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ESCLUSIVA TMW - Taufer, dall'Inter alla sua Etiopia: "Mi sento io adesso il fortunato"

di Marco Conterio
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Quella di Melkamu Taufer è una storia che merita d'essere raccontata. E' quella di una casa persa, di una famiglia, di una patria ritrovata. E' quella di un bambino che a tre anni entra nei Pulcini dell'Inter e vincerà tra i giovani nerazzurri, anche da capitano, due campionati. Mel ci risponde da Gondar, l'antica capitale dell'Etiopia. La sua, Etiopia. Quella dove è nato nel febbraio del '98 ma a tre anni è stato adottato da una famiglia bresciana. "La mia famiglia", dice Taufer. La storia parte così da una pagina di giornale, da un biglietto aereo e da un ritorno.

Ha giocato all'Inter, poi in Serie C. Adesso gioca in Etiopia, a ventidue anni.
"Sono stato adottato all'età di tre anni e con me avevo dei documenti che citavano solo la città di Gondar. Poi, un giorno, un giornale qui ha scritto di me e mio fratello mi ha riconosciuto. Nei documenti c'era il cognome sbagliato, ho ritrovato la mia famiglia dopo diciotto anni. Lui e mia sorella, li ho sempre cercati. E mi hanno trovato loro, da Gondar".
Lei giocava all'Arzachena.
"Dopo la stagione, venni a trovarli. Al club non andò bene, io avevo proposte non soddisfacenti dall'Italia così ho deciso di tornare in Etiopia. Per restarci".
E ha iniziato a giocare, col Fasil Kenema
"Raccontare il calcio qui, agli occhi di un europeo, non è facile. Ci sono difficoltà, non ci sono strutture. Fare paragoni è impossibile. Però una cosa c'è: il calore. "Ventimila, trentamila persone allo stadio. E' un'esperienza pazzesca una partita. Come livello è una Serie C, anche se tatticamente... No".
E la vita?
"Devi saperti ambientare ed essere sveglio. Io non parlo l'amarico. Ho iniziato a studiare inglese bene da due mesi, ora ho iniziato a studiare la lingua. L'Etiopia ha un grosso potenziale ma tante problematiche. Ci sono tanti gruppi, quaranta lingue in un solo paese. Ci sono conflitti interni. Però è Africa".
E l'Africa, pur con le sue contraddizioni, ti resta dentro. Per sempre.
"Qui sto bene, vivo con la mia famiglia. La cultura è diversa, è chiaro, ma venir qui da turista è un'esperienza che consiglierei. Ha tanta storia, è un viaggio che non ti dimentichi. E poi in tanti secoli non è mai stata colonizzata, tranne che dagli italiani: la cultura è intonsa".
Si sente straniero?
"Io sì. La gente mi parla in amarico e rispondo in inglese. A volte sono discriminato, anche qui in provincia...".
E la sua Italia? Le manca? Adesso è nel bel mezzo di un uragano.
"Un mese fa sono venuti a trovarmi mia mamma e mio zio adottivi, sono rimasti qui una settimana. Era febbraio e abbiamo parlato del Coronavirus, cercando di capire di cosa si trattasse. Mio zio fa il giornalista e mi aveva già detto che avrebbe creato problemi ma nessuno si sarebbe aspettato di questa portata. Chiamavo i miei amici, mio fratello e mia sorella, per capire la situazione. Le scuole chiudevano, iniziavano i contagi. E poi...".
E poi la pandemia.
"La mia famiglia vive a Brescia, sono in contatto costante con loro. Mio nonno ha avuto la febbre, siamo stati preoccupati ma è passato tutto. Anche una linea crea il panico. Quello più fortunato sono io qua".
Sembra il mondo alla rovescia. "E' paradossale ma è vero. In questo momento storico, nonostante i problemi dell'Etiopia e dell'Africa, sono io il più fortunato. Ci sono sei positivi ed è tutto sotto controllo".
La speranza è che il virus non si allarghi a macchia d'olio anche in paesi non pronti a livello sanitario.
"Spero che questo virus passi presto per tutti e non colpisca l'Etiopia, i paesi poveri. Se dovesse arrivare qui anche per un decimo di come è arrivato in Italia sarebbe un disastro. Qui non ci sono strutture, non c'è niente di pronto".
E lei, dove si vede in futuro?
"Non lo so, la vita è strana. Non so dove sarò, spero di poter fare i documenti per la mia famiglia per farli venire in Italia. A livello calcistico questa scelta non è un passo indietro, ma dieci, ovviamente, quindi vediamo quel che sarà".
Non le piacerebbe tornare a giocare in Europa?
"Le dirò. A gennaio potevo venire in qualche club, in Danimarca, per esempio, ma avevo bisogno di tornare qua. Da diciotto anni non vedevo i miei, posso permettermi un anno a casa, in Etiopia".
In fondo è tornato per un segno del destino.
"Già. Se non fosse stato per il calcio non mi avrebbero mai ritrovato".

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Sabato 4 Maggio 2024
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