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ESCLUSIVA TMW - Neri: "Wuhan città di contraddizioni. Meno di 45' a tempo? Non sono Giovanissimi"

di Andrea Losapio
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© foto di Castellani/FDL71

“Ho vissuto un anno e mezzo a Wuhan”. Massimo Neri, preparatore atletico che ha lavorato con Fabio Capello e Marcello Lippi, nella sua carriera ha lavorato con la squadra della città più conosciuta del 2020, nel Wuhan Zall. “Ho lasciato per dedicarmi solo alla Nazionale cinese, a Guangzhou. Quando è scoppiato tutto, con le prime notizie, mi sono sentito con i miei amici cinesi, ex colleghi e calciatori, circa quello che stava accadendo.

E?
“Dalle prime notizie che mi arrivavano la situazione era davvero grave e pesante, parliamo del 24-25 gennaio, già si parlava di lockdown per tutta la regione dell’Hubei”.

Però non erano i primi casi.
“Il virus è sicuramente partito molto prima, le notizie agli stessi cinesi sono arrivate in contemporanea a quelle giunte da noi. Anche loro non erano al corrente, prima. Dal momento che la cosa è stata resa pubblica mi sono interessato. Le notizie erano allarmanti, centinaia di persone decedute, hanno tirato su ospedali da campo, due fissi e nuovi, per far fronte a questa emergenza. Già allora mi dicevano cosa stavano facendo, quando hanno avuto l’imposizione di stare dentro casa”.

Il loro lockdown non è stato semplice.
“Molto più duro del nostro, avevano l’imposizione di stare dentro casa. Non potevano fare una camminata, la spesa veniva consegnata a casa con esercito e persone adibite. Erano sigillati in casa, conservando tutte le misure precauzionali. Mascherine, guanti, disinfestazione continua. Lo hanno fatto per strade, portoni, condomini, ascensori. Passavano ogni due ore, hanno fatto tutto quello che poteva essere messo in campo per sconfitte questo virus. Non sono state sigillate tutte le città, c’è stata più apertura. le informazioni erano dure. Tanto è vero che io che vivevo direttamente e sentivo prendere sotto gamba la cosa dalle trasmissioni televisive italiane… Era incomprensibile, le persone avrebbero dovuto informarsi bene”.

È stato un errore?
“Sì, inconcepibile. Tu ti devi informare, non far passare questa malattia, questo virus così aggressivo, come una semplice influenza. Restavo allibito ascoltando questi scienziati”.

Aveva un osservatorio privilegiato.
“Sì, il fatto di avere tanti amici, tante persone con un legame di affetto… Mi dicevano di stare attento, perché era un pericolo serio, non una influenza per persone ultranovantenni, debilitate. Poi ci sono categorie a rischio come in tutte le patologie. Io ero preoccupato. Mi sono sentito in parte rassicurato dalle dichiarazione degli esperti, ma fino a un certo punto. Quelli che avevano avvertito sono stati inascoltati. Forse non siamo stati in grado di mettere a punto misure difensive, ci sono stati dei limiti. Il vero esercito allo sbaraglio è stato quello del personale sanitario”.

Però era una malattia non conosciuta.
“Molti lo hanno contratto senza saperlo, dopo un periodo di malattia che si è manifestata con i sintomi classici, poi erano ancora positivi. Sono andati a lavorare sfebbrati, ma avevano ancora il virus. Se uno non fa il tampone diventa difficile. È la diversità del virus. In mezzo a quelli ci saranno un tot numero di persone. Poi ci sono quelli non testati che non lo sapranno mai, se non con un sierologico. Sicuramente l’inizio del contagio non era a Codogno”.

Quanti ce n’erano?
“Sarà stato pieno, Wuhan è in comunicazione diretta con Roma, due o tre aerei a settimana. Li prendevo io, quindi so di cosa parlo. Forse ci sono pure quelli verso Milano, significa che c’è una serie di relazioni commerciali, gente che va e viene. Il volo è stato sospeso il 24 gennaio. Poi ci sono comunità cinesi, come posso pensare che con migliaia di persone al mese non ce ne sia stato uno che aveva già portato il virus? Altro che Germania”.

Che città è Wuhan?
“Bella, con delle contraddizioni da megalopoli da 12-13 milioni di persone. Sono tre città riunite, è costruita sui laghi, al centro della Cina. C’è il fiume giallo che mette in comunicazione con Shanghai, con una flotta mercantile. È in grande espansione, dinamica, viva. Nel giro di un mese vedevi nuove superstrade, ponti. Ci sono molte isole pedonali, con le boutique dei grandi marchi, al di là delle dimensioni c’è un buon livello di vita. Ci sono legato, è stato il mio primo contatto con la Cina. E dare addosso a loro… hanno pagato un pedaggio grave”.

Però i wet market…
“Erano le contraddizioni di cui parlavo. Ci sono zone ultramoderne con fiumi di persone che vanno e che vengono, ma anche zone più antiche e vecchie, che appartengono alla cultura. Incroci questi mercati e questi quartieri con edifici fatiscenti, vecchi, gente che mangia per strada, igiene scarsa. Ere diverse, serve tempo per gestire una transizione. I giovani hanno schemi più occidentali, le tradizioni più dure riconducono al mercato, tra animali non da cortile. Poi ci son città come Shanghai, Guangzhou o Shenzhen, capitale mondiale dell’elettronica che tiene il passo di Cupertino”.

Parlando di calcio, non sarà facile riprendere.
“Anche io la vedo dura, in questo momento la priorità è la salute. Fino a quando non ci sarà la possibilità di mettere in sicurezza sarà difficile che qualcuno si assuma delle responsabilità. Ci sono un sacco di persone coinvolte in questo sistema. Molte attività, d’altro canto, hanno ripreso. Forse il calcio potrebbe. Nel calcio c’è la possibilità di tenere sotto controllo la situazione, ma non mi sembra ci sia la volontà. Sono convinto che gli italiani vorrebbero che il calcio riprendesse. È un momento di spensieratezza, svago, anche per ricominciare a vivere. Sono favorevole, anche per un discorso economico”.

Non sarà lo stesso calcio?
“Ovvio, ma può dare un segnale incoraggiante. Bisogna vivere in ritiro quasi fisso, però penso ne valga la pena. Poi pensare alla prossima stagione…”.

Da preparatore, ci saranno problemi?
“Non lo vedo come un problema, sarà uguale per tutti. Le regole sono quelle, tocca agli staff gestire la situazione migliore, sapendo che bisognerà giocare 12 partite in un mese e mezzo. Serie di accorgimenti, metodologie, prevenzione, sfruttando al massimo il turnover. Di solito ti fai male se non ti sei allenato abbastanza, oppure se hai poco spazio per recuperare”.

Le cinque sostituzioni sono state accettate.
“Visto che il campionato è anomalo, anche la ripresa lo sarà. Veniamo da due mesi di inattività, è una novità assoluta, quando finisce il campionato c’è un mese di vacanza. Molti professionisti hanno lavorato a casa, per quanto abbiano fatto il campo è diverso. Non ci saranno fuoriserie, ma la cilindrata sarà da berlina”.

Meglio abbassare i novanta minuti?
“No, posso ammettere la sostituzione in più, ma altrimenti diventerebbe un surrogato del calcio. Dev’essere giocato per un’ora e mezza, rischia di diventare un campionato Giovanissimi”.

Giocare al sud è una soluzione?
“Poi che succede? Le squadre si allenano nei centri sportivi, poi vanno a casa, come buona parte dei lavoratori. Il calciatore può essere sottoposto a maggiore restrizioni, ma credo sia un privilegio allenarsi. Si fa un ritiro nel centro sportivo, poi si muove con il pullman. Troviamo una forma di equilibrio”.

Si giocherà di sera?
“Sicuramente sì, il clima sarà più caldo, fa giugno e luglio”.

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