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TMW RADIO - Ungheria, Rossi: "Obiettivo Europei. Szoboszlai? La scelta determinerà la carriera"

di Dimitri Conti
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Archivio Stadio Aperto 2020
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Marco Rossi, ct dell’Ungheria, ai microfoni di Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini
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Marco Rossi, ct dell'Ungheria, è intervenuto ai microfoni di TMW Radio, nel corso della trasmissione Stadio Aperto, condotta da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini: "Onestamente mi piace più fare l'allenatore sul campo ogni giorno, lì puoi incidere. Come ct selezioni i giocatori, studi avversari e tattica che vuoi utilizzare ma non hai tempo a sufficienza per preparare ogni singolo aspetto".

L'Ungheria sembrava averla nel destino sin dai suoi geni.
"Sì, mio nonno era tifoso del Toro e dell'Aranycsapat, la Squadra d'oro dell'Ungheria. Mi raccontava sempre le gesta del Grande Torino, ma anche quelle di questa squadra che aveva campioni incredibili. Sono cresciuto ed ho esordito in Serie A col Torino, qualcosa nel DNA mi è rimasta. Poi c'è stata l'opportunità fortuita di andare ad allenare l'Honved, che fu squadra del grande Puskas. Dopo un anno in Slovacchia alla guida di una squadra seguitissima in Ungheria perché facente parte di un territorio che rientra ancora nella cultura ungherese. Vincere lo Scudetto con l'Honved è stato come se l'avesse fatto il Verona... Al DAS abbiamo raggiunto il miglior risultato nella storia del club. Queste piccole imprese mi sono valse la chiamata della nazionale".

Qual è l'obiettivo che si è posto?
"Sarei contento se ci qualificassimo per l'Europeo. Sarebbe bissare quanto successo nel 2016, ma a distanza di trent'anni dall'ultima partecipazione ad una competizione continentale. Sarebbe importante, oltre che per me, per tutto il calcio ungherese. La squadra del 2016 ebbe sicuramente un percorso meno complicato del nostro: era inserita in un girone di qualificazione meno complicato, noi abbiamo preso Croazia, Galles e Slovacchia: è stato difficile ma siamo rimasti in gara fino all'ultimo".

Avete rimpianti?
"Molti nel girone di ritorno. Nelle prime quattro gare eravamo primi, nelle seconde quattro una vittoria sola. Poi abbiamo perso il triplice scontro diretto, e c'è rammarico perché siamo arrivati incerottati sia in difesa che a centrocampo. Questo ha costituito un serio handicap, ma possiamo ancora giocarci il playoff e speriamo di avere più fortuna. Intanto partendo da avere tutti a disposizione e nelle condizioni migliori: per esempio, abbiamo ancora sette-otto giocatori che nei loro campionati non hanno ripreso. In Ungheria il campionato ricomincia a Ferragosto, e da lì a poco giochiamo i primi due impegni. Se arriviamo bene fisicamente possiamo dire la nostra, ma non è compito mio".

Avrebbe voglia di tornare ad allenare in Italia?
"Onestamente no. Non è che abbia il dente avvelenato, ma solo che all'estero ho trovato la mia dimensione. Qui, nonostante le pressioni ci siano, c'è molta sportività in più, a tutti i livelli. Noto che in Italia c'è molta esasperazione, tutti pensano di essere i migliori in tutto. Io ho allenato in Serie C, in contesti difficili dove non c'era campo per allenarsi o condizioni al limite, eppure c'erano pretese al livello dei migliori. Non mi manca. In Italia ci sono tanti bravi allenatori, e probabilmente per quello non ho trovato spazio, oltre al non essere stato bravo nel coltivare amicizie e relazioni con alcune persone, una sorta di lavoro diplomatico".

Cosa manca all'Ungheria?
"Dovrebbe crescere il livello del campionato, e questo potrebbe far arrivare ad un accordo lega e federazione così da poter fare qualche stage. Se lo faccio oggi, ne invito venti e cinque-sei faranno parte. Ci vorrebbe la fortuna che nascano talenti tipo Szoboszlai".

Com'è?
"Secondo me può migliorare ancora tanto, e dipenderà molto dalle scelte che farà. Questa che farà a brevissimo può determinare la sua carriera. So che ha possibilità di giocare in Germania, Inghilterra ed Italia".

A proposito di scelte. Dzsudzsak, talento dell'ultimo ciclo nel calcio ungherese, le ha sbagliate?
"Oggi ha 34 anni, ma una decina d'anni fa, quando venne via dal Debrecen, avrebbe potuto fare scelte più coraggiose. Lui all'epoca preferì andare in Russia, forse pensando più alla tranquillità economica che non a cimentarsi con realtà superiori. Al PSV fece bene, di solito il passo con l'Inghilterra è breve. Probabilmente ne avremmo sentito parlare ancora meglio".

Dei suoi ex compagni sampdoriani, chi l'ha sorpresa di più diventando allenatore: Mancini, Mihajlovic o Zenga?
"Zenga, non me l'aspettavo. Mancio sì, anche in campo a volte faceva proprio il vigile: dava indicazioni un po' a tutti pur giocando davanti, era già un allenatore in campo. Sinisa era molto temperamentale, carismatico. Anche a Zenga non mancava, ma mi sembrava un po' troppo guascone e farfallone, invece ha fatto e sta facendo l'allenatore con ottimi risultati".

Vede una lotta Juventus-Lazio fino in fondo per lo Scudetto?
"Stanno veramente dandosi battaglia, credo che alla fine la spunterà la Juve. Ha più qualità nei singoli, una rosa ampia: a volte magari giocano meno bene, ma la qualità dei campioni viene sempre fuori. Quando riescono a giocare da squadra, come successo col Genoa, diventano irresistibili. I concetti di Sarri, in una grande squadra, ci mettono un po' a far presa, ma quando attecchiscono diventa problematico per gli altri. La Lazio sta andando oltre le aspettative più rosee anche dei tifosi stessi: mancano ancora un po' di partite, vedremo".

Si sarebbe aspettato di più dall'esperienza italiana di Nagy?
"La serie B inglese è il sesto campionato praticamente per importanza... Con Donadoni aveva fatto bene, poi con l'avvicendarsi dei vari altri allenatori ha avuto più problemi. Con Inzaghi giocava abbastanza, Mihajlovic l'ha messo in disparte: ha fatto bene ad andare in Championship, ma rimane l'idea che avrebbe potuto fare di più. Non so il motivo, se sia successo per lui o da allenatori che lo vedevano meno bene".

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