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Piscedda: "B Italia, finisce qui. Scouting e La Giovane Italia per scovare talenti"

di La Giovane Italia
La Giovane Italia vi porta alla scoperta dei nuovi talenti del calcio italiano, raccontandovi ogni giorno, alle 8:45, le storie dei giovani di casa nostra e dei club che scommettono su di loro
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© foto di Federico Gaetano

Massimo Piscedda è orami uno dei guru del nostro calcio giovanile. Da tempo entrato nel giro dei selezionatori delle nazionali azzurre, dal 2011 fino a qualche mese fa ha avuto il compito di guidare la B Italia, la formazione Under 21 composta di giocatori di Serie B e C, un progetto che è però giunto al termine da qualche mese a questa parte. Lo stop non ha comunque fermato il tecnico, che prosegue nel suo lavoro di osservatore sempre all’interno della federazione, e ai microfoni de La Giovane Italia ha raccontato il suo ruolo di scopritore di giovani talenti.

Mister, il progetto della B Italia è terminato. Come si è arrivati a questa decisione? E che bilancio trae da questa esperienza?
“Dopo l’addio di Abodi non esiste più la B Italia: abbiamo partecipato a dei tornei che dovevamo finire e li abbiamo vinti, ma è stata la nostra ultima esperienza. Tramite Balata mi è stato fatto sapere che la Lega Serie B non aveva intenzione di proseguire in questo percorso, non so se per una questione legata ai costi o all’effettivo interesse della federazione. Reputo questi quasi dieci anni molto positivi: ci siamo identificati come una nazionale di Serie B e i ragazzi erano contenti di venire a giocare i tornei e a partecipare. Evidentemente non sono state recepite le nostre posizioni. Da adesso sono tornato semplicemente a rivestire il ruolo di osservatore".

Come vi state ponendo nel riprendere le attività di scouting in questo momento?
“È ancora tutto un po’ in dubbio, dobbiamo adeguarci a cosa ci viene detto. Lo scouting è una questione delicata e soprattutto ha bisogno di tempo per valutare con attenzione un calciatore. In questo momento non siamo ancora in grado di svolgere il nostro lavoro. Facciamo spesso videoconferenze, restando così aggiornati da un punto di vista tecnico, ma ancora manca il fondamentale lavoro visivo".

Sono tanti anni che svolge questa attività. Quali sono secondo lei le cose più importanti per portare avanti al meglio questo lavoro?
“Non mi reputo il più bravo del settore, ma di sicuro, dopo vent’anni di esperienza, alcune cose le ho capite e penso che la cosa più importante sia riconoscere il talento e restare al passo coi tempi. Nel corso di questi anni mi sono reso conto che sono cambiate le qualità che si cercano in un giocatore, e bisogna restare al passo, capire quali sono ora gli standard richiesti. In Europa, per esempio, serve essere forti tecnicamente, strutturati fisicamente ed essere pronti a spendersi tanto. Il calciatore italiano è tatticamente forte, dotato di ottima resistenza. Qui abbiamo tante ottime strutture e tanti ragazzi completi in ogni aspetto, ma riconoscere il talento e capire se un giocatore ha quel qualcosa in più per emergere non è un compito semplice".

Come si valuta invece l’aspetto mentale?
“La mia teoria è che per conoscere un giocatore a livello professionistico devi vederlo giocare in casa, fuori casa, in allenamento e andarci a cena. In questo modo, in circa una decina di giorni ci si può fare un’idea abbastanza precisa della persona che si ha davanti. Ovviamente l’allenamento e le partite sono la parte tecnica, ma è fondamentale conoscere questi ragazzi anche da un punto di vista personale: è un’età delicata e di cambiamento, in cui al calcio si aggiungono tantissime altre cose come la scuola e lo studio, i cambiamenti fisici e nell’umore, le prime ragazze, le stesse famiglie delle volte possono essere fonte di pressioni. Bisogna quindi valutare quali sono le reazioni dei ragazzi di fronte a tutte queste possibili difficoltà. Non sono più giovane, ma in tutti questi anni ne ho visti veramente tanti perdersi. Bisogna avere massima attenzione nel tracciare un profilo psicologico".

Un lavoro simile quindi a quello svolto da La Giovane Italia?
“Conosco bene il progetto e Paolo Ghisoni e sin dall’inizio l’ho seguito attentamente. Ho tutti gli almanacchi e si tratta di un progetto utile, divertente e soprattutto competente, che deve continuare. LGI è un buon modo per capire quali sono le nuove leve più forti sotto tutti i punti di vista. Il calcio è di tutti ma non è per tutti: in tanti ci provano, ma molti non riescono. Vero, è un gioco di destrezza in cui la competitività intrinseca influisce. Ad un certo punto però non è più solo una questione di tecnica e di saper giocare a pallone, ma si tratta di sapersi inserire al meglio in un contesto di squadra. La personalità non è fare tre tunnel consecutivi, ma è saper mettere il proprio talento a disposizione di tutto il gruppo".

In chiusura, quali sono le maggiori soddisfazioni che le dà svolgere questo lavoro?
“La cosa più bella del mio lavoro è che quando ritrovo giocatori arrivati ad alti livelli mi salutano con piacere e sono contenti di vedermi, il che vuol dire che gli ho lasciato qualcosa. Questa per me è la maggiore soddisfazione del mio lavoro".

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