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Agnelli non vuole l’Atalanta in Champions. E con il Sarriout, sta ripensando a Zidane. Ecco il piano di Gazidis: il Milan come il Salisburgo. Lega, Dal Pino deve dimettersi. Campionato a rischio: con un giocatore positivo si ferma tutto

di Enzo Bucchioni
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© foto di Federico De Luca

Come se non bastassero quindici giorni di polemiche per i provvedimenti da adottare per contrastare il diffondersi del Coronavirus, il calcio ha preso ancora più fuoco dopo le parole di Andrea Agnelli dette appena ieri pomeriggio.

Il presidente della Juventus si è chiesto, in sostanza, se sia giusto o meno che una piccola società come quella di Percassi, giochi una competizione importante come la Champions.

Orrore. Orrore. E’ questa la sensazione che lasciano le parole dell’Agnellino. Anche incredulità, se volete.

Agnelli, però, non è stato certamente colto da un attacco di Lotitismo visto che proprio Lotito, anni fa, disse una roba del genere a proposito del Carpi in serie A. Il tema Atalanta è più vasto e complesso.

Dal punto di vista sportivo il dubbio è inaccettabile e l’interrogativo sicuramente fuori luogo. In fin dei conti il calcio è ancora uno sport dove ci sono delle regole da rispettare, dove chi vince arriva primo e robe del genere. Se l’Atalanta non ha il pedigree, ma arriva quarta in campionato e conquista la Champions perché all’Italia spettano quattro squadre nel massimo torneo europeo, per lo sport dovrebbe essere un miracolo sportivo e come tale da portare ad esempio di buona gestione tecnica e societaria. Un esempio da sottolineare. Punto.

Ma il calcio è ancora uno sport?

O meglio, il calcio che ha in mente Agnelli sarà ancora uno sport o finirà per assomigliare sempre più a una manifestazione spettacolare?

Siamo davanti a un bivio e prima o poi i signori dell’Eca, associazione dei club europei, dovranno dare una risposta a questa domanda.

Agnelli si è chiesto anche se abbia un senso vedere l’Atalanta dentro e la Roma fuori dalla Champions, la Roma che ha una storia, una tradizione, tanti tifosi e paga a caro prezzo una stagione sbagliata. Siamo nella stessa ottica. Nello sport sarebbe normale. Chi gioca male perde. Punto.

Nello sport-spettacolo, invece, non può mancare un attore protagonista che attira il pubblico.

Inutile dire che chi ama lo sport puro, quello fatto di sfide, di imprese e di sogni impossibili, fatichi a condividere certe logiche mutuate da mondi (gli Usa) che sportivamente sono lontani, e sia ancora legato a logiche diverse.

Ma quello che dice Agnelli merita comunque una riflessione più profonda. C’è una netta inversione di tendenza fra i fruitori dello sport, soprattutto fra i giovani. C’è una ricerca continua dello spettacolo, non basta l’effetto agonistico se le prestazioni non sono di altissimo livello tecnico. A noi, una volta, piacevano anche certe partite finite zero a zero, senza emozioni, soltanto perché in campo c’erano i nostri colori e i rivali. Oggi alle nuove generazioni cresciute con il mito dell’Nba, queste partite non bastano più. Si va a cercare il meglio nella Premier e nella Liga. O robe del genere. Pensare a un campionato Europeo con una ventina di squadre sul modello Nba è la strada che ispira certi discorsi di Agnelli e forse (sottolineo forse) il futuro del calcio.

Un modo per fare spettacolo continuo, vendere sempre meglio in prodotto nel mondo, attrarre soldi e sponsor.

Demonizzare certe idee non porta da nessuna parte. Credo che l’Uefa dovrebbe sedersi al tavolo per cominciare ad analizzare soluzioni che portino all’interesse delle Grandi, ma possano portare benefici e ritorni economici per l’intero movimento.

Il calcio non deve aver paura della Superlega Europea che prima o poi nascerà, ma dovrebbe pilotarne la nascita e la crescita per sfruttare in futuro gli sviluppi positivi. Una Superlega che traina tutto il movimento deve essere l’idea sulla quale lavorare. Vedremo.

Intanto, tornando alle cose di casa nostra, il tema futuro investe anche la Juve e non soltanto tutto il calcio. Agnelli ha capito prima di tutti che l’innesto Sarri non ha fatto crescere nella Juve un frutto calcistico diverso. Comunque vada la stagione, le difficoltà sono evidenti dentro e fuori dal gruppo. Forse il sarrismo funziona solo a livelli e in contesti diversi. Agnelli aspetta di essere smentito sul campo e spera ancora che la sua scelta possa pagare, ma intanto si sta guardando attorno. Dopo la sconfitta con il Lione e la sfida con l’Inter alle porte, la tensione è massima. Pensando al futuro, è riapparsa l’ombra di Zidane, ora più di una alternativa all’idea Guardiola che sembra sempre difficile. L’ennesima lite Zidane-Perez può favorire un matrimonio che era già nell’aria due anni fa.

Matrimonio sbagliato, invece, quello fra il fondo Elliott e il Milan. Come vi avevamo scritto qualche settimana fa, Gazidis ha in testa una Milan alla tedesca, fra Salisburgo e Lipsia, affidato al “vate” Rangnick. L’idea ha avuto una accelerata, Boban e Maldini sono fuori e il contraccolpo si vedrà sicuramente in campo nel momento migliore della stagione, e anche per il futuro le incognite sono tante. Gazidis chiederà a Rangnick di fare del Milan un nuovo Salisburgo. Ricerca di giovani talenti pagati poco, bel gioco e ingaggi bassi. Una roba del genere ha funzionato in Austria, ma i milioni di tifosi del Milan non saranno disposti ad accettare un progetto di questo tipo che non è da grande società. E poi ci vorranno almeno tre anni per cambiare e far crescere questa idea. Dalle nostre parti è inaccettabile e io resto della stessa idea: Elliott dovrebbe vendere cercando di recuperare la sua esposizione senza puntare a una plusvalenza che con il Milan così non farà mai. Aspettare per vendere in Milan a un miliardo di euro è qualcosa fra utopia e follia calcistica.

Di follie calcistiche ne abbiamo viste tante negli ultimi giorni a proposito delle iniziative da prendere per contenere il contagio del Coronavirus. Impreparazione e dilettantismo hanno messo a nudo il management della Lega calcio, ma anche della Federazione. Come minimo, e non solo per le parole di Zhang, Dal Pino dovrebbe dimettersi nell’assemblea di giovedì prossimo. Mi aspetto un gesto di dignità.

E l’allarme è ancora altissimo. Speriamo che le porte chiuse servano a isolare il calcio e proteggere i suoi tifosi, ma i dirigenti hanno già chiara una cosa drammatica: se dovesse risultare positivo un giocatore, il campionato si fermerebbe. E’ evidente che con un giocatore positivo dovrebbe essere messa in quarantena tutta la squadra, a quel punto non si potrebbe più continuare. Ma siamo davanti a un’ipotesi estrema, facciamo le corna, tocchiamo ferro e limitiamoci a rispettare il più possibile le istruzioni delle autorità sanitarie e del governo.

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