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Campionato 1971/72: così parlò Gianni Rivera...

di Redazione TMW
Fonte: Storie di Calcio
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È il 12 marzo 1972, la lotta per lo scudetto è apertissima: la Juventus, che pure ha perso per una grave malattia il suo alfiere Bettega da qualche settimana, resiste in testa alla classifica, con due punti di vantaggio sulla coppia Milan-Torino. La giornata è cruciale: mentre la Juve gioca in casa col Bologna, sest’ultimo in classifica, i rossoneri sono impegnati sul campo del Cagliari, una grande dell’epoca, che li segue in classifica a un solo punto. I locali vanno in vantaggio con Gori in avvio del primo tempo, il Milan pareggia con Bigon a inizio ripresa.

A tre minuti dalla fine, quando la partita sembra ormai avviata a chiudersi sul pareggio, Riva prende palla in area e cerca di liberarsi di Anquilletti con una mezza rovesciata, non riuscendovi perché la sfera colpisce l’avversario al braccio sinistro, stretto vicino al fianco. Il “mani” appare chiaramente involontario, ma l’arbitro Michelotti, un principe del fischietto, concede il rigore. Gigi Riva va sul dischetto e non perdona, il Milan perde e scivola a quattro punti dalla Juve, vittoriosa sul Bologna. Il guaio è che c’è un fresco precedente: due giornate prima, nel big match di Torino con la Juventus, il Milan ha lamentato un colossale rigore a favore, non concesso da Lo Bello, che poi ha candidamente ammesso alla Domenica Sportiva, di fronte alla moviola (che muoveva allora i primi passi), il proprio errore.
Cosi nel dopo partita Gianni Rivera si presenta davanti ai microfoni e detta, con la sua aria cantilenante e la inconfondibile “erre” moscia, una serie di anatemi da far rabbrividire: «Fino a quando a capo degli arbitri ci sarà il signor Campanati, per noi del Milan le cose andranno sempre in questo modo: saremo costantemente presi in giro. Questo non è più calcio. A parte la nostra comprensibile e incontenibile amarezza, mi spiace per gli sportivi… credono che il calcio sia ancora una cosa seria. Quello che abbiamo subito oggi è una vera vergogna. Credevo che ci avessero fregato già a Torino contro la Juventus, invece ci presero in giro a metà con l’autocritica di Lo Bello in televisione. Purtroppo per il Milan avere certi arbitri è diventata ormai una tradizione. La logica è che dovevamo perdere il campionato. D’altronde, finche dura Campanati non c’è niente da fare: scudetti non ne vinciamo. Io sono disposto ad andare davanti alla magistratura ordinaria, perché ciò che dico è vero: sino alla Corte Costituzionale. Mi hanno rotto le palle. Ha cominciato anni fa un certo Sbardella; sono cose che tutti sanno: è dunque ora che si dicano. Per vincere lo scudetto dovremmo avere almeno nove punti di vantaggio nel girone di andata. In caso contrario davvero non ce lo lasciano vincere, e se lo avessimo saputo non avremmo giocato. È il terzo campionato che ci fregano in questo modo. Sta scritto da qualche parte che il Milan non debba assolutamente raggiungere la Juventus. Fino a questo momento abbiamo trovato tre arbitri che hanno fatto tutto perché restasse sola in testa alla classifica. Se ho raccontato delle storie mi dovrebbero squalificare a vita, ma devono dimostrare che sono state storie. Così non si può più andare avanti; io ho parlato chiaro, non mi sono inventato nulla, ho detto solo cosa si verifica in campo… I casi sono due: o io mi sono inventato tutto e allora mi squalificano a vita, oppure riconoscono di avere sbagliato e bisogna cambiare, sostituire chi non è all’altezza del compito».

Invece c’è anche un terzo caso, quello più scontato: il 14 aprile 1972, la Commissione disciplinare presieduta dall’avvocato Fuhrmann condanna Rivera, in seguito alla denuncia della Lega del 14 marzo 1972, per le dichiarazioni rilasciate a caldo dal giocatore, nonostante nei giorni seguenti lo stesso Rivera abbia cercato di attenuare le proprie dichiarazioni, spiegando che non aveva inteso accusare Campanati o altri di disonestà, ma di aver parlato soltanto di incapacità, di non aver mai avuto l’idea di assurgere a ruolo di giudice né tanto meno di accusatore e di aver riferito soltanto alcuni fatti come, secondo lui, veramente accaduti.

Insomma, ha sostenuto di non aver mai mosso accuse agli arbitri di disonestà, corruzione o malafede, ma soltanto di aver accusato Campanati di incapacità a designare gli arbitri per le partite del Milan: che se la disonestà esiste lo deve provare la Federcalcio, non lui, perché non ne ha le prove. Nelle dichiarazioni rilasciate alla commissione, come si ricava dalla sentenza, Rivera ha ribadito di avere detto ai giornalisti che il Milan subisce da tempi errori arbitrali, frutto dell’incapacità degli arbitri stessi oppure di chi li ha designati, escludendo però di avere parlato di disonestà e precisando che le dichiarazioni successive sono state rese quando si è accorto che le prime erano state male interpretate o distorte. La squalifica al termine del giudizio è di quelle pesanti: Rivera viene appiedato a tutto il 30 giugno 1972, cioè fino al termine della stagione, perdendo così il finale di campionato e di Coppa Italia, del Milan e pure la Nazionale.


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