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ESCLUSIVA TMW - Alvise Zago: "La mia ascesa interrotta sul nascere. Il calcio? Non mi piace più"

di Gaetano Mocciaro
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© foto di Instagram @zagoalvise

"Chi disse: 'Preferisco avere fortuna che talento' percepì l'essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po' di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no e allora si perde". Questo passaggio del film 'Match Point' di Woody Allen riassume al meglio la parabola di Alvise Zago. Ovvero, il talento da solo non basta, se la fortuna non è dalla tua parte. Basti vedere qualche calciatore dal piede "scostumato", ma dalla bacheca piena di trofei prestigiosi. Piedi che nel caso di Zago erano finisssimi, tanto da fargli bruciare le tappe in Serie A. Almeno fino a quando la fortuna non gli ha voltato le spalle. Per la generazione Over 40 questo nome riporta indietro a fine anni '80, quando l'Italia era l'Eldorado del calcio. Figlio del Filadelfia, numero dieci sulle spalle e grande talento, fu lanciato in Prima squadra da Gigi Radice, che ne intuì il talento e lo volle subito al centro del progetto Torino: niente minutaggio centellinato, ma subito gettato nella mischia come titolare, indiscutibile e insostituibile. Caso tra i più rari mai visti nel calcio italiano che con i giovani usa spesso fin troppa prudenza. Un'ascesa terminata bruscamente il 19 febbraio 1989 contro la Sampdoria, la squadra contro la quale solo quattro mesi prima aveva esordito nel massimo campionato italiano: in uno scontro aereo con lo spagnolo Vicor Muñoz nel cadere a terra si rompe i legamenti del ginocchio destro. In quel momento non solo finisce la stagione del talentino granata, ma di fatto anche la carriera ad alti livelli. Per la cronaca quella era la partita numero 17 in Serie A di Zago (a proposito di sfortuna). E pensare che a Marassi la partita sembrava essere nata sotto un'altra stella, con un suo gol dopo soli 2 minuti.

A differenza di oggi nel 1989 i progressi della chirurgia non erano tali da riconsegnare un giocatore agli standard abituali. Il calvario di Zago durò un anno e mezzo. Al ritorno il Torino lo mandò in prestito in B, al Pescara, nel tentativo di recuperarlo. Un'altra stagione in prestito in B, al Pisa prima del ritorno al Torino, anche se nulla era più come prima. La cessione al Bologna in C1 nel 1993 fu il segnale di resa dei granata e per Zago l'inizio di un girovagare che lo ha portato a vestire le maglie di Nola, Saronno, Varese, Seregno e Meda. Prima di chiudere la sua carriera a Rivoli, sua città natale, in Eccellenza. Oggi Zago ha 51 anni, un altro lavoro anche se il calcio è ancora presente, se pur in modo più marginale, nella sua vita. Per Tuttomercatoweb si racconta:

Che cosa fa oggi Alvise Zago?
"Sono ancora nel mondo del calcio, alleno la squadra del 2005 all'Accademia Torino ma come tutti i comuni mortali bisogna lavorare. Da un paio d'anni porto i pasti a domicilio alle persone che hanno bisogno: anziani, persone con qualche problema".

Gli sarebbe piaciuto allenare una prima squadra?
"Ho sempre allenato i ragazzini, cosa che ho iniziato subito dopo aver smesso nel 2004. Mi piace allenare loro perché gli puoi insegnare qualcosa, li puoi formare. I grandi no, non m'interessa allenarli".

Che rapporto ha oggi col calcio?
"A dirla tutta mi sta un po' passando la voglia, il calcio in generale non mi piace tanto. Devo ammettere che anche dopo aver smesso non sento la mancanza del calcio giocato. Non saprei dire il motivo e fondamentalmente non ce n'è uno ben definito".

Il "Suo" Torino nell'ultimo campionato ha rischiato di retrocedere
"Sicuramente si dovevano vendere dei giocatori, rifare tutta la squadra, giusto rifondare. Avrei venduto Sirigu, non so se vendere Belotti, ma anche gli altri credo abbiano fatto il loro tempo. Alla fine di questa stagione possiamo che il lavoro di Mazzarri meriti di essere rivalutato: ha fatto un buon lavoro, portando la squadra in Europa League anche se grazie a un ripescaggio".

La scelta di Giampaolo in un periodo storico in cui c'era poco tempo per plasmare la squadra si è rivelata sbagliata
"C'era poco tempo per lavorare. Certi allenatori hanno bisogno di un po' di tempo e giocatori adatti al proprio gioco. Col senno di poi tanto valeva andare avanti con Longo, che aveva salvato la squadra. E con una squadra che si deve salvare serve concretezza".

Lei è uno dei più grandi talenti visti su un campo di Serie A. Una carriera frenata sul nascere
"Ho avuto un incidente brutto, uno dei più brutti nella storia di un calciatore. Certo, i tempi sono cambiati i tempi e forse avrei avuto un'altra carriera ma anche oggi sarebbe stata dura riprendersi, dato che tutto il ginocchio era sfasciato. Io ho comunque giocato ancora, a livelli più bassi e me ne rendevo conto. Del resto sono stato fermo un anno e mezzo, e quando torni a giocare vai in prestito, va in B, inizi a non giocare con continuità. Dopo l'infortunio non è stato facile. Magari potevo fare di più ma purtroppo questa la vita mi ha riservato questo".

Viene lanciato da Radice titolare alla prima giornata del campionato 1988/89, nonostante non avesse alcuna presenza in Serie A. E da lì le gioca tutte, fino all'infortunio. Caso più unico che raro per un Primavera
"In quel Torino ne lanciavano tanti, c'era un vivaio florido e quando arrivavi alla Primavera allenato da Sergio Vatta capivi che eri già un giocatore. Si faceva un grande lavoro con i giovani, lui poi ti dava la spinta definitiva verso la prima squadra. E quando Gigi Radice mi ha portato subito in ritiro e mi ha fatto giocare subito, io avevo già la consapevolezza che ce la stavo facendo. Avevo addirittura la 10 sulle spalle".

Cesare Maldini l'aveva portata in Under 21
"Persona eccezionale, per me era un papà. Lui come Radice sono personaggi che ti lasciano il segno dentro. Devo ringraziarli".

A livello giovanile ora in Italia non si ha troppo coraggio a lanciare i giovani
"Forse prima c'erano allenatori del settore giovanile più bravi, e magari anche migliori giocatori. Però c'è qualcosa ancora di buono, tipo il vivaio dell'Atalanta".

Quel Sampdoria-Torino ha deviato completamente la sua traiettoria. Ci ripensa ancora?
"No, ormai sono tranquillo. Certo che ci ho pensato, al fatto che sul più bello mi sono fatto male, a inizio carriera. Nemmeno il tempo di iniziare. Poi ho avuto la sfortuna di capitare in un Torino che in quel periodo era una società un po' così... Praticamente mi feci male con il club che stava passando da Gerbi a Borsano. Poi dopo qualche anno è arrivato Goveani. E i subentrati avranno subito pensato: chi se ne frega di Zago".

È rimasto in contatto con quel mondo?
"Guardi, poco o niente. Prima andavo a fare qualche partita con le vecchie glorie, sento ogni tanto Ezio Rossi e Fuser. Però con gli altri poco, ognuno poi ha la sua strada e la sua vita".

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