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Roma, Fonseca: "Mi sono evoluto e ne sono orgoglioso. Il gioco in Italia è strategico"

di Lorenzo Di Benedetto
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Il tecnico della Roma, Paulo Fonseca, ha parlato al programma su Youtube Quarantena da Bola. Queste le sue parole: "Mi sono sentito bene in tutti i club in cui sono stato in passato, anche in quelli in cui non ho avuto tanto successo. A parte i risultati, ho sempre creato ottimi rapporti con le persone che lavoravano con me, con i giocatori, con i dirigenti. Non c’è nessun club in cui non mi sia sentito bene, ho sempre creato rapporti eccellenti. La mia evoluzione è stata naturale, ciò che sono oggi è frutto delle esperienze che ho avuto in passato, anche quelle minori. Non sono l’allenatore che ero prima, e ne sono orgoglioso. Non sono neanche l’allenatore che ero l’anno scorso, mi sono evoluto soprattutto a livello tattico: questi anni in Italia sono stati un’esperienza di grande apprendimento".

Aveva detto che non si può capire l’idea di calcio di Mourinho se non hai mai allenato in Serie A.
"Abbiamo un’immagine del calcio italiano come un calcio molto tattico e la realtà è che lo è. Ogni partita è una storia diversa, tutti i club cambiano modulo e sono molto ben organizzate difensivamente. Ora che sono qui comincio a capire quale fosse il modo di giocare di quell’Inter e la predisposizione ai momenti difensivi e al rigore tattico. Questo mi aiuta a capire come l’Inter di Mourinho abbia vinto. Sono sempre stato ossessionato dal possesso palla, qui ho imparato ad apprezzare altri momenti come la transizione offensiva. Siamo moderni e ci dobbiamo adattare, dobbiamo renderci conto che se siamo chiusi nelle nostre convinzioni diventa difficile adattarci a contesti complessi come quello italiano".

Quando è arrivato alla Roma ha detto che non voleva solo vincere ma anche giocare bene. Come ha conciliato questa esigenza con l’aspetto tattico del campionato italiano?
"Essere offensivi è la cosa fondamentale che ci interessa. In settimana mi hanno mandato un articolo che diceva che nelle prime 60 partite partite sono stato l’allenatore più offensivo degli ultimi 90 anni della Roma. Penso sia entusiasmante avere una squadra offensiva, una squadra che sa segnare. Un altro studio ha detto che l’anno scorso siamo stati la seconda squadra dietro l’Atalanta che ha creato più possibilità di segnare un gol. E credo questo sia un marchio che ci contraddistingue, l’audacia, il coraggio. L’immagine che abbiamo del calcio italiano è sbagliata, diciamo che è molto tattico e quindi difensivo. È vero che le squadre sono brave difensivamente ma durante il lockdown ho fatto uno studio e ho verificato che la Serie A assomiglia alla Bundesliga e alla Premier League in quanto a concretezza offensiva. Il rigore difensivo non è associato al fatto che tutte le squadre si difendano basse. Il momento in cui si perde la palla, la transizione difensiva, è un momento importantissimo qui".

Cosa pensa del modello di gioco in Italia?
"È difficile definire il nostro modello di gioco, è sempre in costante evoluzione la nostra forma di giocare. Non posso dire che a Roma ho idealizzato un modello di gioco. Quello che avevo in testa quando sono arrivato è molto distante da quello che siamo oggi. Abbiamo imparato dall’esperienza, dalle altre squadre. Idee perfette non esistono, esistono idee che portano risultati e che non portano risultati. In Portogallo non sopportiamo l’uomo contro uomo, ma qui in Italia ci sono squadre che lo fanno benissimo e che portano risultati. A me non piace, ma per esempio ho giocato contro l’Hellas Verona che lo fa benissimo e ne ha ottimi risultati. Non è questo in cui credo, ma le squadre che lo fanno hanno risultati giocando così. Ci sono momenti delle partite in cui si può giocare anche uomo contro uomo, come per esempio quando abbiamo tre centrali e ognuno si sceglie il suo".

La tattica?
"Il gioco in Italia è principalmente strategico. Ci lavoro e preparo le strategie per sorprendere sempre gli avversari. Una squadra che apprezzo molto qui è il Sassuolo. Ha un allenatore molto coraggioso che dà l’esempio agli altri allenatori. Dobbiamo sempre cercare di creare qualcosa che possa sorprendere gli avversari".

Quali sono le differenze tra i paesi dove ha allenato?
"Allenare in Italia ovviamente non è la stessa cosa che in Ucraina. È impensabile costruire due squadre uguali in due paesi differenti. Bisogna essere aperti ai contesti differenti. Non si può pensare di trasportare gli stessi principi da un paese a un altro".

Quanto è importante la leadership per un allenatore?
"La capacità di essere leader è fondamentale per un allenatore. Pensavo che oggi quello che differenzia gli allenatori è una questione di dettagli. Ormai si gioca ogni tre giorni e abbiamo sempre meno tempo per allenarci. Per questo motivare e influenzare i giocatori è diventato sempre più importante nel costruire una carriera di successo per un allenatore".

Cosa pensa del VAR?
"Ha portato più verità ai risultati. Si parla dei due centimetri, ma quando è fuorigioco è fuorigioco. Ci sono tante situazioni che possono influenzare il risultato finale, che con il VAR sono scomparse completamente. Una preoccupazione di adesso degli allenatori è capire il criterio dei falli di mano per i calci di rigore. Penso che per chi ha giocato e ha esperienza in campo è difficile capire alcune regole che sono state create. In tanti non sono d'accordo, magari queste regole aiutano gli arbitri ma non sono la cosa più pratica, come posso dire. E' difficile capire certe situazioni quando l'immagine non è evidente, non conosci le sensazioni che provano i calciatori. In conclusione, penso che in Portogallo ci sono state più polemiche e si parla troppo di queste questioni arbitrali. In Italia non c'è un programma che parli di errori arbitrali, qui solitamente si parla di tattica, di gioco. Spesso credo se ne parli come una scusa e in modo eccessivo rispetto al modo corretto solo perché si è agitati e perché non ci sono giustificazioni al risultato. Non ho dubbi che l'introduzione del Var sia stata positiva e con il passare del tempo tutti finiremo per accettarlo".

È importante allenare la resistenza per migliorare la lucidità nel tempo? Come si gestisce il lavoro dei personal trainer con quello del tuo staff?
"Cerchiamo di dialogare e coniugare il nostro lavoro con il loro e in questo ci aiutano molto i file con cui possiamo controllare il lavoro che svolgono. Penso che non ci siano altri modi: li controlliamo e siamo in contatto con i personal trainer". 

Come è stato l'adattamento dei giocatori italiani al tuo stile di gioco?
"È stato relativamente facile. Bisogna essere convincenti: la cosa più importante all'inizio è il modo in cui presentiamo la nostra proposta di gioco. E le prime settimane sono le più critiche: se i giocatori hanno dubbi da subito diventa difficile poi recuperare e convincerli".

L'organizzazione deve essere associata alla mentalità?
"Certamente, l'organizzazione deve essere associata alla mentalità".

Cosa pensa del nuovo direttore generale?
"Per me la sua figura è fondamentale. Non ho avuto ancora il privilegio di parlare con Tiago Pinto ma sono ovviamente contento. Ma ho soprattutto capito che è un grande professionista, in tanti me lo hanno confermato, tante persone che hanno lavorato con lui ne danno un giudizio positivo. Sono felice che sarà alla Roma e penso che il presidente e i nuovi proprietari abbiano preso una decisione giusta nel momento in cui è stato scelto".

Di quale giocatore ha bisogno Fonseca?
"Manca ancora tanto tempo (ride, ndr)".

Cosa direbbe a un suo collega che viene in Italia ad allenare?
"A volte chiamare un collega può essere visto in modo negativo. Io sono aperto ad aiutare qualunque allenatore per aiutarlo a integrarsi, fargli capire cos'è il calcio italiano. Gli dirò certamente che il calcio da un punto di vista pratico è molto impegnativo. E' una sfida enorme essere in Italia, ma ti fa evolvere molto. Quando arrivi ti devi preparare a scenari completamente diversi da quelli a cui siamo solitamente abituati".

Cosa pensa di Tiago Pinto?
"È fondamentale che le persone che lavorano con noi siano preparate, così da poter discutere apertamente di quello che è di interesse comune. Ho imparato tanto da altri allenatori, lavorando in contesti diversi, ma poi mi fido soprattutto delle mie idee. Sono sicuro che anche Tiago la pensa così".

Com’è affrontare la Lazio nel derby?
"La prima volta non abbiamo fatto una grande partita e penso che loro meritassero di più del pareggio. Al contrario del ritorno, quando invece eravamo noi a meritare la vittoria. Preparare un derby per me è la stessa cosa che preparare una partita con Napoli o Sassuolo. Quello che cambia è come lo vivono le persone all’esterno del centro sportivo e anche i giocatori lo sentono".

Spera di tornare ad allenare in Portogallo in futuro?
"Sicuramente un giorno succederà. Quando lasci il Portogallo ci pensi a voler tornare, ma con il privilegio di poter continuare il mio lavoro con piacere. Tornare non fa parte dei miei piani a breve termine".

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