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Mereu: "Il Cagliari è la squadra dei sardi. Formiamo uomini prima che calciatori"

di La Giovane Italia
La Giovane Italia vi porta alla scoperta dei nuovi talenti del calcio italiano, raccontandovi ogni giorno, alle 8:45, le storie dei giovani di casa nostra e dei club che scommettono su di loro
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© foto di Francesco Inzitari/ILoveGiana

Indissolubilmente legato alla sua terra, Bernardo Mereu ha costruito la sua carriera in Sardegna, lavorando in tante società diverse con le quali è riuscito a togliersi moltissime soddisfazioni. Da due anni, vista anche la sua grande esperienza nel territorio, ha iniziato a lavorare come responsabile del Progetto Academy del Cagliari, che racchiude al suo interno circa 5.000 bambini e ragazzi tra società affiliate e attività di scouting. Un incarico del quale a La Giovane Italia ha raccontato onori e oneri, svelando come si gestisce un vivaio virtuoso che rappresenta l'orgoglio di un'isola intera.

Come valuta la sua esperienza a Cagliari? Quali sono gli obiettivi per il futuro?
“Ho iniziato questo lavoro dopo essere stato per tanto tempo allenatore a tutti i livelli, fino alla Serie C. Da tre anni mi occupo del settore giovanile del Cagliari, una struttura che vanta ben 44 Academy in tutta la regione. L’obiettivo è quello di predisporre un percorso tecnico e formativo importante e questo l’abbiamo fatto con dei corsi specifici per i nostri allenatori, con sei tecnici impegnati costantemente sul territorio, cercando di trasferire anche altrove le idee del Cagliari Calcio. Oltre che formare i giocatori formiamo gli allenatori con vere e proprie lezioni in aula: cerchiamo di avere tecnici che abbiano un approccio con i ragazzi simile a quello che vogliamo al Cagliari. Inoltre, i tecnici delle Academy fanno anche scouting nel loro territorio, dando pari opportunità a tutti i bambini della Sardegna. Cerchiamo di portare il Cagliari all’interno delle famiglie della regione. Cerchiamo di mettere in mano agli allenatori degli strumenti idonei non solo per formare giocatori di Serie A, ma anche cittadini di Serie A, seguendo i ragazzi passo dopo passo".

Cosa vi ha spinto a radicare così tanto il Cagliari in tutta la regione?
“Il Cagliari è sempre stata la squadra dei sardi. Questa operazione è stata frutto della sensibilità del presidente Giulini, che si è mosso anche attraverso l’associazione che porta il suo nome, che educa i ragazzini anche da un punto di vista sociale. Ovviamente, l’aspetto tecnico è rilevante, ma per noi sono fondamentali anche gli aspetti sociali: ci si evolve e si cresce sempre di più, cerchiamo di dare sempre maggiori stimoli e vogliamo che il Cagliari sia centrale nella vita dei sardi".

Il valore umano quindi assume priorità rispetto a quello tecnico?
“La parte tecnica è fondamentale, ma questa non può esistere senza accompagnarla con un valore umano. Spesso si fa l’errore di cercare di ottenere i risultati, dimenticandosi che ci sono dietro dei bambini e dei ragazzi. Tutti sognano di vestire la maglia della loro squadra del cuore, ma non sempre è possibile. L’importante però è che i ragazzi delle nostre giovanili diventino cittadini modello, in grado di essere parte di una comunità e capaci di costruirsi una vita che non sia necessariamente legata al calcio".

Avete solo ragazzini sardi?
“Non tutti, anche se il 70-80% dei nostri ragazzi sono nati qui e vengono dalle nostre Academy. Tutto questo è possibile anche grazie al contributo della Saras, main sponsor della Football Academy e dal top sponsor Energit, che ci danno la possibilità di continuare in questo progetto che raggiunge il suo apice quando a fine anno organizziamo un torneo con tutte le nostre squadre dell’Academy.. Anche far familiarizzare i ragazzi tra loro per noi è importante".

Pensa mai di tornare ad allenare?
“Ho allenato per quarant’anni, dalla terza categoria fino alla C. L’ho fatto per tanto tempo, oggi ho 59 anni e quando il Cagliari mi ha dato questo incarico sono stato felicissimo di accettare, anche perché ho la fortuna di poter avere ottimi collaboratori al mio fianco. Non ci si può dimenticare del passato, del rapporto con i giocatori, l’adrenalina che si prova nell’allenare, ma non penso di tornare indietro perché questo incarico per me è bello e importante. Provo a dare ai ragazzi di oggi quello che è mancato a me alla loro età, cercando di colmare tutte quelle lacune secondo me da sistemare. Quello che faccio oggi mi emoziona tanto quanto il ruolo di allenatore che ho ricoperto anni fa".

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