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TMW RADIO - Cosmi: "Che peperino Cuadrado. Vi racconto la sua corsa e cosa dissi a Pradè"

di Dimitri Conti
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport
Archivio Stadio Aperto 2020
TMW Radio
Archivio Stadio Aperto 2020
Serse Cosmi ai microfoni di Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini
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L'allenatore Serse Cosmi è intervenuto nel corso di Stadio Aperto, trasmissione di TMW Radio condotta da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini: "I verdetti della stagione passata, e mi riferisco sia alla A che alla B, in alcune situazioni avevano fatto intuire quanto tutto fosse condizionato da questo maledetto virus. Mi viene in mente la Lazio prima della sosta e dopo, oppure il Milan. Se parliamo di Serie B, le ultime dieci partite, tranne il Livorno, ci sono state Ascoli, Cremonese e Cosenza che hanno fatto più punti di chi era in testa. Nonostante tutto, nei commenti e nei comportamenti, il calcio per il resto è rimasto uguale, ma manca una componente decisiva come il pubblico. Io non riesco ad abituarmi, fatico a considerarlo evento in completezza anche se capisco che si dovesse andare avanti. Non mi si venga a dire però che è la stessa cosa... Ci sono situazioni di squadre colpite dal Covid, altre no: sono cose diverse da eventi fortuiti che hanno sempre condizionato il calcio, è una lotteria. Senza considerare che molte squadre nella preparazione non hanno potuto effettuare amichevoli, e per allenatori nuovi e chi cambia molto sono componenti fondamentali".

Lei ha raccontato di aver contratto il Covid. Ci racconta cosa le ha lasciato?
"Il paradosso ormai regna sovrano, perché oggi mi sento una persona fortunata: io, mia moglie e mio figlio abbiamo contratto il Coronavirus e ne siamo usciti fuori. Rischiando di veder compromessa la salute, posso dire di essere stato fortunato anche se il periodo è stato lungo. I sintomi però sono stati lievi, per soli tre giorni: negli altri venticinque era la componente psicologica del non riuscire a negativizzarsi, senza riuscire ad accendere la televisione perché è un bombardamento. Anche se la scampi sul fisico, psicologicamente vieni toccato. Sento dire che se ne esce migliori, ma è una cazzata clamorosa. Non mi sorprendo che qualche giocatore oggi abbia certe prestazioni dopo aver contratto il virus".

A Udine sentì la musica Champions, cosa è significato?
"In assoluto è stato il picco della mia carriera e ne vado orgoglioso. Divento quasi il cantore di me stesso, visto che nessuno si ricorda... Io ho fatto tutte le categorie dalla Prima in su, e anche tutte le competizioni annesse, pure quelle europee. Non c'è una categoria che non ho avuto la fortuna di vivere, anche se devo essere onesto: a quel tempo ancora la musichetta nei preliminari non c'era, ma solo nei gironi. Fummo eliminati con 7 punti per la differenza negli scontri diretti, dal Barcellona che vinse la Champions quando a due minuti dalla fine eravamo avanti. Un mese e mezzo dopo son stato cacciato. Mi diverte ora sentire disquisizioni sul girone dell'Inter che ha finito a 6 punti, o l'Atalanta che l'anno scorso ne ha fatti 7 come noi ma è passata. Il calcio è sì oggettivo ma anche raccontato".

Com'è cambiato il calcio italiano?
"Impazzisco quando sento che il calcio italiano si è evoluto. E ne sono convinti anche i giocatori, ma per me è solo cambiato, questo però non significa sia meglio. Una cosa un po' patetica che si fa è legarsi ai propri tempi, ma siccome io l'allenatore sento di poterlo fare ancora mi piace vivere i cambiamenti, e non so quanto la qualità complessiva sia cresciuta. E in questo discorso voglio metterci anche i giornalisti... Nel calcio c'è davvero un sovrannumero, e ad alcune figure è stato dato un valore diverso rispetto a quello che gli deve essere attribuito: non si capisce chi è procuratore o ds, e questa serie di figure forse prima o poi capiranno che va data un po' una ridimensionata a numeri e ruoli. In ogni società ce ne sono un'infinità, e se tutto sembra funzionare alla perfezione vi assicuro non è così".

Sta scomparendo l'importanza della gavetta?
"Se lo dico io rientro nel discorso del 60enne patetico che vede allenatori neanche quarantenni in Serie A. Voglio fare invece una disamina: le cose sono cambiate, prima per poter diventare allenatore bisognava aver fatto diverse categorie, e questo lo faceva anche chi aveva giocato in Serie A. Ancelotti, tanto per fare nomi e cognomi, ha iniziato con la Reggiana pur essendo stato un grande giocatore. Insieme a questi, però, la scuola di Coverciano partoriva degli allenatori senza grandissimo curriculum sportivo ma che venivano valutati pronti per poter, magari passando dalla C o dai campionati Primavera, dimostrare il proprio valore. Oggi no...".

Pioli, per esempio, però viene ripagato del lavoro fatto nel tempo.
"Io di Stefano ho sempre avuto un certo concetto come persona, umiltà e capacità. Ma pensiamo anche a Sarri arrivato in Serie A alle soglie di quasi sessant'anni: è quasi un mio coetaneo... Io vorrei sapere dov'erano tutti quelli che hanno capito che hanno incensato Sarri con Napoli, Chelsea e Juve. In Serie C a volte ha avuto delle difficoltà, e questo è per dirvi quanto sia variegato il nostro mondo. Quando ho debuttato io in A, nel 2000 c'erano Ancelotti, Capello, Lippi, Guidolin, Eriksson... E me ne dimentico altri. Il Cosmi che veniva dalla Serie C era la clamorosa eccezione in mezzo a quei giganti. Adesso invece allenano dei ragazzi che sono più o meno tutti coetanei, la scena è un po' cambiata. Ma niente giudizi patetici, anche ai miei tempi sentivo certi discorsi".

Sorpreso da come si è reinventato Cuadrado?
"Chiedete a Pradè... Vi può testimoniare che dopo Lecce mi chiese se potesse giocare nella Fiorentina. Gli dissi di no, che con tutto il rispetto per una piazza come Firenze, se riusciva a prenderlo il fenomeno era lui. Eppure l'Udinese non lo vedeva bene... Le cose dobbiamo dirle, perché quando le cose vanno bene sono tutti scopritori. Su di lui c'erano perplessità, anche perché in rosa c'erano tanti giocatori tra cui il nostro campione Muriel. Comunque quando gli dissi così, Pradè mi ascoltò...".

Ci ha azzeccato, vista anche la sua durata negli anni.
"Lui fisicamente ha sempre avuto una gran tenuta. Ricordo un gol che partì dalla difesa, arrivò davanti al portiere e gli fece gol con uno scavino mentre io gli stavo urlando "scarica!" da inizio azione. Viene ad esultare in panchina e quando mi abbraccia mi fa: "Mister, se davo retta a lei col cazzo che facevo gol!". E aveva ragione... Questo per dirvi che è un bel peperino di carattere, ma veramente straordinario. Il suo unico limite era tattico, con Di Francesco faceva da quarto di difesa mentre in un 3-5-2 era il quinto, e lì c'era da migliorare la fase difensiva. Fatto quello, il resto c'era, e non mi ha sorpresa. Pensavo e speravo che facesse di più Muriel, invece. Gli ho visto fare certe cose in allenamento... Vi assicuro che non era tanto inferiore a Di Natale".

Le esperienze turbolente come lei ha avuto per esempio a Genova o Trapani, rendono il bagaglio dell'allenatore più completo?
"A livello emozionale non mi son fatto mancare niente... Oggi posso dirlo in maniera onesta, quando le cose hanno combaciato in maniera giusta sono venute fuori belle cose come Perugia, gli anni ad Arezzo che per me hanno un valore inestimabile, o quel Genoa che rimane la squadra ad aver fatto più gol di tutti nel Dopoguerra, o quel Lecce con la retrocessione immeritata ed applaudita da uno stadio intero. O ancora l'Ascoli, o Trapani... Dentro di me ho dei momenti che veramente non hanno valore. Ripeto, l'ovazione dopo che siamo retrocessi col Lecce è qualcosa di cento volte superiore rispetto a una conquista sportiva. Chi ha vinto Scudetti e Champions non potrà capire".

Sorpreso dal vedere Genoa, Torino e Fiorentina in lotta per la salvezza?
"Le ultime due sì. Anche il Genoa, seppure abbia sempre scampato miracolosamente la Serie B negli ultimi anni, quando c'erano già due squadre virtualmente retrocesse a questo punto, ma quest'anno no. Benevento e Spezia fanno punti, e anche il Crotone non è indietro sul piano del gioco. La vedo più pericolosa che per altre annate... Non vorrei che quest'anno cascasse giù qualcuno di impensabile. Rischiamo che ci sia qualche vittima illustre. La stagione della Fiorentina è iniziata in una certa maniera, da fuori ho sempre notato una maggiore propensione alla critica e al non essere comunque contenti, al voler cambiare. Ora è tornato Prandelli, importantissimo sull'aspetto ambientale ma mi ha ricordato un po' il mio Perugia lo scorso anno. Lì ho trovato un altro mondo, e penso valga anche per lui. Il rischio è di rimanere nelle suggestioni, ma Prandelli ha tutto per uscirne. Col pubblico direi che la Fiorentina non ha problemi, senza forse rischiano di averne, così come Torino e Genoa. Tre società molto identificate".

Da dove partirebbe per raccontare il suo Perugia a chi non l'ha visto?
"Torno un attimo all'ultima esperienza, e alla gente che mi ha chiesto chi me l'avesse fatto fare. Se il Perugia mi chiama mille volte, ci torno mille volte. Questo è il mio modus operandi, io non potrei mai dire di no a loro, in qualsiasi situazione e condizione. Mi prendo le mie responsabilità, so che potevo far meglio: ho sottovalutato certe situazioni che purtroppo vedi solo dopo. Ma aver fatto valutazioni sbagliate non significa rinnegare la scelta. Tornando a Perugia a gennaio mi sono sentito il padrone del mondo, nessun'altra squadra mi avrebbe fatto così felice. L'unico momento bello di questo maledetto 2020 è stato quando mi hanno chiamato e ho firmato. Ho visto tutto quello che sarebbe potuto accadere, ma che purtroppo non è successo. Non voglio sparare su nessuno, non fa parte della mia etica professionale. Mi limito al dolore atroce provato il giorno che è retrocesso, anche se non ero più l'allenatore. Me lo porto ancora dentro. Oggi incontro tanti ventenni curiosi, perché sono nati in quel periodo, di un Perugia raccontato perché ne vale la pena, che fa parte delle storie meravigliose del nostro calcio, venuto fuori da follia ma anche competenza di società e dirigenti. Sette anni prima, da tifoso, ero andato a vedere la squadra a Foggia, poi mi sono trovato sulla panchina... Mi sentivo allenatore della mia gente. Quando sono tornato ero convinto di esserlo ancora: in parte è stato così, ma le cose erano nei cambiate. Non tanto nei miei confronti, in generale. L'esperienza comunque non avrei voluto viverla per com'è finita, ma non la rinnegherò mai".

In Serie A ci sono tanti che lei ha allenato... Sente di avergli dato qualcosa?
"Penso di sì, ora però sono dall'altra parte della barricata e pensano diversamente. Infatti il dramma è quando un allenatore ragiona da calciatore, perché sono due mestieri diversi".

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