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Il Giro d'Italia della Serie A, tra maglie rosa, Malabrocca e un ultimo Stelvio da scalare

di Marco Conterio
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Il Giro d'Italia è il libro mastro di un paese intero. In ogni colonna c'è una storia, in ogni riga c'è un pensiero. E tutto s'incrocia, s'intreccia, nella splendida e tragica metafora della vita. Partire tutti uguali, identici, nel più socialista dei blocchi di partenza come il gruppo uniforme. Poi salite, cadute, discese, buche, forature. Crescere e ambire al primato ma rendersi conto, con umiltà e modestia, che essere gregari è il senso vero della squadra, dell'amicizia. Spuntarla per un attimo, perdere per un secondo. Il ciclismo è unico perché c'è sempre un fuggitivo, dall'inizio, lepre che sa che il cacciatore prima o poi arriverà. Però scappa, fugge, sperando che quella sia la volta buona del proiettile accanto all'orecchio e della fuga giusta.

Oggi riparte, da Torino, dalla casa di quella Juventus che la maglia rosa l'ha vestita per nove anni e che invece se l'è vista strappare dall'Internazionale di Milano, che festeggerà sui suoi Campi Elisi in queste ultime passerelle finali. Antonio Conte non sarebbe stato buon ciclista e forse neppure Andrea Pirlo. Il primo porta i giri del motore sempre al massimo e sui pedali, se il cuore va fuori soglia, troverai prima o poi sempre un Mortirolo che ti sbatte la porta in faccia e ti respinge a valle. Pirlo altrettanto, è troppo elegante per uno sport nobile ma sporco e fangoso come la bicicletta. Sulla sella non c'è tempo per le filosofie o per gli esperimenti, le corse a tappe poi richiedono il talento del campione ma anche una squadra che lavori tutta per uno.

Stefano Pioli, che è ciclista, racchiude bene l'essenza di questo sport. Poche parole e tante pedalate. Sofferenze, cadute e la consapevolezza che in una lunga tappa di montagna, la prima salita è soltanto la prima di molte. E' forse anche per questo che non ha mai detto chiaramente la parola Scudetto, prima che fosse inevitabile, prima che Milano e la passerella finale fossero all'orizzonte. Ha vestito il pois francese, che è la nostra maglia verde, ma ai posteri resta solo il rosa, pardon, il nerazzurro. Gian Piero Gasperini e la sua Atalanta sembrano le squadre colombiane d'un tempo. Non le grandi dei grandi, non le corazzate che ora sono di Bernal, di Yates, di Almeida, ma quelle dei contropiedisti. Dei piccoletti in fuga, Perez Cuapio e Cacaito Rodriguez. Di quelle che alla meta arrivavano sempre, a volte per prime, spesso no, ma che in fondo tifavano tutti.

José Mourinho torna in Italia e no, non sarebbe un buon pedalatore. Però Paulo Fonseca non potrà certo accusare i Friedkin di aver messo in scena un Tradimento di Lisbona, come il celebre screzio che impedì a Gibo Simoni di vincere il Mondiale perché Paolo Lanfranchi, chissà perché, si mise a tirare. Qui non c'è stata nessuna fuga, solo una marcia indietro e una fine scritta. Ripartirà la Roma da Mou e chissà se sarà Special One o Special Once. Se sarà come il Chris Froome visto in passato o come quello pallido coperto di milioni dalla Israel per provare a imporsi nel World Tour.

Riparte il Giro d'Italia e sta per finire invece la Serie A. L'Inter ha rincorso e poi ha ripreso, prima delle ultime salite, il Milan. Dietro si devono decidere le altre posizioni nobili, il podio finale, ma le casse di barbera e champagne son già state inviate ai cinesi per Conte, Zhang e compagnia vincente. Il Napoli di Gennaro Gattuso spera in un finale da velocista, così come la Lazio che però ha perso la scia e per chi non pedala è impossibile immaginare e capire la differenza tra non avere il vento il faccia e sentire un muro invisibile che t'affronta mentre sei impotente coi denti stretti. Si è alzata sui pedali troppo tardi la squadra di Inzaghi, si è messo forse il bastone tra i raggi da solo il Napoli di Gattuso e De Laurentiis. Che a forza di cercare il suo leader per l'anno che verrà, non s'è reso conto che in questa stagione quello con l'1 in fondo al pettorale azzurro aveva il Ringhio giusto per arrivare a Milano a braccia alzate.

Per ogni vincente, c'è sempre uno sconfitto. Crotone e Parma sono i Malabrocca d'Italia, maglie nere, beati solo i quartultimi nel calcio italiano ma loro sì che son già fuori tempo massimo. Le altre si giocano un posto. La Fiorentina è partita con sogni rosei e rischia di finir viola nel volto. Il Torino ha perso la pedalata d'un tempo, lo Spezia è il giovanotto che si farà ma che ha già dimostrato di poter stare in gruppo. Poi c'è il Cagliari, che ha preso tanti bei corridori ma che al momento del dunque, s'è reso conto di averli presi per l'uomo sbagliato. Infine il Benevento, che in panchina ha un uomo abituato a vivere sulla linea del fuorigioco. Che nel ciclismo sarebbe il fotofinish e funziona esattamente al contrario. Se sei oltre, sopravvivi, altrimenti sprofondi insieme alle altre due maglie nere. Inzaghi impari la lezione, prima di perdere l'ultima scia.

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Sabato 4 Maggio 2024
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