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Pochesci: "Unica Rabona che conosco è il gesto tecnico. Ascoli? Solo da Pulcinelli"

Esclusiva TMW
di Claudia Marrone
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© foto di Giuseppe Scialla

"Ad Ascoli c'è stato qualcosa di importante ma non da parte di Rabona, che volevo sempre fare da giocatore, ma è un gesto tecnico difficile, non ci sono riuscito. Poi, una certa giornalista paladina dei tifosi su un noto quotidiano, hanno scritto che volevo offrirmi al club, che sì, ho incontrato, ma solo da avversario. Ho la stima dell'unico proprietario dei bianconeri, che aveva però vicino un personaggio che non mi voleva: il destino ha voluto questo, e mi dispiace perché l'Ascoli mi fa battere il cuore, che è quello che cerco alla mia età. Voglio una tifoseria passionale come quella di Terni, che merita la A": così, senza mezzi termini, nell'intervista rilasciata in esclusiva a TuttoMercatoWeb.com, mister Sandro Pochesci, il cui nome è tornato alla ribalta nei giorni scorsi proprio perché accostato alla formazione marchigiana.

Ma c'è immediato spazio anche per la Ternana: "I tifosi meritano qualcosa di più. Bandecchi ha qualche colpa, giusto se le prenda, ha lasciato una squadra fortissima, da playoff, in B, ma le Fere sono state la dimostrazione che non contano molto i giocatori, serve semmai la gestione del quotidiano, perché un club calcistico non è equiparabile a una normale azienda. Basta un minuto da calcio d'angolo e tutto si disperde. Sul mercato manca ancora molto, io a esempio non avrei ceduto Dionisi, che in C può incidere, la squadra l'avrei fatta intorno a lui perché è un grande centravanti da progetto immediato, e di certo non avrei cacciato Capozucca: il Ds e il mister non hanno esperienza in categoria, la Ternana è in balia delle onde. Ed è una piazza dove, come ho detto, serve il sangue che bolle. Sudore, forza e coraggio sono ciò che i tifosi vogliono vedere, non si possono fare esperimenti. Ma non c'è una proprietà forte. E si è visto quando prima si è perso un playout, cosa che accade quando ci sono troppo prestiti che non sentono la maglia, poi giocatori importanti. E Terni è solo un esempio, ce ne sono tante così, è del resto questo il calcio che viviamo. Io spero ancora in riforme, è impossibile vedere ancora questa Nazionale e queste giovanili che prima vincono e poi fanno sparire i ragazzi. Non servono le seconde squadre, serve far giocare i ragazzi del vivaio, ma non in Primavera a 20 anni, quello è un fallimento: la Svizzera l'avremmo presa a pallonate in un contesto diverso. Ma oggi scimmiottiamo gli altri senza ricordarci il nostro DNA, ma il calcio non si copia: qui servono difesa e contropiede, altro che costruzione dal basso. Si rivoluziona una cosa semplice come il calcio".

Il Mantova, però, con la costruzione dal basso ci ha vinto un campionato...
"Il Mantova giocava bene di per sé, con principi ben definiti e giocatori adatti, ma quanti errori si sono visti con questo sistema, e non solo tra i biancorossi? Anche io ci ho giocato, ma non con il regolamento attuale che agevola. Così facendo mettiamo a rischio il difensore che prima marcava l'uomo e si appoggiava al centrocampista, ruolo che ora tocca persino meno palloni dei portieri. Non è questo il nostro calcio".

Un tema prima accennato, le Under 23. Sembra di capire che sia contrario.
"Certo, e spiego perché. Guardiamo la Juventus, ha fatto giocare tanti stranieri che ora vanno a rinforzare le altre nazionali, si è visto agli Europei, dove arrivavamo con una squadra in cui 7 giocatori su undici hanno avuto un passato in Serie C. Perché questo? Perché allora li facevano giocare, ora in Serie A non si vedono più giovani italiani, quando invece la C dovrebbe preparare per la Serie B e quest'ultima per la A. Le brutte figure della Nazionale non sono a causa di chi allena, ma di chi gestisce il calcio: serve un cambiamento, doloroso e che fa paura, ma necessario".

Come riformerebbe, al netto di quanto già detto?
"Non bisogna abbandonare le società dilettantistiche e chi valorizza i settori giovanili, anzi, andrebbero stanziati premi per chi adotta questa linea. Dando poi ai giovani il senso del sacrificio, non quello dei tatuaggi, del Rolex e della Lamborghini, non servono più le scorciatoie, perché fanno perdere la passioni: i ragazzi arrivano troppo presto, gli agenti ci guadagnano ma poi tanti diventano meteore. Si gioca con il cuore, non con il portafogli. Mettiamo semmai i salari giusti, clausole per non far scappare i nostri campioni che all'estero trovano progetti dove li fanno giocare. Tutto questo ci sta facendo perdere i tifosi allo stadio, non si identificano più in quelle squadre, ma il senso si apparenza è fondamentale. E nessuno ha il coraggio di schierarsi".

Altra nota spinosa: quella degli allenatori. C'è qualche tecnico a ora fermo che vorrebbe invece vedere in panchina?
"Sono più che altro stufo di vedere allenatori che fanno disastri e sono ancora sono in piedi solo perché dietro hanno agenti importanti e amici, serve meritocrazia. Dionisi, Zanetti dovrebbero stare in Serie A, dove invece vediamo sempre i soliti. Breda perché fuori? In C non sarà voluto rimanere, va benissimo, ma nessuno chiamato, quando invece chi fa male in B viene chiamato per uno scorcio di stagione in A. Dico una cosa: vedo tante carriere senza talento, e tanti talenti senza carriera. Ma del resto qui ancora ci sono padri che prendono le squadre per far giocare i figli, e guai se si mettono in panchina: un tempo guai invece a chi ci toccava l'allenatore. Calciatori con cultura sono importanti anche per questo, agevolano il compito dei mister, perché è più facile spiegare loro tante cose".

Cosa proporrebbe quindi?
"Di togliere la politica dal calcio. Io nei ruoli di vertice del calcio voglio gente come Baggio, Del Piero, Totti, gente che ha fatto sacrifici oltre a 30 di calcio. Sarebbe un altro mondo".

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