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ESCLUSIVA TMW - Pecini non sarà ds della Samp: "Non riparto in un club. Il futuro è scouting e dati"

di Marco Conterio
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Vita nuova. L'aria di casa, la sua Sarzana, sono la comfort zone dove Riccardo Pecini spiega perché non sarà lui il direttore sportivo della Sampdoria. Dove racconta la sua visione sul mondo dello scouting, sui dati, sull'avvento delle proprietà americane. Lui che con un colpo di fulmine ha deciso di portare Luka Modric al Tottenham, lui che grazie alla segnalazione di uno scout ha scelto di convincere Kylian Mbappé a sposare la causa del Monaco, oppure a portare sempre nel Principato l'attaccante Anthony Martial o Milan Skriniar alla Sampdoria. Quella dove non tornerà da direttore sportivo, come ventilato negli ultimi tempi. "Conosco la proprietà da tempo - racconta Pecini in esclusiva con Tuttomercatoweb.com-, abbiamo parlato ma nella mia testa ora c'è un percorso diverso, altri progetti, ho voglia di fare altre cose. Sento che non potrei dare il contributo necessario ripartendo oggi a lavorare dentro a un club".

Quanto può dare questa proprietà alla Sampdoria?
"Andrea è una persona di grande intelligenza, di grande entusiasmo, di grande leadership e che inizia ad avere una certa esperienza. Ha scelto il progetto più difficile in Italia ora: la Sampdoria viene da un paio di stagioni nelle quali oltre alla difficoltà sportiva, i problemi esistenti hanno creato dei disequilibri. Deve ricostruire l'entusiasmo nella testa e poi pensare alla squadra. Però penso che sia la persona giusta, ha le capacità di leadership che possono portarsi dietro tutto".

Radrizzani entra in una fase nuova per il calcio italiano, almeno per l'ultimo decennio: risultati in Europa, grandi introiti, ma altrettanto scarsa competitività economica con le altre big europee.
"In questo mercato la presenza dei sauditi non è inquadrabile ed è un rischio per tutti. Puoi avere dei giocatori che non vuoi vendere e rischi di cedere un uomo squadra. La nuova liquidità che arriva è un vantaggio ma è difficile in tempi brevi ricostruire un'anima di squadra per chi ha una struttura e vede partire giocatori importantissimi come Tonali, che possono essere sostituiti con difficoltà e comunque mettendo in conto un tempo di ricostruzione che non coincide coi tempi sportivi".

Per un direttore qual è la missione più difficile? L'autofinanziamento dell'Inter, i tanti soldi da reinvestire del Milan senza poter sbagliare, il Napoli che deve far fronte alle richieste volendo trattenere i migliori o la Juventus che deve ripartire da zero dovendo incassare?
"La difficoltà più grossa ce l'ha il Napoli oggi. Trattenere giocatori è la cosa più difficile: se come intuisco vorrebbero mantenere l'ossatura vincente per aprire un ciclo sarà difficile. L'Inter è più strutturata, sono più bravi nella continuità dell'autofinanziamento. La Juventus ha un lavoro stimolante: ricostruire avendo la giusta comunicazione, il tempo più giusto per farlo è la cosa più divertente".

Che mercato sarà quest'estate?
"Non so come si muoveranno le inglesi di media fascia che hanno sempre liquidità per cambiare il nostro mercato, prendiamo gli esempi di Scamacca o Damsgaard. Al netto di questo, ci sono 4-5 squadre di fascia media che hanno valore: se riescono e vogliono impostare un discorso di continuità possono far bene. Torino, Fiorentina, Sassuolo, Bologna: se possono e vogliono consolidarsi, possono alzare il livello del campionato e scavare il solco tra prima fascia e zona retrocessione".

Magari anche con l'aiuto del mercato e dei dati. Che idea si è fatto dell'utilizzo dei dati nel calcio?
"Ho studiato tantissimo il mondo dei dati, cercando di capirlo il più possibile. Faccio un ragionamento culturale: siamo in un paese, e riguarda tutta l'area mediterranea, dove non è facile contestualizzare il giocatore. La parte mentale è forse più importante di alcune caratteristiche che si evincono dai dati rispetto a Olanda o Inghilterra. Quello che il dato può indicare va mediato dalla conoscenza del ragazzo. Poi i dati sono diventati una moda per le proprietà americane che hanno bisogno di questo sennò non capiscono il gioco; hanno bisogno del dato per avere una programmazione e un po' perché si sono sviluppate tante società che hanno investito tanto in questo".

Investimenti e risultati: a che punto siamo?
"In Europa, partendo dalla moda, di club che sanno usare i dati ce ne sono una quindicina al massimo. Gli altri li comprano ma non li sanno usare, usano le piattaforme in modo improprio. La sfida è formare chi sappia usare il prodotto contestualizzandolo alla propria realtà. L'Est Europa ci sta superando: Polonia, Repubblica Ceca e Serbia hanno università che iniziano a formare col dato applicato allo sport. Da noi hanno estrazione troppo lontana, quasi informatica".

Qual è lo scatto che si può fare allora?
"Le piccole possono aver le risorse per usare il dato in modo analitico. Uso il dato per analizzare il giocatore ma non hanno risorse economiche e umane e conoscenze per usare il dato come usa Moneyball. Le piccole non sono pronte, è un investimento economico e in persone e formazione che nessuna può fare. Le grandi sì, invece: ci sono esempi come Liverpool, Roma, il Tolosa a modo suo, il Milan, la Red Bull a modo loro. Il gruppo 777 proprietario del Genoa si è strutturato in modo professionale come risorse e investimenti, poi ci sono troppi esempi di gente impreparata che smanetta con un tool".

Possono essere un elemento anche per gli allenatori?
"I dati della performance sono partiti prima, la conoscenza è più approfondita. In Italia ci sono sicuramente allenatori moderni e anche chi ha iniziato un percorso diverso, negli staff ha persone che possono aiutarli. Torniamo all'approccio culturale: chi ha studiato da preparatore, da tattico, da analista, sono anni che lavora sui dati. Sono più avanti, c'è più gente formata. A oggi siamo una scuola che esporta un prodotto, sullo scouting possiamo solo importare. Il dato della performance poi lo crei, è di più facile lettura. I dati sullo scouting sono più difficili da contestualizzare, non hai lo stesso dato nel mondo: un dato che arriva dall'Olanda è diverso da quello che arriva dalla B serba".

Alle proprietà americane, con cui ha lavorato per esempio a La Spezia, cosa si può insegnare?
"Parlo in generale: gli manca l'aspetto culturale. La differenza da noi rispetto al mondo è il livello di pressione, dico rispetto al Nord Europa e al mondo scandinavo. Le sollecitazioni dei giocatori ogni giorno, la professionalità di chi lavora intorno alla squadra. In Italia, nel bacino mediterraneo, è più importante lavorare tutti insieme con un obiettivo verso una direzione piuttosto che avere un giocatore più o meno forte".

Ci faccia un esempio, tra tanti, in Italia.
"Il Frosinone vince con la rosa non più forte ma con un ds di altissimo livello, un presidente che ha imparato dagli errori del passato, un allenatore che si è messo a lavorare 24 ore al giorno in sinergia con la società. Hanno ottenuto risultati partendo dall'aspetto culturale. Poi Angelozzi e Corvino sono numeri uno al mondo nel fare le squadre ma questo agli americani, che hanno una formazione diversa, manca. Prima lo apprendono e meglio è".

Ha scoperto Skriniar: si aspettava che andasse così?
"Onestamente no anche se conosco Luis Campos e so che gli piacciono giocatori 'seri', lui li definisce così. Però penso che se lo meriti, mi spiace però per l'Inter visto che poteva essere il capitano per dieci anni dell'Inter. La carriera di un giocatore dura 15 anni e il mercato è veloce".

Qual è la nuova frontiera del mercato?
"Ho visto per esempio che la Mauritania sta facendo ottimi risultati adesso... Diciamo che ci sono mercati da esplorare o che esploriamo poco, però hanno valore enorme. Come Marocco, Giappone, Corea del Sud, però non sono mercati nuovi. Siamo noi a frequentarli poco, però andarci può aprirti una strada nuova nel nostro contesto".

E in Europa?
"Vedo generazioni importanti in Danimarca: se guardi le Nazionali giovanili hai lo specchio del livello del paese e la Danimarca ha nazionali competitive. La Polonia ha un'ottima generazione anche se è difficile dal punto di vista economico. Qui possiamo fare ancora la differenza. Un livello alto del campionato ce l'ha il Belgio ma i prezzi sono proibitivi. Diciamo che ho visto alzarsi moltissimo il livello medio in Austria: ora anche in chi lotta per non retrocedere o chi lotta per salire, trovi qualità".

E lei, cosa farà?
"Mi sto aggiornando. Perché penso che si debba sempre più strutturare il nostro lavoro in questa direzione: il domani è questo. Alle capacità umane si dovranno necessariamente sempre più affiancare i dati. Penso sul serio che questa sia la sola prospettiva sul medio termine per club e professionisti ambiziosi e dotati di visione".

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