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Juventus, Pjanic: "Io sono abituato a non vedere nulla di irrealizzabile"

di Simone Lorini
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Il centrocampista della Juventus Miralem Pjanic ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni del portale Esquire, parlando anche dei cambi che il calcio ha subìto negli ultimi anni: "È vero che c'è stato un cambiamento radicale, però molto dipende da come vede il calcio il tuo allenatore, da cosa ti chiede. È il primo responsabile del gruppo e deve a tutti i costi portare avanti le sue idee per il bene della squadra e del suo progetto tecnico. Quest'anno mi sto divertendo molto, mi piace il nostro modo di giocare, come affrontiamo gli avversari, e sono sicuro che nel corso della stagione miglioreremo ancora molto".

Si vede che ti stai divertendo. Preferisci chiudere una partita con più del 90% di precisione di passaggi o con un assist a referto?
"Eh, bella domanda. È difficile scegliere. Per il ruolo in cui gioco e per come sono fatto è importante giocare con precisione, e mi soddisfa quando ci riesco. Allo stesso tempo l'assist è un gesto che mi è sempre piaciuto particolarmente. Sono due piaceri diversi. Facciamo così: la cosa che serve di più a vincere.

Le tue letture in fase di non possesso nella riconquista alta del pallone sono preziose.
"Sì, è un aspetto che ho curato e su cui cerco di migliorarmi di continuo. Oltre alla posizione del pallone e degli avversari, è fondamentale intercettare i segnali visivi che lancia il portatore: presto sempre più attenzione a dove guarda, chi guarda, e questo è utile per intuire a chi passerà il pallone e arrivare così con il tempo giusto. Poi mi piace sempre di più giocare di prima, vedere la giocata in anticipo per rubare un tempo di gioco o tagliare una linea di pressione, un particolare importante nel calcio di oggi".

È difficile evolversi quando si arriva a un determinato punto della carriera, e tu sembri essere all'apice della maturazione calcistica. C'è un aspetto su cui concentri il tuo allenamento perché senti che puoi ancora migliorare?
"Se sei un perfezionista l'età non conta, è solo un dettaglio. Quando vivi con l'ambizione di fare sempre qualcosa in più degli altri, trovi sempre uno stimolo a crescere e affinarti. Il mio in questo momento è quello di eseguire al meglio i compiti specifici che ogni partita richiede, di rispondere con più precisione possibile alle richieste che di volta in volta mi vengono fatte. Lo studio delle partite è un aspetto sempre più importante, e sei vuoi vincerle è fondamentale portare sul campo le soluzioni che hai provato".

Bisogna avere molta coscienza dei propri mezzi per imporre una leadership tecnica in una squadra piena di talento. Quanta fiducia hai in te stesso?
"Molta, non potrebbe essere altrimenti. Ogni sportivo di alto livello deve prima di tutto essere forte nella testa, se no non vai avanti. Certo non è semplice essere sempre sicuri di sé. Specialmente quando si è giovani è difficile trovare un equilibrio emotivo. È un continuo su e giù, una partita buona che ti solleva e una cattiva che ti affossa. Devi essere bravo a tirare dritto, se no rischi di perderti. Io sono abituato a non vedere nulla di impossibile o irrealizzabile, ho sempre desiderato fortemente essere tra i migliori, e continuo a farlo".

Come lo è stato Zidane, il mito con cui sei cresciuto. E poi Xavi, che in tempi più recenti hai indicato come tuo riferimento. C'è oggi nel panorama europeo un giovane che ti impressiona più di altri e che magari può prendere Pjanic come esempio da seguire?
"Ci sono tanti giovani di talento in giro, ma non saprei indicartene uno in particolare. Soprattutto, per quanto siano bravi, la strada per raggiungere il livello di giocatori come Xavi è molto lunga. O come Busquets, un altro che mi piace sempre guardare. Mi affascina la semplicità, che non è banalità. Per me il calciatore bello da vedere non è quello che ti ruba l'occhio con una finezza, un colpo di tacco, un tocco di suola, ma quello che con giocate apparentemente semplici fa girare tutta la squadra. Difficilmente mi vedrete fare una serpentina in mezzo a tre giocatori, non è quello che ricerco. Ciò che mi muove sul campo è l'idea di far giocare bene la squadra con gesti essenziali. Perché “giocare bene facile” è la cosa più difficile del calcio, ma anche la più bella".

Per riuscire in questo serve anche molta testa, oltre che l'abilità tecnica. E tu sei un giocatore cerebrale, sul campo pensi molto. Sei così anche nella vita fuori dal calcio? Capita di fermarti a riflettere o vivi con leggerezza concentrandoti sulle cose semplici?
"Tutto ciò che faccio è leggere, informarmi su quello che succede nel mondo. Devo farlo, ho un figlio. Per il resto ho poco tempo per fermarmi a pensare, il mio è un impegno totalizzante e sono sempre concentrato sul mio lavoro, a cui devo dedicare tante energie perché voglio che la gente sia sempre felice di vedermi giocare".

Cosa provi quando assisti a un episodio di razzismo?
"Rabbia. Dispiacere. Il razzismo è totale ignoranza. Servono gesti forti e punizioni esemplari. Bisogna individuare i responsabili e allontanarli dal calcio, perché il calcio è solo una festa, e per loro non c'è posto".

C'è stato un momento nella tua carriera in cui il tuo rapporto con il calcio è stato messo in discussione? In cui hai vissuto un conflitto con il gioco?
"No, mai. Come tutti ho passato periodi felici e altri meno, ma anche quando le cose non andavano come volevo la passione che ho per il gioco ha sempre avuto la meglio".

Il momento più emozionante della tua carriera?
"La qualificazione ai Mondiali del 2014, la prima della storia per la nazionale bosniaca. E poi non potrò mai dimenticare la sensazione che provai il giorno del mio esordio con il Metz, contro il PSG, davanti a uno stadio pieno di gente. Mi vengono i brividi ogni volta che ci ripenso".

Per studio, passione, cura dei dettagli del gioco sembri il classico giocatore che un giorno si metterà ad allenare. Hai pensato a questa possibilità per il tuo futuro?
"È un ruolo tanto affascinante quanto difficile. Da una parte sento di essere stimolato dai metodi diversi degli allenatori, ognuno con le sue idee, il suo modo di trasmetterle e di lavorare sul campo. Dall'altra mi rendo conto di quanto sia complicato gestire un gruppo di persone, rispondere all'esigenza di accontentare tutti. Il lato umano è importante come la conoscenza del gioco. Certo che se riuscissi a rubare qualcosa da tutti gli allenatori che ho avuto, diventerei un grande tecnico. Un'opzione che non scarto".

C'è un personaggio, sportivo e non, che più di altri ti ha influenzato, ispirato, nella vita e nel tuo modo di vivere il calcio?
"Credo che qualsiasi sportivo non possa fare a meno di pensare a Muhammad Ali e Michael Jordan come figure da prendere come riferimento. Due straordinari esempi di tutto ciò che significa lo sport. Anche se in verità, io ho sempre seguito e giocato solo a calcio. Non c'è niente da fare, lo amo troppo".

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