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Da Verona a Parma, passando per la Segre: chi legittima i razzisti?

di Andrea Losapio
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C'è un passaggio, ell'intervista di Luca Castellini - figura di riferimento dei tifosi dell'Hellas Verona - a Radio Cafè di questa mattina, che fa capire qual è il clima in Italia. "Ci sono problemi a dire la parola negro? Mi viene a prendere la Commissione Segre perché chiamo uno negro? Mi vengono a suonare il campanello?". C'è una temerarietà che valica l'umana comprensione, quasi pensando di essere tutti intoccabili. Perché sei allo stadio, o sei sul web, perché non hai davanti l'oggetto del tuo insulto. Salvo poi sorprendersi se chi ti sta davanti (metaforicamente) se la prende, reagisce, ti porta davanti al giudice in tribunale oppure ti spara il pallone in curva dopo avere sentito (o meno) gli uh uh uh.

COS'È LA COMMISSIONE SEGRE - È il testo, approvato dal Senato, il 31 ottobre scorso con 151 sì e 98 astenuti. Nessuno contrario, ovviamente, perché votare contro una commissione che delegittima odio, razzismo e antisemitismo è troppo. Però nel frattempo c'è un altro modo per combattere qualcosa che va in netto contrasto con il proprio modo di prendere voti: astenersi completamente e non tributare l'applauso alla Senatrice, Segre, appunto. Poi c'è Matteo Salvini che reputa "sovietica" la commissione, Giorgia Meloni che rincara la dose dicendo che "La propaganda politica non dovrebbe speculare su temi importanti come questi. Chi sostiene che ci siamo astenuti perché siamo antisemiti è in mala fede", senza vedere che i temi sono gli stessi - solo visti dalla logica contraria - su cui si poggia il consenso ottenuto dai due partiti in vertiginosa crescita nell'ultimo periodo, cioè Lega e Fratelli d'Italia. Tanto più che sui social ci sono stati attacchi contro la stessa senatrice a vita, sopravvissuta nei campi di concentramento e testimone oculare del nazismo in Europa.

LA FLEBILE DIFESA - Poi c'è chi si giustifica dicendo che a Balotelli faccia rosicare il fatto di avere perso, ieri come sei anni fa, quando tutta la curva gli gridava "Mario, Mario" d'acclamazione quando giocava nel Milan (sconfitta 2-1). Quella sì, goliardia, forse sfottò nei confronti di un bresciano. Ma poi c'è il modo di travalicare, di non considerare italiano un ragazzo di colore, parlando poi di Salcedo. Nato a Genova, italiano come SuperMario. Insomma, Castellini è riuscito - parlando di Balotelli - a insultare pure il proprio calciatore. Detto che parlava a titolo personale, rimane comunque uno degli uomini di riferimento dei tifosi dell'Hellas Verona. In ultima analisi, Balotelli non avrebbe sentito gli ululati e, per questo, non se la sarebbe dovuta prendere. Una difesa talmente flebile che non ha bisogno di grossi commenti, visto che l'onere della prova non esiste: gli stessi tifosi del Verona hanno deciso di postare il momento incriminato sui social, con "uh uh uh" più che percepibili.

CHI LI LEGITTIMA? Gli stessi che non tributano un applauso a chi ha sofferto, spiegando come sia un "attacco ai valori della famiglia tradizionale" un testo che tutela le minoranze. Che afferma come sia un gesto di censura politica il non potere insultare a piacimento chi gli si para davanti (sempre metaforicamente) o che fa propaganda di odio, razziale o meno. Chi tenta di ridare dei limiti ampiamente varcati negli ultimi anni e che, allo stadio, erano diventati rari. D'altronde se i politici possono andare in televisione - quasi ogni giorno - a soffiare sul fuoco delle differenze, sulla possibilità di dare contro ai migranti (sostanzialmente neri), trovando terreno fertile e permeando lo stato sociale, perché l'uomo comune non può fare "uh uh uh" a Balotelli?

DA VERONA A PARMA, PASSANDO PER ROMA O CAGLIARI - L'anno scorso fu Kalidou Koulibaly durante la sfida contro l'Inter, a San Siro. Quest'anno è capitato a Dalbert, a Parma, contro l'Atalanta, quando l'arbitro Orsato decise di far sospendere la partita dopo la segnalazione proprio del viola. Episodio non documentato con video o audio come quello di Kessie a Verona, con l'Hellas che aveva provveduto a un comunicato per dire come non fosse successo niente, scatenando l'ira di George Atangana, manager del calciatore. Poi Lukaku a Cagliari, nel momento del rigore decisivo, oppure sabato a Roma, quando è stato fermato il gioco per qualche minuto per gli insulti - un'altra volta - a Koulibaly, con Dzeko che chiedeva applausi e non insulti. Ogni giornata c'è un episodio, se non due. Mancano solo le banane in campo, come a Odemwingie in Russia qualche anno fa o Dani Alves con il Villarreal. Ma la tendenza non è poi così distante.

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Sabato 4 Maggio 2024
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