarga le braccia. E' la sua gente. Per la sua gente. Come Maradona. Basta coi paragoni, basta con le classifiche. Nello sport, nella vita, nei cieli, le poltrone possono essere anche per due. Per tre. Per i più grandi c'è sempre posto, senza bisogno di consegnare una sola corona.

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Martedì 4 Giugno 2024
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