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ESCLUSIVA TMW - Rossano-Mosca via Gelsenkirchen, Tedesco: “Facevo l’ingegnere, ho scelto il calcio”

di Gaetano Mocciaro
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Domenico Tedesco è uno degli allenatori più interessanti della scena internazionale. Ha solo 34 anni, una laurea in ingegneria ed ha già allenato in Champions League. Da ottobre allena lo Spartak Mosca, col compito di ridare lustro alla squadra "del popolo". È italiano, precisamente di Rossano (CS), ma cresciuto quasi da tutta la vita in Germania. E il nostro Paese l'ha vissuto solamente da turista. Con la speranza di vederlo un giorno su una panchina di Serie A, Tedesco ci racconta, in esclusiva per Tuttomercatoweb, la sua esperienza in Russia, il suo passato e la sua repentina escalation che gli ha permesso a soli 31 anni e senza esperienza di calciatore di livello di allenare una delle big di Bundesliga.

Domenico Tedesco, facciamo un primo bilancio dei primi mesi a Mosca
"Mi trovo molto bene, prima di firmare con lo Spartak ho avuto la possibilità di visitarla tre giorni e ne sono rimasto colpito. Ho visto una città pazza per il calcio, ci sono 4 club a Mosca con stadi molto belli. Lo Spartak poi è la squadra più grande della nazione più grande al mondo. E arrivarci a 34 anni è un motivo d'orgoglio".

Altra vita rispetto a Gelsenkirchen
"Decisamente. A Gelsenkirchen non potevo uscire di casa. Spesso il mio itinerario era limitato a casa-allenamento, casa-stadio. Passeggiavo per la città e mi chiedevano magari 100 autografi e 50 foto. Qui posso condurre una vita più riservata, perché non ti riconoscono in tanti e ho più possibilità di uscire".

Sollevato?
"Era bello anche a Gelsenkirchen, sentire l'affetto della gente. Certo, a fare la spesa impiegavo tre ore e non era così facile. Noi uscivamo ugualmente, andavamo a giocare con la mia figlioletta fuori, o andavamo al mercato aperto e c'era sempre una piccola invasione. Non mi disturbava ma dovevo stare attento. Qui a Mosca altra cosa, hai tantissimi ristoranti, città molto grande".

A Mosca cosa mangi? Cucina italiana, tedesca o russa?
"Italiano e russo. Abbiamo trovato un ristorante italiano ottimo, stiamo spesso lì. Anche la cucina russa devo dire che mi piace molto".

Adesso il Coronavirus ha chiuso anche una megalopoli come Mosca
"Vivo da solo ed è una brutta situazione. Mia moglie e mia figlia di 3 anni sono in Germania, ci sentiamo via Skype. Siamo solo in due dello staff tecnico qui in albergo. Per lo meno ci possiamo prendere un caffè insieme. Qualche ristorante è aperto ma si pensa di chiudere anche quelli rimasti. Ce n'è uno italiano qui vicino, dove di solito lavorano 45 persone. Attualmente solo 6 di esse lavorano ancora. La metropolitana è ancora aperta e vederla in questi giorni è impressionante: prima non trovavi il posto, se volevi entrare dovevi spingerti dentro, ora è vuota".

Come è gestito ora il vostro lavoro?
"Siamo fermi, aspettiamo. Io sono bloccato in hotel, non mi muovo. Aspettiamo. Si era partiti con la legge che vietava assembramenti di 5mila persone. Hanno ridotto ulteriormente il numero a 50 persone e di fatto non è più possibile giocare. Non ci alleniamo neanche proprio per evitare assembramenti. Il calcio è fermo fino al 10 aprile, ufficialmente. Speriamo poi che ci sia l'opportunità di riprendere, naturalmente aspettando che tutto si sistemi. La salute è al primo posto".

Come passi il tempo adesso?
"Uso il tempo per analizzare dati, per inventarmi qualche allenamento. La prossima gara, si spera, sarà il 10 aprile. Abbiamo dato 7 giorni ai giocatori per stare a casa, occuparsi della famiglia e delle proprie vicende".

Sei arrivato al grande calcio giovanissimo, in un'età in cui molti giocatori sono nel pieno della carriera. È stato coniato il termine per gli allenatori della tua generazione: laptop trainer
"È una definizione che non mi disturba, non mi fa nessun effetto. Non penso che una parola, una categoria definisca un allenatore. L'importante è come gioca la squadra e cosa il giocatore pensa di te. Se lavori al computer 1-2 ore al giorno o zero non è importante, quel che conta sono i risultati".

È stato difficile rapportarsi con giocatori più grandi di te?
"Non è stato difficile, loro capivano che voglio solo il loro bene. La mia giovane età non mi ha mai condizionato nel lavoro e nell'approcciarmi ai giocatori".

Ti fai dare del tu o del Lei?
"Ho detto ai giocatori che possono darmi sia del Lei che del Tu. Non è questa la discriminante dalla quale si vede il rispetto delle persone".

Tedesco, Nagelsmann, Kohfeldt, Wolf: in Germania da qualche anno c'è stata l'esplosione di tecnici Under 40 per non dire Under 35
"Parlo per me e dico che ho iniziato prestissimo dalle giovanili: 9 anni a Stoccarda, 2 a Hoffenheim e posso assicurare che in Germania si presta molta attenzione al tuo lavoro nel vivaio: se fai buoni risultati nell'Under 17 o nell'Under 19 hai la possibilità già di fare il salto in Bundesliga".

Alo Schalke è arrivato il primo esonero. È stata la prima vera delusione della tua carriera: come si gestisce?
"Non è stato facile perché venivamo da un secondo posto e ognuno si aspettava di più nel secondo anno. Anche io, ovviamente. Sapevo che sarebbe stata dura anche perché abbiamo perso giocatori top come Goretzka, Max Meyer, Kehrer e Pjaca. Era molto molto difficile rimpiazzarli e difatti abbiamo perso le prime 5 partite di fila. I sostituti erano giovani e iniziavano a sentire sempre più la pressione: quando giocavi in casa e le cose andavano male il pubblico fischiava. Per un giovane non era facile. Abbiamo capovolto la situazione, superato il gruppo di Champions League ma a fine gennaio in una partita a Berlino abbiamo perso 3 giocatori fondamentali: è iniziata la crisi nella quale in mezzo avevamo anche il doppio impegno di Champions contro il Manchester City. In quel momento uscire di casa non era facile, un allenatore è di fatto solo. Per evitare di trasmettere negatività anche a casa ho suggerito a mia moglie di andare a Stoccarda con la bambina. Il mio ultimo mese allo Schalke ero da solo, cercando di trovare le soluzioni: ce l'ho messa tutta ma alla fine è arrivato l'esonero. Le prime settimane è stata dura perché ero molto affezionato al club, che mi ha dato molto, e lo sono ancora".

Non hai mai pensato: 'Ma chi me lo ha fatto fare?'. Del resto avevi un lavoro sicuro come ingegnere
"Era un rischio ma non ho mai dubitato perché mi piaceva troppo il calcio. Ho finito gli studi di ingegneria industriale allenavo già l'Under 13 dello Stoccarda. Nell'estate il club decide di affidare la guida della prima squadra a Thomas Schneider, tecnico allora dell'Under 17. E pensano a me per rimpiazzarlo: a quel punto per me sarebbe diventato un lavoro a tempo pieno e ho mollato il mio lavoro in Mercedes per dedicarmi ad allenare".

Mi sfugge un dettaglio: cosa ha portato un club come lo Stoccarda a far iniziare ad allenare un ragazzo giovane come te e soprattutto senza esperienza?
"In verità un po' di esperienza l'avevo fatta nella squadra del mio paese, l'Aichwald. Vi ho giocato e in seguito allenato i bambini per qualche anno. Per questo mi sono proposto allo Stoccarda per allenare i bambini e mi hanno dato la possibilità di essere vice-allenatore degli Under 9. Era il 2008 e da lì è partito il mio viaggio: studiavo e allenavo e nei weekend andavo ai tornei anche all'estero con i bambini. Questo per 8 anni".

Domenico Tedesco è il figlio di emigrati fuori dai cliché: italiano impeccabile e non solo. È vero che parli fluentemente anche inglese, francese e spagnolo?
"Confermo. Il francese l'ho studiato a scuola per 3-4 anni. Ma poi ho avuto modo di parlarlo attraverso i giocatori che ho allenato: Bentaleb, Stambouli, Harit, Embalo. Ora allo Spartak c'è Gigot. E lo stesso con lo spagnolo, dove avevo Franco di Santo oltre ad amici spagnoli. Ora spero di imparare bene il russo: ho un'insegnante che mi segue e sto iniziando a esprimere concetti in russo anche in campo. È una questione di rispetto per il Paese che ti ospita: è giusto e doveroso cercare di calarsi nella loro cultura e imparare la lingua è fondamentale".

Che cos'è l'Italia per te?
"L'Italia è piena di ricordi. A 3 anni i miei genitori si sono trasferiti in Germania per motivi di lavoro. Ogni estate scendevamo in Calabria, a Bocchigliero, con una Fiat Regata marroncina: 24 ore senza climatizzatore per vedere i parenti. Quando arrivavo dalla nonna, dal nonno era bellissimo. E mi capitava anche in Germania di sognare di essere in Calabria, a giocare con gli amici e i parenti. L'italia è un mondo di bei ricordi, di sapori. Ora i nonni non ci sono più, sono rimaste le zie. Nel frattempo ho iniziato ad allenare e con la stagione che inizia a giugno non ho più la possibilità di scendere. Sono 4-5 anni che non vado in Calabria. La nostalgia c'è ma allo stesso tempo ho paura se dovessi tornare di non ritrovare le cose di una volta".

C'è stata la possibilità di tornare in Italia, ma da allenatore?
"Sì, i contatti ci sono stati ma adesso sono qui allo Spartak Mosca".

Su Wikipedia c'è scritto che tifi Fiorentina
"No, chiariamo. È una squadra che mi è sempre piaciuta. Ma tutto parte da un Galatasaray-Schalke nel quale mi è stata fatta una domanda in conferenza stampa su Fatih Terim. Risposi che ero affascinato dalla sua Fiorentina, da come la faceva giocare. Lui poi è un grande personaggio. Per cui seguivo la Fiorentina, ma questo non vuol dire che sia tifoso".

Nagelsmann sogna di vincere tutto in 10 anni per poi magari ritirarsi a vita privata. Te invece come ti vedi nei prossimi anni?
"Non faccio piani, la vita dev'essere presa per come viene. Del resto chi se lo aspettava il coronavirus? Secondo me è bello vivere il momento, ammetto che anche io pianifico e tanto. Il calcio però va troppo veloce e a volte dimentichiamo di goderci il momento. E ora penso a godermi il fatto di allenare una grande squadra e che siamo in semifinale di coppa. E soprattutto l'importante è lasciare bei ricordi".

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