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ESCLUSIVA TMW - Ghirelli: "Stop ai campionati? A oggi, la situazione tiene. Il piano B esiste"

di Ivan Cardia
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La terza ondata che spaventa anche il calcio, ma anche la riforma sempre attesa e la speranza di rivedere i tifosi allo stadio. Raggiunto da TMW e TuttoC, il presidente di Lega Pro, Francesco Ghirelli, ha analizzato il momento che vive il pallone italiano. L’8 marzo, giornata internazionale della donna: e infatti si parte proprio dalle donne, rappresentate in maniera eccezionale anche dalle tante professioniste che lavorano in Lega Pro con oltre 150 competenze nei club e in sede: “Ho sempre avuto, per fortuna e per scelta, la possibilità di lavorare con tante professionalità femminili nella mia esistenza, in diversi settori. Le ho sempre trovate più brave, più geniali, più curiose e più sensibili. I dati che si leggono ogni giorno segnano un arretramento, penso al numero delle occupate. E anche la chiusura delle scuole penso provochi un impatto fortemente negativo soprattutto sulle donne, che pagano un prezzo ancora più pesante con la pandemia. Quella mimosa è un segno, è storia, presente, e va letto al futuro. Significa anche spazi di conquista: dobbiamo capire bene qual è il suo significato e ragionare non solo sulle parole, ma in termini concreti”.

Attualità: la terza ondata preoccupa. Teme uno stop dei campionati?
“Noi monitoriamo dal pre-campionato i dati, ora lo facciamo anche in Primavera 3, sotto la regia del professor Braconaro. Ragion per cui mi affido alle sue parole dell’altro giorno: al momento attuale, se si esclude il cluster della Cavese e del Cesena, la situazione sembra tenere. Certo, se c’è un’ondata dall’esterno, allora bisogna valutare: a oggi, la situazione è sotto controllo. Però, certo, qualche nube pesante all’orizzonte si vede. Mi auguro si possa superare. Il calcio rappresenta anche un problema di svago e di gioia, pur nella particolarità di una stagione diversa e difficile: sarebbe un colpo pesante bloccarlo, credo anche di più rispetto all’anno scorso. Sarebbe un segnale non positivo. Dobbiamo andare avanti con saggezza”.

Nell’eventualità, c’è un piano B?
“Certo che esiste. Anzi, parlo al plurale. Esiste il piano B, C, D, E. Li abbiamo previsti mesi fa. Poi, come dissi allora, bisogna adattare il piano da seguire al momento particolare nel momento in cui dovesse scattare. Esistono i piani alternativi, spero non ci sia bisogno di farvi ricorso”.

Il governo Draghi è in carica ormai da un po’ di tempo. Cosa è cambiato per voi, senza un Ministero ad hoc per lo Sport?
“Una parte della responsabilità è nostra, dello sport. Non è che ci siamo presentati molto uniti. I banchi di prova saranno due: il primo è il decreto che, almeno da quello che sembra, dovrebbe essere promulgato venerdì di questa settimana, che sostituirà il Ristori V. Dovrebbe essere contenuto un intervento per quanto riguarda le spese sanitarie per i tamponi, un rifinanziamento del credito d’imposta e del prolungamento del credito d’imposta fino alla fine dell’anno. Poi liquidità sul modello PMI e lo spostamento ulteriore degli affitti delle infrastrutture sportive. Uso il condizionale finché non sarà nero su bianco, ma per noi queste misure sarebbero il minimo sindacale per reggere. Ricordo che oggi, un anno fa, si giocava l’ultima partita del girone C, mi ricordo che andai a vedere Avellino-Ternana, in una situazione particolarmente complicata. Il secondo passaggio è il recovery fund: ci stiamo lavorando, da un lato col comitato 4.0 e dall’altro con il vicepresidente Luigi Ludovici. Può trovare nelle infrastrutture sportive, ma non solo in quelle, la possibilità di un investimento non pesante dal punto di vista finanziario, capace di permeare tutto il territorio nazionale, di dare molti posti di lavoro di giovani professionalmente qualificati ma anche di consentire di innescare riforme. Penso per esempio a quella della scuola, per i riflessi che ha: da questo punto di vista, i decreti sull’apprendistato spingono in questa direzione. E poi i nostri stadi possono diventare un punto di riferimento per la raccolta della plastica e anche centri di formazione di nuova cultura Cioè essere centri di riconversione ecologica, generatori di una nuova cultura e ampliare i processi di digitalizzazione”.

Ecco, il Comitato 4.0. Non è il caso che sia la FIGC a curare questi meccanismi politici?
“Non c’è nessun contrasto, nessuna dicotomia. Il Comitato 4.0 nasce dal fatto che c’è un insieme di società che stanno nella faglia tra il professionismo d’élite e i dilettanti da 6-800 euro. Non è un organismo politico: è un soggetto che fornisce dati tecnici, progetti, idee. Io mi spaventerei di dove c’è il vuoto, dove non si opera. Non c’è alcuna conflittualità con nessuno: c’è un gruppo di leghe che, partendo dalle rispettive esigenze, hanno sposato un ragionamento a sistema, mettono a disposizione capacità tecniche e informazioni, per dare qualcosa di utile a tutti. C’è sempre dietrologia in questo Paese: dietro, in questo caso, non c’è nulla se non l’intenzione di portare idee, proposte, dati scientifici. D’altra parte la FIGC ha lavorato e lavora benissimo”.
È curioso, però, che vi sia più vicinanza tra la Lega Pro e la lega di basket o volley, che non all’interno della FIGC, della stessa federazione.
“Come dicevo, immaginare che vi sia qualcosa dietro è una cosa che viene riproposta spesso, un problema che riguarda questo Paese. Ripeto: non c’è nulla, se non la voglia di dare una mano e contribuire. Da questo lavoro è arrivato il credito d’imposta, ma non ne usufruiamo solo noi: ne usufruisce la Serie B, ma anche il rugby per dirne uno. A volte, ci sono delle organizzazioni e delle persone a cui interessa fare e non apparire. Con figc c’è una forte unità di intenti , Gabriele Gravina , lo dimostra la sua rielezione, ci rappresenta pienamente e non mi sembra che ci siano contrasti tra le componenti del calcio nelle richieste da avanzare al governo, anzi c’è unità e condivisione “
A proposito di apparire. I tifosi li rivedremo allo stadio in questa stagione o è un miraggio?
“C’è un dato generale: l’Italia di oggi è un Paese che ha necessità di mettere in campo fiducia e speranza. Siamo logorati da questo periodo lunghissimo. Dobbiamo rivedere la gente allo stadio, o comunque dare questo obiettivo: non possiamo togliere la speranza, la fiducia, uno spiraglio per poter attraversare la frontiera. Vedere la gente allo stadio vorrebbe dire che questo Paese sta meglio”.

Si è celebrato il primo consiglio federale del Gravina-bis. In passato lei ha detto che per la riforma bisognerebbe chiudervi in una stanza e buttare la chiave fino alla fumata bianca.
“Non so se si farà un conclave. So che un grande Papa, come Papa Francesco è andato in Iraq: nessuna via è preclusa se si vuol perseguire un obiettivo. Un passaggio su cui non arretrerò è il piano strategico. Abbiamo individuato un percorso positivo su dove collocare la Lega Pro, come trasformarla, come lavorare sugli sponsor su cui sta lavorando il vicepresidente Marcel Vulpis: dobbiamo dare fiducia. Quando parliamo di riforma, io ne ripongo tanta di fiducia sulla capacità di mettere in campo un’energia che metta in moto questo Paese e metta in moto il nostro mondo, lo faccia correre. Le faccio un esempio: perché è da apprezzare il lavoro di Mancini? La chiave che ha usato è far giocare i giovani, e lui, nel pieno della crisi, dopo l’eliminazione dal mondiale , ha giocato la carta della speranza. Noi dobbiamo essere questi, se vogliamo uscirne. Il virus ha solo accelerato una crisi che già c’era. E noi dobbiamo essere concreti nel fronteggiarla”.

Appunto, a proposito di concretezza. In che direzione si andrà? Domani immagina più o meno squadre professionistiche? Le squadre B ci saranno ancora? Oggi Agnelli ha lanciato un grido di allarme sullo stato del calcio.
“Alla fine del 2020, a dicembre, è stata pubblicata negli USA una ricerca riguardante l’approccio alla generazione Z al calcio: c’è stato un calo ulteriore di interesse, almeno del 10 per cento, verso lo sport. Il giudizio che viene fuori dal calcio è che è tutto noia: per uno come me, che è andato al campo sportivo con suo padre da bambino ed è cresciuto a pane e calcio, è duro sentirlo definire noioso. Eppure non devo mettere la testa nella sabbia e nascondermi la realtà. Il nostro gioco, quello che riteniamo il più bello al mondo, viene messo in discussione totalmente dai giovani di oggi. Dobbiamo guardare al futuro. Come ammoderniamo questo gioco rendendolo attrattivo rispetto ai giocatori? Questo ci dobbiamo chiedere. Non dobbiamo ragionare sui numeri: aumentiamo/diminuiamo. Quello viene dopo. Noi dobbiamo chiederci se è sostenibile questo calcio, dalla Serie A alla Serie D. Al termine, si può ragionare anche sul numero. Io, essendo uno che è passato da 90 a 60 club, di tutti quelli che si siederanno al tavolo, non ho problemi o timori sui numeri. Ma so anche un’altra cosa: quando siamo passati da 90 a 60 non abbiamo risolto granché. Era un’autoriforma, fatta tutta da noi perché altri non hanno voluta farla: questo era il problema. Dobbiamo ragionare a sistema, altrimenti il rischio è ragionare ancora e solo sui numeri: 90 e 60 ce li potevamo giocare alla tombola. Io non voglio giocare a tombola, ma affrontare il problema che ci pongono i giovani”.

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