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Ancelotti ha riscritto la storia: al Real Madrid ha trasformato un'annata di transizione in una stagione leggendaria. Mourinho, lascia perdere: è la solita storia della volpe e l'uva

di Raimondo De Magistris
Nato a Napoli il 10/03/88, laureato in Filosofia e Politica presso l'Università Orientale di Napoli. Lavora per Tuttomercatoweb.com dal 2008, è il vice direttore dal 2012
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Carlo Ancelotti questa sera ha conquistato una delle Champions League più entusiasmanti di sempre. Per come ha vinto, per il percorso, per le emozioni vissute questo Real Madrid resterà nella storia: è un successo talmente incredibile che non ha paragoni col passato, anche se sei la società con più Champions League in bacheca. Ancelotti ha battuto i campioni di Francia, i campioni d'Europa e i campioni d'Inghilterra in carica, poi il Liverpool in finale. Era difficile immaginare un cammino più tortuoso e, in molte circostanze, era impossibile pensare che il Real Madrid potesse andare avanti.

Al termine del primo tempo di Real Madrid-PSG - dopo che la squadra di Pochettino aveva dominato il match d'andata e stava conducendo anche quello di ritorno - si parlava di un Real Madrid già spacciato agli ottavi. Era già tempo dei complimenti di circostanza. Poi c'è stato l'errore di Donnarumma, che ha agevolato il compito ma non spiega i cinque minuti successivi perché ciò che da quel momento in poi hanno fatto Benzema e compagni è stato inimmaginabile. Il Real era praticamente fuori anche ai quarti, dopo il gol di Timo Werner che sembrava aver messo ko i ragazzi di Ancelotti. Anche lì, i blancos sono riusciti nell'impresa di riscrivere ciò che sembrava già scalfito nella pietra. E che dire delle semifinali: ko nel match d'andata, la squadra di Ancelotti è andata sotto anche al 73esimo del match di ritorno con un bel gol di Riyad Mahrez. Il City ha poi sfiorato il raddoppio, ma il Real Madrid con due gol in due minuti s'è regalato un'altra notte incredibile. Quella finale che stasera ha visto il Real Madrid trionfare, sotto le stelle (e gli scontri) di Parigi.

E qui passiamo ad Ancelotti, che tra l'altro uno Scudetto l'ha vinto anche a Parigi. E' l'unico allenatore della storia del calcio ad aver vinto il campionato nei cinque campionati top, ma dei 23 trofei fin qui conquistati da allenatore ben 10 arrivano da competizioni europee. Stasera ha vinto la sua quarta Champions League: due alla guida del Milan, altrettante alla guida del Real Madrid, compresa quella decima che a un certo punto era diventata una ossessione. Nessuno come lui.
La scorsa estate tornò a Madrid dopo la decisione di Zidane di fare un passo indietro: il Real Madrid, che aveva appena perso la Liga a favore dell'Atletico, aveva visto il suo capitano Sergio Ramos volare a Parigi e decise di cedere l'altro centrale titolare, Raphael Varane, al Manchester United. David Alaba fu il grande acquisto, poi Eduardo Camavinga, classe 2002. Ancelotti, che non era la prima scelta, s'inserì in questo contesto, alla guida di una squadra convinta di vivere una stagione di transizione, a maggiore ragione dopo l'assalto fallito (e poi la storia si ripeterà...) a Kylian Mbappè.
Ciò che è successo poi è storia, è sotto gli occhi di tutti. Ma ciò che è incredibile è come Ancelotti l'abbia realizzato, rivitalizzando quel centrocampo che un anno fa - di questi tempi - sembrava aver già dato tutto alla causa. Facendo vivere a Benzema, a 35 anni, la miglior stagione della sua carriera, ma anche valorizzando al massimo Vinicius Junior, grazie ad Ancelotti ormai uno dei più forti giocatori al mondo. La verità è che Mbappè è Mbappè, serve sempre, ma il brasiliano quest'anno ha disputato una stagione forse anche superiore a quella del francese e ha due anni in meno. Non solo: Rodrygo, classe 2001, è stato decisivo per il cammino in Champions dei blancos e Camavinga, classe 2002, è cresciuto tantissimo grazie ad Ancelotti. Altro che gestore di campioni...

Da un allenatore... bollito all'altro: José Mourinho. Guardiamo i fatti: lo Special One ha riportato un trofeo a Roma dopo 14 anni e una coppa europea dopo 50 anni. Dopo il trionfo di Tirana ha alzato il cinque al cielo perché quella col Feyenoord è stata la quinta finale europea vinta, dopo due Champions e due Europa League (ai tempi del Porto, era ancora Coppa UEFA...). E' a quota 25 titoli in carriera e il 25esimo l'ha vinto in una piazza tanto importante quanto difficile da gestire. Ha unito i tifosi ancor prima di ottenere il risultati, s'è conquistato la fiducia anche quando a parole era divisivo. Ha avuto in pugno lo spogliatoio anche dopo i 6 gol incassati sul campo del Bodo-Glimt, trasformando quell'umiliazione in benzina. Soprattutto, ha vinto. L'ha fatto da favorito, certo, perché in Conference League non c'erano squadre superiori alla Roma ma questo non vuol certo dire che poi la vittoria sarebbe stata scontata. Quante volte in Europa League una squadra italiana è stata eliminata da favorita? Quante volte i club italiani hanno snobbato una Coppa che non siamo ancora riusciti a conquistare? La verità è che Mourinho, a un certo punto, ha dato alla neonata Conference un valore enorme: responsabilizzando i suoi giocatori, accendendo la piazza e arrivando alla gara di Tirana nel modo migliore perché questo fanno gli allenatori vincenti. Serviva lui per riportare, dopo 12 anni, una coppa europea in Italia. Fare le pulci sul valore della Conference, con un campionato che per importanza oscilla ormai tra il terzo e il quinto posto, è da folli.

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