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La vittoria di Gravina, anche sulla Serie A. Ora parte una bella corsa a ostacoli

di Ivan Cardia
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

Anche i detrattori cedono l’onore delle armi. Gabriele Gravina ha vinto la sua battaglia. Aveva detto di non voler essere il becchino del calcio italiano e ha mantenuto la promessa, decretandone la ripartenza. Non solo: lo ha fatto con le sue modalità. Il consiglio federale di ieri dice che riparte quando si può, ma soprattutto che si riparte come voleva la FIGC. Ci sono il piano B e il piano C, c’è una capacità di sintesi che, tra tutte, resta la qualità principale del numero uno della Federcalcio. Anche scontentando a turno tutti, alla fine ha portato a casa il risultato concreto. Ed è impossibile non dargliene atto.

La Serie A vuole scappare. Ma oggi è spaccata. Dietro la lavagna, il massimo campionato. Lo ha detto uno dei suoi consiglieri, Marotta. Dopo mesi di faide intestine e dichiarazioni contrastanti, via Rosellini si è presentata all’appuntamento decisivo con una proposta irricevibile: bloccare le retrocessioni in caso di stop definitivo al campionato. Come se il 20 maggio non fosse già arrivato un no secco alla stessa richiesta della Lega Pro, a dire la verità in quel caso anche più completa e pesante per la terza serie. Prevedibile, prevista e infine arrivata la bocciatura. E la Serie A che tecnicamente vota contro la sua ripartenza rimedia l’ennesima figura barbina. Oggi lo stesso Marotta parla di autonomia e indipendenza, sull’esempio della Premier League che da anni è altro rispetto al resto del calcio inglese. Ma prima andrebbe ricomposta una Lega che oggi come oggi è spaccata (almeno) in due: per semplificare, da un lato l’asse Juve-Inter, dall’altro quello Lazio-Napoli. Separarsi vorrebbe dire rinunciare a tanti giochi di potere: sicuro che lo vogliano davvero tutti?

Una bellissima (e faticosa) corsa a ostacoli. È la fotografia di quello che ci aspetta: 124 partite in 43 giorni, con un’insidia dietro l’altra. Gli infortuni ci sono e ci saranno, preoccupano tanti club che rischiano di compromettere non solo i propri obiettivi in campionato, ma anche i rispettivi piani in sede di mercato. E poi c’è la questione quarantena. Sulla quale sembriamo tornati indietro di qualche mese, a quando il calcio chiedeva di ripartire senza se e senza ma, mentre il Governo replicava di no, che non c’erano possibilità. Quella partita l’ha vinta il pallone, questa non è detto. Dall’esecutivo e dal CTS arrivano piccole e sparute aperture, ma ad oggi lo scoglio resta: con un positivo, di fatto, la giostra si ferma nuovamente. Anche qui, Gravina ha (democraticamente) imposto i suoi termini: a seconda di quando dovesse succedere, playoff o algoritmo. Un piccolo neo mediatico, quest’ultimo: una parola complessa che nasconde un calcolo abbastanza semplice, e fa suonare il tutto come una miscela alchemica.

Guerra ai furbetti. Ora il calcio dia un messaggio. In attesa che la questione quarantena venga nuovamente affrontata, e magari risolta, la palla passa a chi è più titolato a condurla. Non una palla da calcio, ma un pallone pieno di responsabilità. La FIGC ha rassicurato in tutti i modi la politica che si ripartirà all’insegna della sicurezza. Ha aumentato i controlli e il numero di chi li effettuerà. Ora tocca alle società: niente furbate, ne va della credibilità di un movimento che vale tanto a livello economico ma in questi mesi ha urlato a gran voce anche il suo valore sociale. E non può certo tradirlo. Le insidie del nodo quarantena sono molteplici: la tentazione di nascondere un positivo, o di farlo saltare fuori ad hoc quando le cose si mettono male, ci sarà. Lo dicono, lo temono, i protagonisti. Dovranno essere loro a resistervi. Per due motivi. Il primo è che rischierebbero l’esclusione dal campionato: una sanzione durissima, ma l’unica possibile per dare coerenza alla vittoria di Gravina. E poi perché ci rimetterebbero anche la faccia, in un momento nel quale troppi falsi sono stati fatti e sotto il profilo dell’immagine c’è del terreno da recuperare agli occhi della collettività.

Le altre battaglie. TV e silenzio. L’immagine, appunto. Quella televisiva è al centro di un match che gioca il Governo, più che la FIGC. Siederà al tavolo con Sky e cercherà di arrivare a una sintesi per le partite in chiaro, in qualche modo. È un punto focale, su cui si potrebbero avanzare mille riserve: bene evitare gli assembramenti in pubblico. Ma, se abbiamo parlato fino a oggi dell’indotto del mondo del calcio, non possiamo nasconderci quante attività, in giro per l’Italia, vivano anche sulle partite che trasmettono giorno dopo giorno mentre offrono ai propri clienti una pizza e una birra. Sui contratti, glissiamo per oggi: sono un ostacolo che ancora non è chiaro come superare, a undici giorni dalla ripresa e a ventuno giorni dalla loro naturale scadenza. Infine, la battaglia contro il silenzio. Sarà un bellissimo tour de force, ma senza spettatori. Il che vuol dire, senza spettacolo. Senza il rumore delle curve, il cuore degli appassionati. È la prossima sfida che Gravina vuole vincere. Se i dati lo consentiranno, perché non riportare qualche tifoso allo stadio? Ne gioveremmo tutti. A patto, se possiamo, che non sia sempre e soltanto una questione di soldi: il calcio è un’azienda da salvare. Ma è anche e soprattutto lo sport del popolo. L’ha frastornato con le sue polemiche, le sue diatribe interne, i suoi algoritmi. Tornando, dovrà ricordarsi che lo spettacolo è per il grande pubblico, Covid permettendo.

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Lunedì 6 Maggio 2024
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