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ESCLUSIVA TMW - Vidal denuncia i calendari intasati, Calcagno: "L'AIC lo dice da anni"

di Ivan Cardia
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"Il calcio è una festa, non un mercato degli schiavi". Parola di Arturo Vidal, intervistato sui canali ufficiali dalla FIFPro. Un tema, quello dei calendari intasati, sul quale i sindacati di categoria dei calciatori si battono da anni. Compresa l'AIC, presieduta da Umberto Calcagno, che ricopre anche il ruolo di vicepresidente vicario della FIGC: "Nulla di nuovo sotto il sole – commenta, raggiunto da TMW - già da quattro anni, con FIFPro, lo abbiamo detto a caratteri cubitali. È una questione che abbiamo denunciato ancora prima che ci fossero situazioni molto particolari come quelle generate dalla pandemia e da stagioni sovrapposte fra loro. Negli ultimi due anni il calendario degli impegni, compresi quelli con le nazionali, si è intasato ulteriormente, ma già prima di tutto questo avevamo delle statistiche molto chiare: i top player arrivano a giocare 70 partite all'anno, alcuni di loro percorrono più di 90 mila chilometri di distanza. E in molti casi, circa 40 partite su queste 70, si tratta di impegni back to back, cioè con meno di quattro giorni di recupero tra una gara e l'altra. Sono dati, questi sui top player, che ci dicono che un problema c'è ed è oggettivo".

Se ne parla tanto, da tempo. Ma in concreto non ci sembra si sia fatto molto per ridurre il numero di gare.
"Il problema è chiaro: da un lato, sappiamo benissimo quanto sia importante avere risorse aggiuntive, su tutte quelle generate dai grandi eventi, dalle competizioni internazionali. Dall'altro, però, dobbiamo stare attenti che l'aspetto economico non prevalga su quello sportivo. Ora avremo un mondiale in mezzo al campionato, a breve una Champions League con più partite, gli impegni con le nazionali sono sempre maggiori. Dobbiamo trovare una modalità per preservare i grandi calciatori: sono loro che producono spettacolo, è intorno a loro che si genera la ricchezza del calcio".

Da questo punto di vista: il tema principale è quello degli infortuni, evidentemente. Ma anche lo spettacolo rischia di pagare i troppi impegni.
"La salute viene prima di tutto. È una questione di sistema, l'obiettivo deve essere preservare la salute dei calciatori e il livello qualitativo delle loro prestazioni. Credo sia, nell'agenda, il punto numero uno per valorizzare il nostro mondo".

Proposte concrete?
"Intanto, siamo riusciti, anche grazie all'intervento di FIFPro, a non parlare più di un mondiale ogni due anni. È già un primo passo che va in questa direzione: quantomeno, non aumenterà il numero delle competizioni. C'è anche un ulteriore ragionamento da fare, che è basilare e riguarda il periodo di riposo a fine stagione: non c'è solo il problema delle troppe partite, ma anche delle soste ormai assenti a fine stagione o in generale di riposo tra un campionato e l'altro. Su questo, devo dire che le grandi squadre hanno sempre avuto un occhio di riguardo per chi è impegnato con le nazionali: molti giocatori di rientro dalle nazionali non si aggregano tempestivamente al ritiro e riescono a tirare un po' di fiato. Però chi fa sport sa che il recupero è spesso più importante del lavoro".

Ha già menzionato i mondiali di novembre, a metà campionato. L'Italia non c'è: la preoccupa anche la gestione dei calciatori che rimarranno fermi mentre altri giocheranno in Qatar?
"Chi non farà il mondiale avrà più di un mese in cui non ci saranno competizioni ufficiali, ma si organizzeranno delle amichevoli e magari sarà anche l'occasione per staccare. È chiaro che sarà una cosa diversa dalla normalità del campionato, ma ciò che mi preoccupa di più in verità è che alla fine del prossimo campionato la finestra di riposo sarà ulteriormente compressa".

Cambiamo tema: ha già definito il decreto crescita ingiusto e aberrante. È soddisfatto dei limiti introdotti con l'emendamento firmato Nannicini?
"È poco rispetto a quello che si deve fare. Si è trovato il limite di un milione di euro, che spero sia soltanto il primo passo per mantenere l'impegno assunto a suo tempo dalla Serie A di eliminarlo. Applicare questo decreto al calcio è una stortura che con lo sport non ha nulla a che vedere: non voglio fare facile retorica, ma così i nostri ragazzi vengono dopo e sono ingiustamente danneggiati da una norma fiscale che non ha alcuna ragione di esistere nel nostro sistema".

A tal proposito il presidente Gravina ha parlato dei calciatori come "beni strumentali". Non fa una piega per chi si occupa di calcio, ma si tratta pur sempre di lavoratori dipendenti. Non è che la stortura sia considerarli tali?
"Il ragionamento del presidente Gravina è legato al fatto che le prestazioni pluriennali dei calciatori sono valori patrimonializzati a bilancio. Sappiamo bene quanto il nostro sistema si fondi sugli introiti che derivano dal mercato, la stortura sta nell'avere un beneficio dal mercato che scaturisce da una normativa fiscale di favore".

Ultima domanda sulla riforma. FIGC e Lega Serie A sono ai ferri corti. Si sta sbagliando il metodo?
"Bisognerebbe essere tutti propositivi. La nostra responsabilità non è soltanto porre i problemi, ma risolverli: io mi auguro che la Serie A presto sia propositiva. È il motore del nostro sistema, ma lo è nel momento in cui riesce a guardare anche al di fuori del suo contesto e fare ragionamenti di sistema; l'aria che si respira oggi non è benaugurante sotto questo profilo: bisognerà fare tutti un passo indietro per poterne fare molti avanti. Abbiamo bisogno di redistribuire meglio le risorse, come avviene all'estero, basta vedere cosa distribuisce la Premier alle serie inferiori".

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