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Torino, Vojvoda: "Bremer un animale, spero resti. Volevo venire qui, ho detto subito sì"

di Lorenzo Di Benedetto
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Ospite di DAZN Talk, l'esterno del Torino, Mergim Vojvoda, ha parlato di molti temi. Queste le sue parole:

Qual è il tuo rapporto con il fantacalcio?
“All’inizio non sapevo cosa fosse, poi mi sono arrivati più di 100 messaggi. Ho parlato con i miei compagni, me lo hanno spiegato. Una volta sono stato ammonito e mi hanno scritto “Cosa hai fatto?!”. E adesso è per questo che non prendo più gialli (ride, ndr). Djidji, Lukic e un po’ tutti mi hanno spiegato che cos’è. Anche i fantallenatori mi danno motivazioni. Il fisioterapista mi mette tanta pressione per il fantacalcio, anche prima della partita. Zaza, Belotti e Pobega ci giocano".

Quali sono i tuoi soprannomi?
“Ne ho tanti soprannomi: “Mergim”, “Megrim”, so che è difficile e quindi non mi lamento. Solitamente “Meg”. Juric è il primo che sbaglia il mio nome (ride, ndr).

Com’è il tuo rapporto con i compagni?
“Mi sento bene con tutti nello spogliatoio, ma i più divertenti sono Izzo e Ansaldi. Aina è il dj della squadra, mette tanta musica rap e hip-hop”.

Quanto ti sta aiutando Ansaldi?
“Mi piace parlare con tutti, ancora di più con lui perché ha esperienza. Gioca nel mio stesso ruolo, mi piace vedere quello che fa e gli chiedo tante cose. Mi faccio spiegare quando fare il dribbling o giocare semplice, Ansaldi è un grande uomo perché ha sempre tempo per noi giovani”.

Che rapporto hai con Juric?
“Non lo so…Io sono un professionista, non sono troppo aperto ma sono più riservato. Quando il mister parla, ascolto tutto ciò che mi può servire e cerco di farlo sul campo. Dice che sto andando bene, vuol dire che ho imparato ciò che mi ha insegnato. Prima di una partita, mi ha abbracciato e mi ha detto: ‘Vai, mio soldato’. Siamo tutti suoi giocatori, dobbiamo restituirgli la fiducia che ha in noi”.

Come sono i suoi allenamenti?
“Mamma mia (ride, ndr)…sono tanto faticosi, ma è la strada giusta: devi sempre andare forte. È il primo mister che ho conosciuto con questi metodi. È la sua filosofia, lavorare e lavorare”

Qual è il tuo idolo?
“Il mio preferito era Ronaldinho: quando lo vedi giocare ha il sorriso, mi è sempre piaciuto. E nel mio ruolo c’è Dani Alves, un grande calciatore”

Quanto gasa la curva Maratona?
“Tanto, abbiamo bisogno di loro. Purtroppo con il Covid non c’è stata sempre, ma mi piacciono i tifosi così caldi ed è un qualcosa di bello. Dopo il 70’ hai bisogno di loro, quando senti il dodicesimo uomo in campo ti dà qualcosa in più”.

Com’è stata la prima volta a Superga?
“Sono andato da solo perché c’era il Covid. Con un mio amico siamo saliti, è un qualcosa che ti fa pensare ed è un onore vestire questa maglia: il Grande Torino ha fatto la storia”.

Cosa ti ha spinto a scegliere il Toro e l’Italia?
“Mi piacciono le squadre che hanno una bella storia dietro. Lo Standard Liegi era simile, i tifosi sono caldi e c’è una grande società. Quando mi ha chiamato Vagnati ho subito detto “sì”, mi ha raccontato la storia e io volevo venire. Sono contento della mia scelta, voglio lasciare il mio nome qui”.

Quali sono le maggiori differenze tra il campionato belga e la Serie A?
“È diverso dal Belgio: qui ci sono più qualità e si gioca più con la testa, là ci si butta subito nello spazio. C’è uno schema preciso e già prima della partita sai cosa dovrai fare, in Belgio c’è più istinto”

Com’è la tua storia?
“Sono nato in Germania perché nel mio Paese, in Kosovo, c’era la guerra. Poi siamo tornati nel nostro Paese perché non avevamo i documenti, mio padre era un soldato e quando è finita la guerra siamo andati in Belgio. La mia è una storia di tanti sacrifici, sono felice della mia storia perché la mia famiglia si è sacrificata e oggi abbiamo il senso dei valori. Sono già zio, mia mamma vorrebbe che io diventassi papà (ride, ndr). E a me piacciono i bambini, ne voglio cinque! Ho un fratello e due sorelle, io sono il più piccolo. Non mi sono mai innamorato, sono concentrato sul calcio ma piano piano arriverà”.

Ti piace Torino?
“Molto, si mangia bene. Io amo la pasta e il pesce, sono pazzo di questo”.

Quando entra Juric, com’è il clima nello spogliatoio?
“Siamo una famiglia, quando si deve lavorare si lavora ma spesso facciamo cena insieme e si scherza. Il mister prepara al massimo le partite, sappiamo cosa dobbiamo, ma quando finisce l’allenamento ridiamo e scherziamo, spesso anche con lui. E quasi sempre mangiamo insieme per creare gruppo e fare famiglia”.

Dove ti immagini in futuro?
“Io vivo alla giornata, vedo così la mia vita. Credo molto in Dio e ogni giorno è una fortuna, non so tra cinque o dieci anni dove sarò”.

Cosa ti dà la carica prima delle partite?
“Mio fratello: ha sette anni più di me, è lui che mi ha educato e mi ha portato a giocare a calcio. Ha sempre creduto in me, è la prima persona che sento prima e dopo le partite”.

Bremer è davvero così forte?
“È fortissimo, un animale. Ha fatto un salto di qualità incredibile nell’ultimo anno, ma può ancora migliorare tanto perché giovane. Ha rinnovato, speriamo che resti perché è davvero forte. Fisicamente è forte, lavora tanto e appena sono arrivato sono rimasto impressionato da quanto si allenasse. È anche veloce, è alto e ha fatto un grande salto di qualità a livello tecnico, con il pallone tra i piedi. Il lavoro paga, con lui si vede”.

Qual è il tuo rapporto con Belotti?
“È il nostro capitano, rappresenta bene il Toro: è già da tanti anni qui, ha fatto 100 gol in serie A e si fa rispettare. Ha avuto un periodo di infortunio, non è sempre facile rientrare ma è carico: dà tutto per la società e la squadra, ora è tornato segnando e sono contento per lui”.

Se non fossi diventato calciatore, cosa avresti voluto fare?
“Il meccanico o l’elettricista, mi piace il lavoro con le mani. Ho finito la scuola ma non mi è piaciuta, per fortuna faccio qualcosa che mi piace e vengo pagato per questo”.

Quale partita ricordi più volentieri?
“La prima, era contro la Fiorentina lì: quando ho messo la maglia, ho capito di essere arrivato in un altro calcio. E anche il mio primo gol in Nazionale contro la Repubblica Ceca, era prima del Covid e lo stadio era pienissimo”.

Che significato ha giocare per la Nazionale?
“Vuol dire tanto, è come se stessi proteggendo il tuo Paese. Il calcio può fare tante cose, per me è motivo di grande orgoglio vestire la maglia del Kosovo”.

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