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La finale dell'Under 20, la vittoria dell'Under 19: il problema per i giovani italiani è lo step successivo. Casadei e Ndour gli esempi da seguire perché sulle seconde squadre s'è fatto tanto rumore per nulla

di Raimondo De Magistris
TUTTOmercatoWEB.com
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Le finals di Nations League, l'Europeo Under 21, il Mondiale Under 20. A maggio l'Europeo Under 17, a luglio l'Europeo Under 19. La Nazionale mai come in questa estate nelle ultime settimane s'è messa in gioco a tutte le latitudini e in tutte le competizioni con risultati molto diversi tra loro. Soprattutto, con risultati che hanno prodotto anche qualche scossone immediato come la decisione all'indomani del flop dell'Under 21 di terminare il rapporto con Paolo Nicolato e di dare sempre più poteri a Roberto Mancini che sarà in futuro non solo Commissario Tecnico della Nazionale, ma anche supervisore di Under 21 e Under 20.
E' interessante notare come i migliori risultati siano arrivati dalle fasce di mezzo, da quelle Nazionali composte da giocatori che sono chiamati adesso a fare il passo nel calcio dei grandi ma ancora non l'hanno fatto. E' il segno, probabilmente, di un calcio giovanile che in Italia riesce eccome a produrre giovani molto interessanti, ma poi fa fatica a tramutarli in calciatori nel giro di 2-3 anni perché non ha costruito il sistema giusto per accompagnarli in questo percorso di crescita.

E allora forse non è un caso se in Argentina il migliore calciatore della competizione sia stato quel Cesare Casadei che un anno fa ha fatto le valigie ed è andato in Inghilterra, al Chelsea ma soprattutto al Reading da gennaio in poi. Per tre mesi Casadei ha avuto la possibilità di confrontarsi con continuità con la Championship inglese, campionato che ha accelerato il suo percorso di crescita e gli ha permesso di imporsi come leader dell'Under 20 con tanto di sette gol realizzati e il titolo di miglior calciatore della competizione.
Ha giocato per una intera stagione con continuità in Serie B anche Cher Ndour, da qualche giorno nuovo calciatore del Paris Saint-Germain. L'ha fatto in quel Benfica che tre anni fa diventò la sua nuova casa e lo scorso anno l'ha inserito in pianta stabile nella squadra B che milita nella seconda divisione portoghese.
Ndour per un anno si è allenato con i calciatori della prima squadra e poi ha giocato in serie B. Sfide molto più formative di qualsiasi partita del Campionato Primavera: un percorso di crescita pianificato, condiviso, portato avanti secondo metodologie di gioco e di lavoro simili a quelle della prima squadra per non dire identiche. Un percorso studiato a tavolino, costruito con l'unico obiettivo di far crescere i ragazzi nel modo migliore perché a questi livelli vincere non è affatto l'unica cosa che conta. Tutt'altro. Molto più facile per un giovane emergere in queste condizioni, no?

E qui torniamo ai problemi di casa nostra. Perché se i nostri giovani fino a una certa età sono competitivi a livello europeo e mondiale, ma poi non riescono a crescere come gli altri vuol dire che un problema c'è e non è solo un problema di coraggio nel lanciare i giovani. E' soprattutto un problema di pianificazione che non è possibile perché il salto dalla Primavera alla prima squadra è troppo grande per tutti e di conseguenza si entra nel ginepraio di prestiti che nascondono insidie più che opportunità. Passare dalla squadra Primavera a un club di Serie C vuol dire ritrovarsi da un giorno all'altro in un gruppo che gioca un altro calcio, con un allenatore che ha altre priorità e che al terzo errore probabilmente ti relega in panchina. O magari ti fa giocare anche fuori ruolo solo e soltanto per permettere alla sua società di premi di valorizzazione.
In questo scenario le squadre B avrebbero rappresentato un'ancora di salvataggio per tutte le big della nostra Serie A. Del resto la Juventus è lì a dimostrarci che giocatori come Fagioli, Miretti, Soulé, Iling-junior sono venuti fuori proprio grazie a questo percorso di crescita che è molto più lineare rispetto a quello con cui devono fare i conti tutti gli altri club. L'hanno capito tutti, ma le tavole rotonde di questi mesi non hanno prodotto alcuna sintesi. Né una riforma. Sta completando l'iter di iscrizione alla prossima Serie C l'Atalanta Under 23: una mossa azzeccatissima, ma figlia però di vecchi schemi e di iscrizioni mancate come quella del Siena.
Lo scenario in Italia resta farraginoso. Le Nazionali sono lì a dirci che a mancarci non è la materia prima ma il sistema giusto per supportare questi ragazzi nel percorso di crescita. Dei modelli da seguire ci sarebbero, ma noi decidiamo in maniera ostinata di non seguirli e di voltarci dall'altro lato. La conseguenza è che sempre più ragazzi talentuosi hanno capito e stanno capendo che andare via a 18-20 anni è spesso la cosa migliore da fare. Non solo per un questione economica.
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