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Sacchi: "Il mio Milan lo hanno copiato in tutto il mondo. Ma in Italia siamo sempre in ritardo"

di Simone Lorini
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Si è svolto ieri presso il “Mapei Stadium – Città del Tricolore” il Convegno di Generazione S intitolato “Testa e Gambe: La preparazione atletica a 360°, fisica, mentale e nutrizionale”. Queste le parole dell'ospite d'onore, Arrigo Sacchi: "Io ho sempre avuto uno psicologo, già quando allenavo il Rimini. In questo paese a fare le cose semplici sei già un rivoluzionario. Il calcio è il riflesso della storia e della cultura di un Paese e purtroppo il nostro Paese non sta vivendo un gran momento, confidiamo in un singolo per rimediare alla povertà complessiva di idee. Questo è un Paese che si fa nel male e nel calcio anche. Il calcio è dominato da allenatori, tattici, come anche le aziende, poche sono strateghe e molte sono tattiche. C'è un motivo per cui le nostre squadre hanno dei bilanci quasi tutti in rosso perché puntiamo sul tattico ma il tattico costa molto e non riusciamo a dare un senso a quello che stiamo facendo. Una vittoria senza merito non è una vittoria, non crea futuro, e per vincere devi fare un buco nel bilancio. In Inghilterra sfruttano molto gli stadi, noi vogliamo vincere ma se non lo meriti. Adesso non mi guardano più come un alieno, prima forse sì. Io amo il calcio a quando ero bambino, ho avuto anche la capacità di capire che non sarei stato un ottimo giocatore e a 19 anni ho smesso di giocare. Sono stato fuori, mi interessavo sempre di calcio. Sono partito dalla 2ª categoria e ho fatto un po' tutte le categorie, mai esonerato e mai retrocesso, vincendo dei campionati. Questo però è un Paese un po' mafioso, altrimenti non si capirebbe come metà dell'Italia sia mafiosa. Mi vedevano come un qualcosa da poter ammazzare. C'era un signore dove abito io. Un giorno apparve sul giornale che dovevo andare al Milan e si parlava del signor nessuno, dopo 17 anni che arrivavo. Lui mi disse: non te la devi prendere, tu sei arrivato, ci sono dei posti occupati e ognuno ha un coltello, tu li hai spostati e loro ti danno le coltellate. Questo lo avevano fatto anche a Rimini anni prima e ho dovuto cercare di convincerli. Adesso qualcosa si è mosso in questo Paese. Il Milan dell'89' è stato considerato dalla UEFA, da France Football, da World Soccer, la più grande squadra della storia però in Italia ci stiamo muovendo un pochettino, ci sono alcuni strateghi ma non troppi. Non so se avete visto Juventus-Inter. Io amo il calcio e vorrei che non morisse e se non dai emozioni, spettacolo, se non ti rinnovi, il calcio sarà sempre più un collettivo di intelligenza dove io ho avuto dei vantaggi perché altri guardavano i piedi e io guardavo la testa, prima obbligato, poi dopo non li volevo io, non volevo giocatori già affermati. L'intelligenza è importante perché miglioravano loro e miglioravo io. Se hai dei giocatori che pensano di essere vicini a Dio, se sono individualisti, parlano solo di soli, dove vuoi andare con questi?", le parole raccolte da SassuoloNews.

Cosa è rimasto di quel Milan e della sua lezione?
"Ci hanno copiato in tutto il mondo, lo disse anche Costacurta qualche anno fa, ma noi siamo in ritardo su tutti i fronti, questo è un Paese ritardato a livello culturale, che è stato uno dei Paesi che ha illuminato il mondo. Le nostre Università non sono quelle di prima, gli insegnanti altrove percepiscono il doppio, il quadruplo dei nostri. Una volta venivano in Italia, ora andiamo noi all'estero, il calcio è lo specchio della nostra società. A 11 anni io sentivo sempre dire che i tedeschi erano dei crucchi ma vidi che giravano con Porsche, Mercedes, mentre gli italiani facevano i lavori più umili, e lì che io non ho mai creduto nella furbizia. Nel calcio noi volevamo vincere perché dominavamo e io ho avuto la fortuna di trovare sempre dei presidente pazienti e competenti. Uno per uno fa uno e uno per undici fa undici, nessuno riuscirà mai a essere un collettivo da solo. Io volevo i giocatori bravi che giocassero con la squadra e per la squadra, fare squadra in questo Paese individualista e ignorante è la cosa più improbabile. Non tutti, io di fatto cercavo di trovare questi ragazzi. Quando andai al Parma, il Parma era retrocesso in C, di 23 giocatori ne tenni 3, m portai dietro i giocatori che conoscevo. Allodi, che è stato per me uno dei più grandi, aveva percepito subito che quello che aveva fatto la Francia l'avrebbe portata a essere una big. Fino al 1975-80 la Francia a livello calcistico non era una grande nazione. Noi siamo vecchi, devi cercare di lavorare prevedendo, anticipando, trovare dei ragazzi che io dicevo con Berlusconi. C'era un giocatore che giocava in nazionale e sapevo che passava la notte sempre fuori, dissi: 'se continuiamo a tenerlo poi lo seguiranno gli altri'. Io gli dissi di non comprare nessuno, c'era già la sua riserva. Poi gli dissi: abbiamo già Costacurta, gioca in C. Avere fiducia nelle tue idee ti permette di prevenire. Io ero convintissimo di quello che stavo facendo. Ancelotti aveva problemi alle articolazioni ma io sapevo che lui era una persona affidabile, generosa, aveva entusiasmo, ti dava forze, e dissi con Berlusconi. Il mercato terminava il sabato mattina, venerdì notte all'1 mi dice di aver fatto l'accordo con la Roma ma devi chiamare il presidente. Lui non voleva, io gli dissi che se mi prendeva Ancelotti avremmo vinto il campionato. Mi prese Ancelotti e abbiamo vinto il campionato".

La cultura della sconfitta: "La cultura della sconfitta non interessa, devi avere delle persone che cercano di non perdere perché giochiamo meglio, corriamo meglio di loro, abbiamo più entusiasmo. Quando perdi hai perso e in quel momento non devi spingere. I giornali cosa fanno? Non aiutano, non tutti, ci sono sempre degli interessi. Siamo disonesti e questo non va bene. Siamo furbi, abbiamo 2.870 miliardi di debito e se non fossimo stati furbi come avremmo fatto? Se ne esce con la cultura e non ci siamo. Se ne esce credendo di non essere in Dio. Io credevo nella bellezza, nelle emozioni, nello spettacolo, nell'innovazione: senza conoscenza non ci può essere né innovazione e né coraggio. Stiamo vivendo un momento terribile, nella vita, e dobbiamo cercare di affrontarlo in un modo positivo, cercando di affrontare la strada per venirne fuori. Nel calcio parlavano di mafia, spaghetti e catenaccio. C'erano solo ue parole nel libro della FIFA, due parole italiane, erano catenaccio e libero. I padri fondatori di questo sport lo avevano pensato come uno sport di squadra offensivo che ha perso le sue caratteristiche originarie in Italia, dove noi lo abbiamo tramutato in un calcio di singoli e difensivo. L'ultima volta che siamo andati all'attacco era con i Romani, con il sistema testuggine. Nel calcio è la stessa cosa. Dovevamo giocare contro il Napoli di Maradona, Careca, e io dicevo: se abbiamo il pallone noi non ce l'hanno loro, poi se quando ce l'hanno loro li andiamo ad aggredire subito il passaggio non sarà così preciso, Maradona riceverà palla ma a centrocampo. Se mi ispiravo a Giulio Cesare? No, non mi ispiravo a lui anche perché ha fatto una brutta fine".

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